Una buona assistenza territoriale diminuisce i ricoveri del 50%

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by Rob Brewer

Una maggiore attenzione alla salute dei cittadini ed un risparmio di risorse notevole, con una riduzione dei ricoveri ospedalieri, che può arrivare al 50%, è quello che si ottiene a fronte di un buon servizio di assistenza sanitaria territoriale. È uno tra i dati più interessanti che emergono dal Rapporto FIASO (Federazione Italiana delle Aziende Sanitarie e Ospedaliere) sul “Governo del territorio delle Aziende Sanitarie”, presentato il 10 luglio scorso a Roma.

17 Luglio 2008

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Tommaso Del Lungo

Articolo FPA
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by Rob Brewer

Una maggiore attenzione alla salute dei cittadini ed un risparmio di risorse notevole, con una riduzione dei ricoveri ospedalieri, che può arrivare al 50%, è quello che si ottiene a fronte di un buon servizio di assistenza sanitaria territoriale. È uno tra i dati più interessanti che emergono dal Rapporto FIASO (Federazione Italiana delle Aziende Sanitarie e Ospedaliere) sul “Governo del territorio delle Aziende Sanitarie”, presentato il 10 luglio scorso a Roma.

Lo studio è stato realizzato a conclusione dei lavori del Laboratorio sul Governo del Territorio: un programma di ricerca che coinvolge 13 aziende USL di 11 regioni italiane e che, con il coordinamento del CERGAS-Bocconi, si propone di approfondire la conoscenza delle dinamiche dei servizi territoriali. Giusto per fare un po’ di chiarezza abbiamo chiesto a Lorenzo Terranova, Direttore di Fiaso, di spiegarci che tipo di servizi si raggruppino sotto l’etichetta “sanità territoriale”. “La definizione di servizi sanitari territoriali non è strettamente determinata – ci spiega – e già questo dovrebbe dare il senso di quanto poco si faccia attenzione a questo modo di concepire la sanità. Tuttavia, per intenderci, potremmo definire come appartenenti alla sanità territoriale tutte le strutture a cui ogni cittadino si rivolge per ottenere assistenza sanitaria al di là dell’ospedale: dal medico di medicina generale, alla farmaceutica convenzionata, dall’ambulatorio, alle strutture di diagnosi che non richiedono ricovero fino ad alcune forme di medicina preventiva”.

La principale evidenza che emerge dai dati del rapporto è che il territorio, dopo un periodo di rinnovamento e crescita costante in termini di rilevanza strategica e organizzativa, ha assunto, ormai, un peso superiore alla metà (52%) delle risorse complessive destinate alla Sanità. Inoltre, al di là del dato quantitativo, anche da un punto di vista che potremmo definire “culturale”, si è assistito ad un progressivo accrescimento del ruolo delle strutture territoriali e di una maggiore compartecipazione e collaborazione di tutti gli attori del territorio alla mission di gestione delle pratiche assistenziali. “Le reti ambulatoriali o i network dei medici di base – continua Terranova – sono la dimostrazione concreta del fatto che si è compreso che l’offerta sanitaria sul territorio deve essere strutturata ed articolata”.

Il Rapporto dimostra che dove ciò è avvenuto c’è stato, effettivamente, uno spostamento della domanda di assistenza sanitaria dagli ospedali alle altre strutture, con una notevole diminuzione dei costi ed un aumento di qualità delle prestazioni erogate nelle strutture ospedaliere decongestionate. Una prima relazione particolarmente interessante, ad esempio, è quella tra ricoveri in strutture intermedie (strutture per anziani, per disabili etc.) e ricoveri in medicina: all’aumentare del livello di spesa delle ASL per le strutture intermedie, infatti, si manifesta una sensibile riduzione del tasso di ospedalizzazione complessivo. Una seconda relazione interessante riguarda, invece, le prestazioni specialistiche: all’aumento della spesa per prestazioni specialistiche, corrisponde una diminuzione degli accessi al pronto soccorso.

“Può sembrare banale” – dice Terranova – ma strutturare meglio l’offerta sanitaria, costituendo le case della salute o dando la possibilità ai medici di medicina generale di lavorare in rete, appoggiandosi a centri che erogano alcune prestazioni ambulatoriali basilari, come le analisi più semplici o la radiologia, è un modo per responsabilizzare il medico stesso, che si sente in grado di effettuare diagnosi attendibili e di individuare la terapia corretta. Se il medico non ha strumenti se non quelli più banali, è ovvio che alla prima incertezza non potrà fare altro che dirottare il paziente verso l’ospedale, facendo lievitare i costi amministrativi e gestionali.”

Dal rapporto emergono però anche alcuni segnali non proprio positivi, come la quasi totale assenza di strumenti di governo manageriale dell’assistenza e di meccanismi di misurazione dell’impatto sul territorio delle attività effettuate e delle risorse utilizzate. Così come manca completamente qualunque meccanismo di comparazione e benchmark tra strutture, costante nel tempo.

Inoltre le differenze territoriali sono molto forti. Ci sono Regioni in cui la medicina di gruppo è molto sviluppata, in particolare Emilia Romagna, Toscana e Veneto ed altre, soprattutto al Sud, dove è ancora poco rappresentativa. Ci sono casi in cui le prenotazioni tramite i centri unici (Cup) sono il 100%, ed altri in cui si arriva appena al 10%. O ancora Regioni che hanno 140 ricoveri per mille abitanti ed altre che ne hanno il doppio.

Infine il sistema dei servizi territoriali è estremamente frammentato e confuso, come dicevamo all’inizio. Gli stessi nomi degli ambiti assistenziali, spesso, sono attribuiti a servizi diversi.  “Del territorio – ha dichiarato Francesco Logo Direttore del CERGAS-Bocconi – sappiamo poco. Sappiamo che i ‘pezzi’ che compongono questi servizi sono quattro: strutture intermedie (case di riposo, riabilitazione, lungo degenze), cure domiciliari e medico di famiglia, specialistica e ospedale di prossimità, tuttavia non si è stati ancora capaci di capire quale sia il giusto mix. Non ci sono indicazioni univoche su quanto, cioè, debba essere investito sui diversi pilastri di questa assistenza". “Una cosa però è certa – chiude Terranova – la grande maggioranza delle prestazioni erogate nei Pronto soccorso è composta da codici bianchi e gialli.
Se è questa la tipologia maggiore di domanda vuol dire che i cittadini non trovano nessuna struttura che frena il bisogno di andare in ospedale, e che, quindi, occorre lavorare di più in questa direzione”.

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