Ripartire dalle naturali tendenze dei quartieri della Capitale per progettare le città del futuro

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Dalle città del futuro ci aspettiamo un sistema efficace di prossimità, con minori sprechi di risorse e di energie, una maggiore collaborazione e partecipazione. L’idea è portare i servizi laddove servono al cittadino, al city user, alle imprese, definendo la strategia migliore a partire dalle caratteristiche culturali e di identità del Municipio o del quartiere

23 Dicembre 2020

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Anna Lisa Di Maro

Roma Capitale

Photo by Raymond Schiopu on Unsplash - https://unsplash.com/photos/wYzlVtsrWvM

Nell’immaginario collettivo vivere in una Capitale equivale a godere di servizi di qualità, maggiori possibilità di lavoro, migliori opportunità di vita, più occasioni di svago e di socializzazione. Al contrario i piccoli centri, così come la provincia e la periferia, sono sinonimi di contesti difficili, con tessuti sociali lacerati, spesso mal collegati, in poche parole fuori dal mondo. È così per Londra, Parigi, Berlino, Madrid, ed è così in parte per Roma.

Roma in numeri: una realtà unica in Italia

Chiaramente paragonare tra loro città diverse senza tenere conto delle differenze di natura geopolitica, demografica, storica, sociologica e antropologica, sarebbe inutile quanto inopportuno. È però un dato di fatto che Roma rappresenti un unicum per le sue caratteristiche, prima di tutto fisiche: 1.285 km quadrati, 15 Municipi ciascuno con un numero di abitanti comparabile a quello di molti grandi comuni italiani. La dimensione demografica media dei 15 municipi di Roma è infatti di circa 191 mila abitanti, con il municipio più popoloso, il VII, che conta un numero di abitanti pari a oltre 307 mila, mentre il meno popoloso, l’VIII, oltre 130 mila.

La sola Roma Capitale è estesa quanto 8 città italiane. Al mese di giugno del 2020 la popolazione residente nella città metropolitana di Roma capitale ha raggiunto la consistenza di 4.320.088 abitanti, confermando il primato di prima Città metropolitana del Paese per numero di abitanti. I residenti nell’hinterland sono il 34% della popolazione della città metropolitana di Roma.

Ripartire dai bisogni delle persone

Più che numeri da Capitale sono numeri da capogiro. Ma di tutti i valori e significati che porta con sé il concetto di Capitale, è utile evidenziarne uno: essere non una città “prima tra tutte” ma “prima tra pari”, con una precisa mission, quella di essere da esempio, pioniera di nuove strategie, capace di tracciare sentieri inesplorati e accendere luce laddove vigono ancora solo timidi tentativi di cambiamento. Roma deve rappresentare un esempio per il Paese e ancor prima per le realtà locali, per il mondo delle imprese e delle associazioni presenti sul territorio. Un territorio immenso quello della Capitale d’Italia, talmente grande da far paura. Difficile coglierne i confini senza rischiare di perdere la visione d’insieme.

L’impressione che si ha quando si vive a Roma è di non conoscerla mai fino in fondo, di finire sopraffatti dalle sue dimensioni e di restare spaesati.

Ma la città, che ha fatto i conti con una sempre più rapida espansione oltre i confini del Grande Raccordo Anulare, sembra negli anni aver reagito con una naturale propensione ad auto-organizzarsi per quartiere, creando dei micro mondi autosufficienti e sempre più a misura d’uomo, che però esistono e coesistono in un sistema più ampio che è la città metropolitana.

Bene, forse assecondare questa propensione naturale dei quartieri e dei cittadini è la strada da percorrere se si vuole ripartire dai bisogni delle persone.

In fondo cosa vuol dire vivere in una città a misura d’uomo?

  • Sentirsi parte di una comunità e non un semplice numero.
  • Avere a disposizione spazi per l’ascolto e per la condivisione.
  • Trovare il modo per ritagliarsi tempo libero al di là degli impegni e del lavoro.
  • Accedere alle informazioni utili in modo diretto e semplice.  
  • Arrivare al cuore delle istituzioni senza doversi necessariamente allontanare dal proprio quartiere.

E come realizzare tutto questo se non attraverso un processo integrato di transizione al digitale e di innovazione continua per arrivare ad un cambio di paradigma e a porre le basi per la realizzazione delle città del futuro, ispirandosi al modello delle Smart City e della città del quarto d’ora?

Quest’ultimo, teorizzato per Parigi da Carlos Moreno e dallo staff del dipartimento di innovazione territoriale dell’Università Sorbonne, nasce da una considerazione: «Viviamo in città frammentate, dove spesso lavoriamo lontano da dove viviamo, dove non conosciamo i nostri vicini, dove siamo soli».

Il modello della “città del quarto d’ora”

L’idea di fondo è che si possa far tutto (o almeno le funzioni sociali urbane fondamentali) nel giro di 15 minuti a piedi o in bicicletta dalla propria abitazione: vivere e acculturarsi, lavorare, fare acquisti utili di beni e servizi, curarsi, godere del tempo libero (fare sport, mangiare bene, condividere).

Gli esempi non mancano, dai superblocks di Barcellona allo sviluppo Every One Every Day per ricostruire la coesione sociale nell’Est di Londra. Senza trascurare i 20 minute neighborhoods creati a Portland, negli Stati Uniti.

Senza andare troppo lontano, a ben osservare si tratta di una tendenza già in atto anche a Roma, come dimostrano gli uffici in co-working di quartiere nati in epoca pre-Covid, oggi sostituiti in parte dallo Smart working, le esperienze di orti urbani, le associazioni come Retake che fanno della partecipazione e della cura degli spazi di vicinato una vera e propria mission, la rete di commercio di prossimità, che con la pandemia ha avuto un enorme sviluppo, fino a far nascere il Delivery di quartiere con la start up innovativa Daje! creata  da un gruppo di giovani, che il 20 marzo, in pieno lockdown, ha lanciato online una piattaforma che ospita le piccole botteghe di quartiere. È da queste istanze ed energie nate dal basso, dagli stessi cittadini, che le amministrazioni locali stanno ripartendo, Roma in primis, per rispondere alle esigenze della popolazione, e garantire ascolto, partecipazione, supporto e voce soprattutto alle categorie più vulnerabili.

Le iniziative di Roma Capitale

In questo senso numerose sono state le iniziative, i progetti, le campagne di comunicazione, le soluzioni innovative messe in campo per sostenere i cittadini, a partire ad esempio dalla riorganizzazione del Portale Istituzionale e dell’offerta di servizi online disponibili per tutti i city user, alla creazione dei mini-siti RomaAiutaRoma e RomaRiparte, spazi in cui orientarsi nell’offerta di servizi informativi e di supporto alla cittadinanza, specie in questo periodo di crisi pandemica, passando per strumenti di enorme utilizzo quali le FAQ e l’URP Online, fino ad arrivare al ChatBot, il sistema di assistenza virtuale attivo su RomaRiparte.

La rivoluzione urbana in atto dovrà essere assecondata e guidata con l’aiuto della tecnologia, creando servizi avanzati, quelli di cui sempre più persone si avvalgono anche grazie all’utilizzo diffuso di smartphone e tablet, ma anche quelli che animeranno le future piazze smart come free wifi e connessione Bluetooth, schermi interattivi con l’integrazione dei servizi, illuminazione sostenibile, panchine con pannelli fotovoltaici che consentono di ricaricare il proprio smartphone o qualsiasi altro device mobile.

Socialità e sviluppo tecnologico per un “nuovo umanesimo”

Il monito però resta sempre lo stesso: la tecnologia non basta, sono le persone che devono imparare a interagire in modalità smart. C’è bisogno di un “nuovo umanesimo”, che è legato al coinvolgimento attivo delle persone. Bisogna fondere in modo equilibrato socialità e sviluppo tecnologico, creando nuovi spazi di comunicazione e di interazione sociale

Sono temi emersi già da qualche anno, citiamo ad esempio un articolo che risale al 2012: “La pervasività della rete e la disponibilità di apparati sempre connessi hanno reso possibile la nascita di nuove forme di partecipazione e influenza che nascono dal basso. I cittadini sono oggi in grado di agire volontariamente e influenzare l’operato delle amministrazioni. (…) L’amministrazione pubblica di una vera smart city stimola la presenza di questi fenomeni, si avvale della loro incisività, incoraggia le forme di auto-organizzazione e di resilienza che si sviluppano sui social media e nel territorio (articolo di Claudio Forghieri, in quel momento Direttore di Smart City Exhibition, la manifestazione di FPA poi diventata ICityLab e poi ancora FORUM PA Città).

Cosa aspettarsi quindi dalle città del futuro e da Roma: dal centro alle periferie le stesse possibilità per tutti in un sistema democratico. Un sistema efficace, di prossimità, con minori sprechi di risorse e di energie, una maggiore collaborazione e partecipazione, una risposta positiva da parte della user experience, un maggior controllo dei processi.

È questa l’idea, vale a dire portare i servizi laddove servono al cittadino, al city user, alle imprese, definendo la strategia migliore a partire dalle caratteristiche culturali e di identità del Municipio o del quartiere.

Lo spazio si frammenta per poter trovare una nuova collocazione nel tutto, con il risultato che tutti gli elementi hanno la stessa dignità e la stessa importanza, pur mantenendo caratteristiche specifiche, e insieme concorrono a creare nuove realtà.

Interi quartieri dormitorio senza anima aspettano solo di essere rivitalizzati, quartieri pieni di giovani, di famiglie, di bambini, di anziani, di italiani, di stranieri, di ricchezza nella diversità, che possono trovare un senso nuovo di comunità nel segno dell’integrazione, dell’inclusione, della resilienza, in piena sintonia con gli obiettivi strategici del Piano Roma Smart City:

Smart City deve diventare un modello per il miglioramento della qualità della vita della popolazione senza alcuna discriminazione, trasversale a tutte le aree dell’Amministrazione e che consente di dispiegare la visione di una città sostenibile, resiliente, aperta, collaborativa, trasparente, partecipata, connettiva, creativa”. (Linee di Indirizzo Roma Smart City)

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