“Innovatore sociale a chi?” Spunti da una mattinata di lavori sulla smart city italiana

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A Smart City Exhibition abbiamo dedicato una sessione all’innovazione sociale, in una carrellata di esperienze e riflessioni sul tema, da Udine a Siracusa. Rosario Sapienza, nella sua esperienza di hubber siciliano, raccontava che non è raro incontrare persone che, pur facendo innovazione sociale, sono refrattarie alla definizione. Il rischio per queste realtà è di rimanere ai margini delle reti che, sempre più e su più livelli, si attivano. Non si tratta tanto di categorizzare quanto di aprire la prospettiva dell’innovazione sociale italiana (quella reale) in un momento in cui, dal policy-making alla progettazione sul campo, già non possiamo farne a meno.

21 Novembre 2012

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Chiara Buongiovanni

A Smart City Exhibition abbiamo dedicato una sessione all’innovazione sociale, in una carrellata di esperienze e riflessioni sul tema, da Udine a Siracusa. Rosario Sapienza, nella sua esperienza di hubber siciliano, raccontava che non è raro incontrare persone che, pur facendo innovazione sociale, sono refrattarie alla definizione. Il rischio per queste realtà è di rimanere ai margini delle reti che, sempre più e su più livelli, si attivano. Non si tratta tanto di categorizzare quanto di aprire la prospettiva dell’innovazione sociale italiana (quella reale) in un momento in cui, dal policy-making alla progettazione sul campo, già non possiamo farne a meno.

Il lavoro di Bologna, che segue la "Giornata dell’Innovazione Sociale made in Italy" di maggio  – di cui sono disponibili i risultati nella pubblicazione "Innovazione Sociale made in Italy. Un laboratorio per nuove forme di governo di Edizioni Forum PA – ci ha permesso di avanzare un po’ nel ragionamento comune, calandolo su una realtà “tipicamente” italiana: quella delle molteplici municipalità e comunità territoriali. Attori diversi – associazioni, centri di aggregazione territoriale, amministrazioni locali, esperti  – hanno raccontato i laboratori aperti sui loro territori.

Se da un lato sono emerse indicazioni importanti sugli strumenti per rendere operativo un nuovo modello di governo, dall’altro sono emerse caratteristiche proprie delle esperienze italiane di innovazione sociale, in termini di potenzialità espresse e ostacoli incontrati. Si tratta di spunti che i policy maker e i problem solver a vari livelli, ormai, non possono ignorare. Dando per assodate dimensioni macro dell’innovazione sociale, quali la partecipazione, la collaborazione e l’iniziativa dal basso, trovate qui (in ordine sparso) alcune chiavi su cui lavorare, mentre per il dettaglio degli interventi vi rimandiamo agli atti del convegno, a brevissimo on line sul sito di Smart City Exhibition.  

L’innovazione sociale è un esercizio di complicato strabismo
Questa è una definizione operativa, proposta da Rosario Sapienza di The Hub Sicilia, che può aiutare. "Praticare innovazione sociale significa fare dei passi. Sin dal primo passo dobbiamo porre grande attenzione a una serie di dimensioni di micro – management (per niente codificate) e al, tempo stesso, dobbiamo guardare all’impatto sociale e ambientale a cui miriamo e che possiamo raggiungere”. Questo strabismo complicato è in corso di sperimentazione in diverse realtà, nelle città italiane.

Micro – comunità nella comunità
La dimensione è emersa chiaramente dai racconti di Giulia Pietroletti e Gianluca Cantisani, voci rispettivamente di Associazione Città delle Mamme e Associazione Genitori Scuola di Donato (Roma). Riportando esperienze di co-creazione e gestione di spazi pubblici in quartieri complessi della capitale, entrambi hanno sottolineato che le comunità sono composte e animate da micro –comunità, portatrici di interessi ed esigenze diverse ma anche di visioni e competenze componibili. Questo significa che si può arrivare a soluzioni condivise e vantaggiose per l’intero quartiere ed esponenzialmente per l’intera città, a patto che le differenze siano "ricomposte".

Il problema della burocrazia
Qui sembra non esserci niente di nuovo sotto il sole, ma il punto che emerge senza reticenze e con buona pace di weberiani più o meno dichiarati, è che la burocrazia rappresenta un problema. Il passo immediatamente successivo è capire da dove entrare per risolvere il problema. Così Paolo Coppola, Assessore all’innovazione del Comune di Udine, chiede alle associazioni presenti se si tratta di un problema normativo o piuttosto culturale. La risposta, praticamente unanime, è “entrambi”. Dunque, si può iniziare a darsi da fare su entrambi i fronti, senza rischio di sbagliare. Una indicazione di priorità è emersa dalla sala, condivisa da amministratori, operatori e cittadini: intervenire sul linguaggio oscuro di norme e comunicazioni amministrative.

Qui si tratta di gestire conflitti!
Questo, con enfasi, è stato additato come “l’invitato dimenticato” tra le (generalmente) positive parole chiave dell’innovazione sociale. Il conflitto non solo esiste, tende a persistere. Occorre, come Stefano Sepe, dirigente CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro ha sottolineato, che tutti gli attori, amministrazioni incluse, prendano coscienza che "qui si tratta di gestire conflitti!". La figura del facilitatore è stata citata più volte come un elemento fondamentale, a sostegno di processi partecipativi efficaci.

PA locale, front office degli innovatori sociali
Questo è evidente. Si tratta di attrezzarsi per la funzione. La difficoltà di raggiungere l’interlocutore giusto, che sia effettivamente in potere di rispondere alle richieste dei cittadini singoli o organizzati, infatti, è emersa come una delle principali criticità. La consapevolezza  della criticità (e la sua risoluzione) coinvolge livelli diversi dell’amministrazione – dalla cultura organizzativa alla definizione dell’organigramma alla predisposizione degli strumenti – con una visione comune ispirata ad ascolto e dialogo in rete. Lo hanno rilevato Marco Traversi, presidente della Rete Italiana degli Innovatori Sociali e Marco Truffi, responsabile dei Servizi al Cittadino, Formez PA.

Un amministratore illuminato fa la differenza
Questo, che ormai da anni è diventato il mantra degli advocates di nuovi modelli di amministrazione, trova qui conferma nella pratica. Dall’esperienza della mamme del quartiere Pigneto ai genitori della Scuola Di Donato di Roma agli hubber di Siracusa, la disponibilità intelligente e pronta anche di una singola persona nell’amministrazione pubblica diventa un combustibile importante per l’innovazione sociale.

Dalla leadership individuale alla leadership collettiva
Il terreno fecondato dall’innovazione sociale genera –  e al tempo stesso chiede – un nuovo modello di leadership. Come Maria Ludovica Giovanardi spiega – presentando l’iniziativa ItaliaCamp di cui è coordinatrice per la regione Emila Romagna – si tratta di passare dalla leadership individuale alla leadership collettiva. Il processo di realizzazione di una buona idea diventa un gioco di squadra, coinvolgendo ciascuno secondo le proprie potenzialità e competenze, in una sorta di investimento collettivo. Il valore primario risiede, dunque, nei legami tra le persone.

Piattaforma aperta di contenuti, idee, policy, servizi partecipati dal territorio
La tecnologia diventa strumento fondamentale di abilitazione e moltiplicazione per l’innovazione sociale territoriale. Come ben visualizza Leda Guidi, parlando del progetto di evoluzione del portale istituzionale di Bologna – Città metropolitana, si tratta di realizzare e rendere disponibile al territorio una piattaforma aperta di contenuti, idee, policy, servizi partecipati dal territorio. “Ora – sostiene – ci sono gli strumenti tecnologici per farlo”.

Partire da questo per trovare una sintesi per un agire pubblico nuovo
Gli elementi su cui lavorare sono tanti, i compiti da fare propri a seconda di vocazioni, competenze e contigenze, altrettanti. Un compito, a cui tutti possiamo contribuire e che rappresenta una sfida per le intelligenze collettive presenti nella PA, è lavorare a una sintesi che permetta di rendere operativo e replicabile un agire pubblico profondamente nuovo. Questa è la conclusione e l’impegno di Stefano Sepe.

Copiare fa bene, giocare aiuta 
Concludiamo con una buona notizia. Nell’innovazione sociale c’è qualcosa che non è difficile e ci può essere qualcosa di molto divertente. Lo dice bene Paolo Coppola, quando si rifà alla sua formazione di informatico, da cui ha trattenuto il sano spirito "di copiare cose che funzionano, migliorandole" e quando propone di applicare i meccanismi di gamification alla risoluzione dei problemi di interesse generale.

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