“Non chiamateci periferia”. I modelli delle Regioni meridionali al centro dell’innovazione?

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A Napoli, i pubblici amministratori meridionali e i partner aziendali si sono confrontati su una tesi: la tecnologia è un fattore abilitante in un processo di riforma della PA orientato a merito e a trasparenza? Su questo punto tutti d’accordo. Ma la riflessione successiva ha fatto emergere posizioni decisamente più interessanti. Riconoscendo la responsabilità assoluta della PA nei processi di sviluppo del mezzogiorno, gli amministratori regionali si sono chiesti: quale è di fatto il relè che fa scattare la molla dell’innovazione? La risposta composita nelle strategie adottate da Calabria, Campania e Puglia.

23 Febbraio 2010

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Chiara Buongiovanni

Articolo FPA

A Napoli, i pubblici amministratori meridionali e i partner aziendali si sono confrontati su una tesi: la tecnologia è un fattore abilitante in un processo di riforma della PA orientato a merito e a trasparenza? Su questo punto tutti d’accordo. Ma la riflessione successiva ha fatto emergere posizioni decisamente più interessanti. Riconoscendo la responsabilità assoluta della PA nei processi di sviluppo del mezzogiorno, gli amministratori regionali si sono chiesti: quale è di fatto il relè che fa scattare la molla dell’innovazione? La risposta composita nelle strategie adottate da Calabria, Campania e Puglia.

Non chiamateci periferia
Il primo punto emerso è che il dibattito sulla governance dell’innovazione non va orientato in un’ottica centro-periferia. Così Giulio De Petra – Responsabile dell’Unità Operativa Società dell’Informazione della Regione Calabria ha precisato: le strutture periferiche dello Stato sono ancora “centro”, il territorio è una dimensione amministrativa diversa, autonoma e “altra” rispetto al Governo centrale. La conseguenza è che anche in materia di innovazione le Regioni non sono “esecutrici” ma hanno un proprio fondamentale ruolo verso i territori: propulsore e al tempo stesso collettore delle istanze che da questi provengono.  "Le Regioni del sud – continua De Petra – rappresentano un potenziale fortissimo di innovazione per l’intero Paese. Le risorse per l’innovazione sono al sud perche al sud ci sono centinaia di milioni di euro sui temi della società dell’informazione. Se riusciamo a concentrare l’utilizzo di queste risorse su obiettivi comuni esse serviranno per l’intero Paese.”

I modelli regionali
Le Regioni del sud hanno una grande responsabilità nell’indirizzo e nella gestione dei fondi destinati all’innovazione. Così argomenta De Petra: “I fondi POR destinati alle Regioni del sud sono ingenti, parliamo di centinaia di milioni di euro. Questo apre una questione di responsabilità strategica per le Regioni: come usiamo queste risorse?”

Su saperi PA provi le interviste a Giulio De Petra, Nicola Mazzocca e Luca Celi

La “responsabilità infrastrutturale” della Calabria Sulla strategia adottata dalla Regione Calabria, De Petra è molto chiaro: “Non più una miriade di progetti e finanziamenti diffusi ma poche iniziative “di sistema” legate a una strategia complessiva, in cui la Regione è chiamata alla responsabilità di fornire infrastrutture – e non parlo solo di larga banda. A questo si aggiunge  il sostegno a iniziative legate all’innovazione per le imprese e un piccolo, ma importante sostegno a quanti utilizzano le ICT per aumentare la partecipazione dei cittadini alla vita politica e alle decisioni delle istituzioni”.  Dunque la parola d’ordine è responsabilità infrastrutturale. Come si traduce? De Petra spiega che questa responsabilità si articola su tre livelli: garantire livelli più alti di servizi, in termini di qualità e diffusione; selezionare i fornitori garantendo rapidità, efficienza e massima trasparenza ( a tal fine si lavora per la Stazione Unica Appaltante in Calabria); last but not least il livello “politico”, ovvero dotarsi della capacità interna di governare i processi innovativi.
Indirizzo politico e aggregazione in Campania "Quando parliamo di innovazione nella PA – sostiene Nicola Mazzocca, Assessore regionale all’Università, Ricerca e Innovazione – dobbiamo tener conto che abbiamo un sistema di riferimento ben delimitato: la pubblica amministrazione italiana con le sue leggi mutevoli e molteplici. In questo contesto, il problema non è tanto del sistema informatico, quanto del sistema informativo. E proprio in questo senso la Regione ha un importante ruolo politico, per cui è chiamata a stabilire un Piano chiaro, concertato e continuativo”. Dunque la funzione di indirizzo politico della Regione può essere uno strumento di continuità nelle strategie di innovazione? Assolutamente si, sembra la risposta di Mazzocca.  E continua: “Una volta che il Piano è stato concertato e approvato, non si discute si “applica”. E questo è un passaggio fondamentale, che spesso manca, perché nei finanziamenti non si utilizzano due strumenti semplici ma profondamente innovativi: il vincolo e la revoca”. Dunque, questo il primo livello. Il secondo livello di impegno per la Regione Campania è coordinare un modello di innovazione che sia sostenibile nel tempo. “Ciò – argomenta – presuppone il trasferimento e l’elaborazione continua di conoscenze e perciò il settore della Ricerca e Innovazione in Campania è riconosciuto come  prioritario, organizzato, sotto la regia della Regione, per “aggregazione”, ovvero per moduli progettuali ed operativi che mettono in rete università, centri di ricerca ed imprese”.  
Il “prodotto-servizio” guida la Puglia Siamo sicuri che la Pubblica amministrazione sia percepita come un fattore abilitante di sviluppo sui territori? A sollevare il legittimo dubbio è Luca Celi – Dirigente Gabinetto di Presidenza, Regione Puglia, che risponde: “ Credo proprio che oggi la pubblica amministrazione sia percepita dai cittadini per lo più come un intralcio”. E questo non è un elemento da poco, per chi si trova a valutare e disegnare una strategia di innovazione, che in fondo dovrebbe riportare la PA ad essere quantomeno più vicina a bisogni e esigenze dei cittadini. La Puglia, conferma Celi, sceglie di partire proprio dall’ottica del cittadino. “La leva tecnologica – argomenta – è importante, ma il fulcro dell’innovazione è nel ripensare il prodotto-servizio”. Dunque, continua  “il punto di partenza è comprendere la funzione che i servizi della PA hanno, ovvero a quali bisogni della cittadinanza rispondono. Di conseguenza la riorganizzazione della PA pone obiettivi non solo di efficienza (in primis rapidità del servizio) ma anche di efficacia”. In altri termini, quando si fa innovazione meglio non presumere, ma ascoltare, “coinvolgendo i corpi intermedi dei cittadini. Questo approccio chiede che si lavori da una lato sulla costruzione di reti di fiduciari, onde evitare pratiche di quella che io chiamo partecipazione inconcludente e dall’altro sulla trasparenza della PA”. Seguendo un simile approccio, conclude Geli "è sufficiente concentrare le innovazioni in pochi punti nel rapporto tra PA e cittadino, facendo attenzione, però, a che siano punti di rottura”. 

Modelli diversi, istanze comuni?
Nei loro interventi gli amministratori regionali propongono approcci diversi, a seconda dei percorsi e delle vocazioni territoriali che rappresentano, ma su alcune esigenze di metodo si crea una convergenza importante.
Quello che emerge è un assoluto bisogno di continuità e messa a sistema delle progettualità di eccellenza, in un quadro di concretezza, obiettivi precisi e responsabilità certe.  Quanto al ruolo della Regione rispetto ai territori si concorda su un ruolo di regia, indirizzo e coordinamento, con l’obiettivo prioritario della messa a sistema dell’innovazione tecnologica e della copertura capillare sul territorio. L’obiettivo dell’azione regionale è la cancellazione dei divide e la correzione di duplicazioni e inefficienze. Rispetto al livello di governo centrale, una istanza è abbastanza chiara: si definisca un piano conciso, preciso nelle priorità e continuativo nel tempo. Le infrastrutture, dalla cooperazione applicativa all’anagrafe unica su territorio nazionale, sono indicate come imprescindibili per sedimentare l ‘innovazione tecnologica nella pubblica amministrazione italiana. Per passare cioè da una innovazione delle eccellenze territoriali e settoriali a una innovazionesistemica e capillare in termini di copertura geografica e di procedimento amministrativo.

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