Servizi Condivisi. L’Unione fa la forza
Per la gestione di servizi condivisi, la tecnologia, nella sua veste di piattaforme tecnologiche, svolge un’azione funzionale all’erogazione di migliori servizi e strumentale in quanto abilita la creazione di community territoriali che si spingono oltre i confini posti a livello istituzionale e normativo. Siamo nel pieno del paradigma della platform society e della platform economy
19 Gennaio 2018
Giovanna Stagno
Le città e le comunità territoriali sperimentano un nuovo modello organizzativo sinergico e collaborativo, nel quale la tecnologia svolge un ruolo importante di facilitatore e potenziatore delle capacità di cooperazione in ambiti territoriali vasti. Si tratta del modello degli shared services, funzioni e servizi distribuiti, collegati e condivisi attraverso piattaforme tecnologiche, che garantiscono un efficace presidio di quelle funzioni strategiche che nella tradizionale frammentazione istituzionale dei territori risultavano spesso penalizzate.
Alla base di questo nuovo modello di servizi condivisi ci sono alcuni elementi e dimensioni chiave. In primo luogo gli shared services hanno una forte dimensione tecnologica. La tecnologia non è vista come un obiettivo, un fine da raggiungere ma come un fattore che abilita lo sviluppo e la crescita dei territori. Ed è proprio la tecnologia esistente ad offrire opportunità che prima non erano immaginabili. La tecnologia così ridisegna i territori e modella le forme di condivisione e di aggregazione. La tecnologia, nella sua veste di piattaforme tecnologiche per la gestione di servizi condivisi, svolge un’azione funzionale all’erogazione di migliori servizi e strumentale in quanto abilita la creazione di community territoriali che si spingono oltre i confini posti a livello istituzionale e normativo. Siamo nel pieno del paradigma della platform society e della platform economy.
La tecnologia perde così la dimensione penalizzante, quella del gap tra i territori, diventando un fattore che può unire. Qui scatena tutta la sua funzione di collante, favorendo e abilitando la cooperazione tra territori.
Il secondo elemento alla base del modello degli shared service è il paradigma collaborativo all’interno della PA che esso contribuisce a portare a compimento. Si tratta di una trasformazione importante che, come abbiamo detto più volte, si realizza da una parte applicando le logiche collaborative all’interno della singola PA e tra PA diverse, dall’altra parte ridisegnando l’intera governance territoriale e, in particolare, i rapporti con gli stakeholder e i processi di creazione di valore. Da questo punto di vista giocano un ruolo fondamentale da un lato le piattaforme collaborative online e dall’altro le pratiche collaborative con forte radicamento territoriale, in cui l’elemento tecnologico fa da acceleratore per la nascita delle comunità locali.
Questo è tanto più vero se si considerano piccoli Comuni, città di medie dimensioni, Unioni di Comuni il cui successo amministrativo non può che dipendere da uno sforzo di lavoro in chiave collaborativa sui tre livelli dell’innovazione istituzionale, organizzativa e tecnologica. Il modello degli shared services supporta, quindi, una nuova governance partecipata e condivisa del territorio orientata allo sviluppo e alla crescita dello stesso.
È chiaro che, alla base di tutto questo, deve necessariamente esserci una volontà di aggregazione che vada oltre l’adempimento normativo e oltre l’equivalenza aggregazione-riduzione dei costi. “L’aggregazione va piuttosto riconosciuta come l’unica strada possibile per definire il presente e progettare il futuro”, come sottolinea Gianluca Galimberti, sindaco di Cremona.
Da questo punto di vista le aggregazioni territoriali, nell’ottica di sviluppo di cui dicevamo prima, valorizzano le specificità e le identità del territorio a cui appartengono e sono tanto più efficaci quanto più si autogenerano piuttosto che essere calate dall’alto o imposte dal centro.
Per chiudere con un non facile tentativo di sintesi delle parole chiave del modello degli shared services, non si possono non menzionare le seguenti:
- Modello della rete, che vuol dire confronto ma anche progettualità condivise. Aggregarsi per gestire servizi condivisi non è solo un modo per ridurre i costi, ma è un nuovo modo di intendere e governare la rete: a livello territoriale non abbiamo più singole realtà diverse, ma ci troviamo davanti a network di persone, competenze e istituzioni.
- Riuso, che consente da una parte un abbattimento dei costi, dall’altra un miglioramento continuo delle soluzioni progettate. Da questo punto di vista il riuso è fondamentale perché permette di ripetere quello che funziona e di mettere a sistema le buone esperienze e i casi di successo.
- Empowerment e formazione, fondamentali per accompagnare le amministrazioni e i dipendenti verso un cambiamento che è in primo luogo culturale e organizzativo. Il rafforzamento delle competenze e delle conoscenze dei dipendenti pubblici è fondamentale: non è possibile portare avanti un cambiamento se questo non passa in primo luogo dalle persone che nelle istituzioni lavorano.
- Tecnologia, come strumento abilitante per assecondare questi processi e l’assunzione di nuovi modelli di governo del territorio.
- Cooperazione tra “stato, mercato e comunità”, un fattore forte e indispensabile, in cui ciascuna componente apporta un contributo necessario allo sviluppo territoriale, valorizzandone le specificità e le caratteristiche e mettendole a sistema con quelle limitrofe.
- Sostenibilità: fare una PA nuova vuol dire in primo luogo riflettere sulla sostenibilità. Gli shared services agevolano la sostenibilità in termini di costi, di governance, di servizi resi, di competenze.
Questo articolo è parte del dossier “Shared services: un nuovo modello per i servizi pubblici locali”