In tempi di anniversario, l’Unità d’Italia passa anche dalle storie di (non ordinaria) follia scolastica

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A Catanzaro una preside impone il divieto (impossibile per legge da imporre) per le gite scolastiche ad un ragazzo down e la classe al completo si ribella. In un paesino della provincia di Venezia un sindaco impedisce l’accesso alla mensa dell’asilo ad una bimba figlia di immigrati che non si può permettere la retta: a risolvere il problema ci pensa un benefattore anonimo. Sicuramente si tratta di due casi isolati, ma è possibile che funzioni pubbliche di questo calibro possano trasformarsi in esempi del tutto deleteri in termini di coscienza civica e rispetto delle debolezze altrui?

8 Marzo 2011

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Tiziano Marelli

Articolo FPA

A Catanzaro una preside impone il divieto (impossibile per legge da imporre) per le gite scolastiche ad un ragazzo down e la classe al completo si ribella. In un paesino della provincia di Venezia un sindaco impedisce l’accesso alla mensa dell’asilo ad una bimba figlia di immigrati che non si può permettere la retta: a risolvere il problema ci pensa un benefattore anonimo. Sicuramente si tratta di due casi isolati, ma è possibile che funzioni pubbliche di questo calibro possano trasformarsi in esempi del tutto deleteri in termini di coscienza civica e rispetto delle debolezze altrui?

Due storie significative quelle balzate recentemente agli onori delle cronache e che penso sia utile qui riportare, episodi che uniscono in qualche modo l’Italia scolastica in un tutt’uno di inopportunità subito seguita da piccoli-grandi esempi di solidarietà, da nord a sud. Anzi, meglio vederla al contrario: da sud a nord, che in momenti di anniversario dell’Unità nazionale può essere utile… partire dal basso (basso, sottolineo, solo per comodità di immagine geografica), così proviamo anche ad immaginare il nostro stivale capovolto e ne approfitto per permettermi una breve digressione e consigliare la lettura del libro di Pino Aprile “Terroni, tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del sud diventassero meridionali”. Lo consiglio – senza nemmeno contare troppo sul fatto che il suggerimento venga raccolto – soprattutto a chi continua a vagheggiare e vaneggiare di secessione, e di persone così ce ne sono ancora fin troppe: una “speranza separatista” (sigh!) che trova propugnatori indefessi in zone ben definite e per fortuna circoscritte del nostro Paese, ma certo non dalle parti di chi è stato “annesso”.

Il primo episodio viene da Catanzaro. Una classe di terza media ha tra i suoi componenti un alunno con la sindrome di down. La preside, davanti ai docenti e con il ragazzo assente, comunica ai suoi compagni che non autorizzerà più la partecipazione alle gite scolastiche di quel particolare alunno anche perché, vista la sua condizione, secondo lei “non capirebbe nulla”. All’incredibile uscita è una studentessa la prima a ribellarsi, subito: “Se lui non può più venire in gita scolastica con noi,  allora non vengo neppure io”, seguita a ruota da tutti gli altri, nessuno escluso. La preside non ha potuto far altro che prenderne atto e allontanarsi: le cronache non ci dicono come abbia poi vissuto lo scorno corale, ma si spera le serva dal lezione (una sorta di contrappasso, a tutti gli effetti). I genitori del ragazzo hanno poi fatto ricorso all’autorità di polizia per far rispettare il diritto allo studio del proprio figlio, in linea con la normativa di riferimento, in particolare con le note ministeriali le quali espressamente asseriscono che “le gite rappresentano un’opportunità fondamentale per la promozione dello sviluppo relazionale e formativo di ciascun alunno e per l’attuazione del processo di integrazione scolastica dello studente diversamente abile, nel pieno esercizio del diritto allo studio”. Secondo Ida Mendicino, responsabile del coordinamento regionale calabrese per l’integrazione scolastica, la sollevazione dei compagni di classe ha dato “un segnale importante di cambiamento, in una generazione spesso tacciata di eccesso di individualismo e di scarso senso di solidarietà (…) vera speranza di maturazione del tessuto sociale rispetto agli esempi che spesso provengono dal mondo dei grandi”. Adulti che qualche volta sono anche presidi, chissà con quali particolari meriti capitati ad occupare quella carica.

Balzo deciso all’insù (continuo con l’allegoria da carta topografica) per la scena successiva, fino al ricco e prospero nord-est. Siamo a Fossalta di Piave, in provincia di Venezia. Qui, una bambina senegalese da qualche tempo non può più permettersi di pagare la retta mensile della mensa dell’asilo che frequenta, 50 euro: il padre è rimasto disoccupato ed è dovuto andare a cercare lavoro da parenti, in Belgio, lasciando momentaneamente sola e senza molti mezzi la famiglia, fra l’altro da anni residente nel Veneto e con tutti i documenti in regola. Le maestre capiscono al volo il problema e decidono di privarsi, a turno, del buono mensa per cederlo alla bimba. Tutto fila liscio finché il sindaco, tal Massimo Sensini, non scopre il grave inghippo e proibisce la “donazione” con la motivazione che questa, sostiene parola per parola, “costituisce un danno erariale”! Così, in un impeto burocratico eseguito a tempo di record, alle maestre viene impedito di proseguire nella particolare e singolare opera di assistenza (tanto che si sentiranno minacciate e avranno paura a rilasciare qualsiasi tipo di dichiarazione) e la bambina viene allontanata dall’asilo senza che lei possa capire il perché: per giorni interi, costretta a casa dall’ora di pranzo in poi, si rifiuta piangendo di mangiare.
Il programma di ItaliaUno le Iene non si lascia scappare la ghiotta opportunità, e il servizio che ne è seguito – andato in onda il 23 febbraio – è consigliabile a tutti gli amanti del buono e del cattivo gusto. Intervistato, Sensini tenta di giustificare il suo attivismo citando ancora il presunto danno erariale, che si rivela però inesistente secondo alcune sentenze della Corte dei Conti che l’inviato del programma gli sventola sotto il naso. Imbarazzato, il primo cittadino conclude la sua performance assicurando vagamente che della famiglia in futuro si occuperà l’assessorato ai servizi sociali. Per uscirne con le ossa rotte il meno possibile non poteva rifugiarsi dietro a niente di più aleatorio.
L’impressione netta è che non ci sia per niente riuscito, anche perché a smascherare del tutto il suo operato ci pensa a seguire un funzionario comunale che davanti alle telecamere chiarisce come non ci sono né carte né pressioni che tengano per giustificare l’iniziativa, Sensini si è semplicemente inventato tutto: il caso, la polemica e le conseguenze, forse forte dell’incredibile certezza di poterne ricavare chissà quali benemerenze in termini di elettorato. In verità, a fronte di una vasto appoggio che il primo cittadino sostiene di aver ricevuto, lo stesso funzionario svela alle Iene l’arrivo di una sola mail plaudente al suo attivismo, con tanto di incitamento nel proseguire l’azione “fino a far scomparire questi schifosi abbronzati puzzolenti”. Sensini, a detta del suo impiegato, non sarebbe nemmeno a conoscenza del fatto che un benefattore si è già fatto anonimamente e silenziosamente carico dell’intera retta della piccola senegalese, fino alla fine dell’anno scolastico. Visto il coraggio del funzionario comunale, il giornalista chiede il permesso di poter trasmettere lo sfogo certo non tenero nei confronti del suo sindaco: la liberatoria viene prontamente concessa senza nessun timore, anche perché, dice l’impiegato, “un dipendente pubblico ha il posto garantito sempre” e quindi è di fatto intoccabile e non licenziabile. È la prima volta che una situazione di impunità professionale assicurata e così blindata suscita in me sensazioni assolutamente del tutto positive.

Una preside e un sindaco trasversalmente privi del benché minimo senso del rispetto verso i più deboli, ovvero: stare sul piedistallo di qualcosa – anche se piccino, ridotto, tutto sommato e per fortuna localmente circoscritto – non è assolutamente detto che corrisponda al merito, anzi. Dovremmo aiutare personaggi di questo calibro a scendere da quell’immeritato sopralzo per tornare di nuovo in mezzo a noi, magari giusto il tempo per una ripassata a quelli che sono i principi fondamentali dell’educazione civica e del vivere in una comunità. Anche se non è francamente accettabile che ad averne bisogno sia proprio chi dovrebbe ispirarli, preservarli e diffonderli.

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