Community hub come spazi di rigenerazione urbana

Home Città e Territori Community hub come spazi di rigenerazione urbana

Quando si tratta di ripensare alla città del futuro non basta tener conto dei canoni estetici della progettazione. È necessario che l’urbanistica e le correnti interessate all’analisi della vita quotidiana si muovano parallelamente. Esploriamo pratiche di innovazione attivate per una città più inclusiva, come Milano, partendo dalla definizione del concetto di community hub di Claudio Calvaresi, senior consultant di Avanzi

27 Settembre 2017

P

Patrizia Fortuanto

Sia chiaro, quando si tratta di ripensare alla città del futuro non basta tener conto dei canoni estetici della progettazione. È necessario che l’urbanistica e le correnti interessate all’analisi della vita quotidiana si muovano parallelamente. In vista di ICity Lab e di un incontro sulla rigenerazione urbana abbiamo sentito Claudio Calvaresi, senior consultant di Avanzi, per portare all’attenzione dei lettori una riflessione su come alcune iniziative di progetti possano contribuire alla costruzione dell’agenda urbana e di una strategia complessiva di rigenerazione delle città. In particolare, esploriamo quelle pratiche di innovazione attivate per una città più inclusiva, partendo dalla definizione del concetto di community hub di Calvaresi.

“È un’idea che viene dal mondo anglosassone. Possiamo intendere – afferma Calvaresi – degli spazi nella città, anche immobili pubblici dismessi o sottoutilizzati, che vengono riattivati in funzione della costruzione di centri per la comunità”. L’aspetto che a Calvaresi sembra più interessante sta nel fatto che questi hub non sono soltanto dei centri che erogano servizi di welfare, ma sono dei fulcri di comunità che cercano di favorire la costruzione di relazioni con i gruppi locali e che attivano la società nella co-produzione, nella co-creazione di servizi pubblici.

Proviamo a vedere qualche esempio per meglio comprendere questa reciproca influenza tra la sfera urbanistica e la sfera sociale. “Sono spazi in cui, ad esempio, è possibile trovare servizi di inclusione lavorativa dei Neet, cioè dei ragazzi che sono al di fuori del percorso di formazione, di educazione e di lavoro; sono posti in cui è possibile trovare l’organizzazione del servizio di doposcuola, oppure sono spazi che offrono servizi di counseling, di assistenza psicologica a mamme, a famiglie o a giovani adolescenti del quartiere e nel frattempo – sottolinea Calvaresi – provano anche a mischiare sia i servizi di natura strettamente sociale, come quelli richiamati, quindi servizi no profit, sia servizi che sono di natura profit. Sono spazi versatili, in cui vengono ospitate attività diverse, c’è il bar, il ristorante, la sala da affittare per i gruppi che ballano il tango. Sono, dunque, delle strutture di servizio che mettono a reddito parti di attività in maniera da raggiungere l’autosostenibilità degli spazi stessi. L’aspetto della gestione di questi immobili va tenuta presente. Ci sono strutture il cui modello di gestione non è necessariamente, o quasi mai, interamente pubblico. I community hub sono piuttosto dei servizi erogati da quelli che noi definiremmo il privato sociale (associazioni, gruppi, cooperative), ma anche da imprese”.

Come iniziative di rigenerazione urbana, di costruzione di nuove condizioni per lo sviluppo di ogni quartiere, rientrano dunque progetti di inclusione sociale, nuove pratiche dell’abitare, nuove forme di territorializzazione degli spazi della produzione e del lavoro. “L’aspetto che mi sembra interessante di questo tipo di esperienze è che sono delle occasioni per lavorare sul tema della coesione sociale in quartieri difficili, con problematiche sociali, e dunque, dal mio punto di vista – afferma Calvaresi –, rappresentano anche una opportunità per collocare il tema della rigenerazione urbana non dal punto di vista delle sole opere pubbliche, come spesso si tende a fare in Italia. Si tende a privilegiare, come nei bandi recenti del governo, gli interventi edilizi, lasciando in secondo piano gli interventi di natura immateriale. Nel recupero di immobili da parte di amministrazioni comunali è sempre prevalso l’aspetto edilizio, avendo un’idea abbastanza vaga di quello che sarebbe stato il programma funzionale una volta completato l’intervento e il relativo modello gestionale. Oggi molte amministrazioni comunali si trovano nella difficoltà di avere degli spazi recuperati, a volte anche di grande pregio, che risultano non completamente utilizzati o se utilizzati con dei profili di sostenibilità molto problematici”.

Ma l’erogazione dei servizi in spazi riattivati non presuppone anche un recupero degli spazi e degli immobili? Risponde Calvaresi: “la prospettiva che sostengo non esclude l’intervento edilizio ma questo deve essere un mezzo, non il fine”.

Ci chiediamo se BASE Milano, uno spazio di proprietà del Comune di Milano che è un ex edificio industriale, nell’area ex-Ansaldo, possa ritenersi un community hub. “Ovviamente, per la dimensione che ha (una superficie di 6mila metri quadrati, in ampliamento a 12mila), BASE ospita principalmente iniziative di livello urbano dentro cui fare grandi eventi come ICity Lab (in programma il 24 e 25 ottobre). “Oggi non lo definirei un community hub nel modo in cui abbiamo provato a definirlo”, risponde Calvaresi. “Stiamo però lavorando sul rapporto con la comunità locale, sia progettando e gestendo iniziative congiunte con le associazioni di quartiere, sia cominciando ad erogare servizi “di prossimità” (come il bookcrossing). Stiamo inoltre progettando un programma di iniziative sul tema della produzione della città dal basso, per qualificare BASE come centro di riferimento per i city maker”.

Nel 2014, a seguito di bando pubblico, gli spazi di BASE sono stati assegnati a un gruppo formato da Arci Milano, Avanzi, Esterni, H+, Make a Cube³, costituitosi poi in impresa sociale, nella forma di società a responsabilità limitata e startup innovativa a vocazione sociale. BASE Milano è uno spazio versatile, dove c’è un coworking, un bar, una foresteria per artisti e dove sono insediate imprese e progetti che si occupano di sharing economy, sostenibilità e inclusione sociale, come Cariplo Factory, uno dei nuovi progetti innovativi di Fondazione Cariplo.

Come nasce Avanzi e quali sono le aree di intervento? “Avanzi ha sviluppato diversi filoni di attività, sia nei confronti di amministrazioni pubbliche su temi di sostenibilità ed innovazione urbana, sia nei confronti di organizzazioni private. In particolare, negli ultimi anni – risponde Calvaresi – abbiamo lavorato su due prospettive: la prima è quella della gestione di alcuni percorsi di accelerazione e di incubazione di startup, prevalentemente a vocazione culturale e creativa; la seconda è quella della responsabilità diretta nella gestione di spazi e immobili in cui provare a sviluppare attività di tipo culturale e creativo, come appunto BASE Milano.

Non resta che visitare il posto, in occasione di Icity Lab 2017.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!