Infosfera e reputazione: come cambia la comunicazione e quali competenze richiede
Il processo di digitalizzazione ha subito nelle ultime settimane un’accelerazione del tutto inedita e questo lascerà sicuramente delle tracce nel nostro modo di interpretare la realtà anche quando finirà questa emergenza. Ma cosa è successo nel campo della comunicazione pubblica? Cosa abbiamo imparato da questa esperienza? Ne abbiamo parlato con Daniele Chieffi, giornalista, comunicatore e autore del libro “La reputazione ai tempi dell’infosfera”
16 Aprile 2020
Michela Stentella
Content Manager FPA
Partiamo da un’analisi di contesto: la crisi che stiamo vivendo ha messo il digitale al centro della nostra esperienza quotidiana, come mai era successo prima. Il digitale (pur con tutte le difficoltà del caso e le differenze di contesto) è entrato nella vita quotidiana delle famiglie, che per continuare a lavorare e studiare (ma anche mantenere i contatti sociali) stanno sperimentando, ad esempio, piattaforme di videoconferenza, streaming e messaggistica, cominciando ad appropriarsi anche di un vocabolario che prima era ad uso e consumo degli addetti ai lavori. Il processo di digitalizzazione, insomma, ha subito un’accelerazione del tutto inedita ed estremamente potente e questo lascerà quasi sicuramente delle tracce nel nostro modo di interpretare la realtà anche quando si tornerà alla normalità.
La comunicazione nell’emergenza Covid-19
In questa situazione, che cosa è successo nel campo della comunicazione? È la prima volta che il nostro Paese ha dovuto fronteggiare un’emergenza sanitaria di tali dimensioni in un contesto di disintermediazione delle informazioni, di eccesso e rapidità di condivisione delle notizie, di difficoltà a verificare in maniera adeguata la veridicità delle fonti. Ne parleremo in un appuntamento dedicato all’interno del FORUM PA 2020 di luglio, ma su questi temi abbiamo già avviato una riflessione con esperti del settore (segnaliamo, per esempio, questo articolo di Eugenio Iorio). Abbiamo quindi chiesto di approfondire questi spunti a Daniele Chieffi, giornalista, comunicatore, Direttore della collana “Neo – Scenari dell’innovazione digitale” di Franco Angeli per la quale ha recentemente pubblicato il libro “La reputazione ai tempi dell’infosfera”.
“Ci troviamo di fronte a un cambiamento culturale netto nella percezione di quanto siano importanti le tecnologie digitali – esordisce Chieffi –. Questo spostamento sul digitale crea nuove esigenze da parte dell’utente e del cittadino, il che ci costringerà inevitabilmente ad essere molto più pronti ed efficaci, strutturati dal punto di vista della risposta e dell’offerta dei servizi digitali in senso ampio. Dal punto di vista della comunicazione, questo processo si inserisce all’interno di una trasformazione che era in atto già prima dell’attuale emergenza, solo che mancava la giusta consapevolezza proprio da parte dei comunicatori (pubblici e privati). Tutta la gestione della comunicazione pubblica e, in generale, dei flussi di comunicazione legati a questa emergenza hanno testimoniato che non si era consapevoli del fatto che fosse cambiata la realtà di riferimento”.
“Prima del digitale – prosegue Chieffi – una situazione del genere sarebbe stata governata con una relazione diretta tra chi deteneva le informazioni e i media, che avrebbero intermediato la veicolazione verso il pubblico di riferimento. Esisteva una sorta di “controllo” della costruzione della realtà che appariva al pubblico, perché a raccontarla erano i media che la negoziavano con i possessori dell’informazione. Oggi non esiste più questa intermediazione, tutti producono, veicolano e ridiffondono informazioni e tutti reagiscono a quello che vedono costruendo delle gigantesche, globali conversazioni. Queste narrazioni sono spontanee, quindi non controllabili. Se un’istituzione veicola un’informazione questa arriverà al pubblico insieme a tantissime altre provenienti da altre fonti (istituzioni, media, persone vicine, social etc) e tutto contribuirà a costruire una narrazione della realtà che non è più controllabile a monte”.
Costruire narrazioni nell’Infosfera
È la cosiddetta infosfera in cui tutti viviamo e che dovrebbe diventare il contesto di riferimento per chi si occupa di comunicazione.
“Nel contesto dell’infosfera, dobbiamo imparare a governare la percezione che le persone hanno dei nostri messaggi. Non parliamo di plasmare le coscienze, è qualcosa di più tecnico. Significa tenere in considerazione le sensibilità, i valori e, quindi, costruire il messaggio anche in base a come le persone potrebbero reagire, perché la loro reazione non sarà altro che la costruzione di un messaggio che diventa collettivo, all’interno di processi che sono a tutti gli effetti sociali e condivisi. Questa crisi ci ha fatto scontrare violentemente con il fatto che non bastano più le tecniche di comunicazione tradizionali, ma dobbiamo essere profondamente attenti a comprendere tutte le dinamiche profondamente psicologiche e cognitive che questa realtà ha messo in gioco. Dobbiamo essere in grado di costruire le giuste narrazioni, con i giusti strumenti e sulle giuste piattaforme, in modo che i nostri interlocutori si costruiscano una rappresentazione della realtà aderente al messaggio che vogliamo veicolare”.
Il peso della reputazione
Entra qui in gioco un altro concetto molto importante: la reputazione. La reputazione non ci appartiene, è una costruzione sociale, è il modo in cui il nostro contesto sociale ci giudica e ci accetta o meno. La gigantesca novità è che questo ora non vale più solo per le persone, ma per istituzioni, aziende, professioni, perfino per le idee.
“Questa crisi ha messo in evidenza quanto la reputazione, cioè la credibilità e l’autorevolezza di un soggetto all’interno del contesto sociale nel quale opera, abbia un ruolo centrale. Se un soggetto, che pure ricopre un ruolo di fonte ufficiale, ha un debito reputazionale, allora viene meno la credibilità dei messaggi che veicola. Una fonte può essere ufficiale, ma non autorevole. Viceversa, quando qualcuno ha una leadership sostanziale e non formale, che cioè non dipende dal ruolo che ricopre ma viene riconosciuta dalla comunità dal basso, il portato di credibilità e di valore dell’informazione che riesce a veicolare è molto alto. Insomma, la credibilità te la devi conquistare, è il tuo contesto sociale che te la riconosce”.
Competenze nuove: non si può più rimandare
Da tutte queste riflessioni scaturisce, evidentemente, la necessità di un forte aggiornamento delle competenze del comunicatore e, allo stesso tempo, nuove sollecitazioni arricchiscono il dibattito da tempo aperto sulla revisione della Legge 150 sulla comunicazione pubblica.
“Non basta saper scrivere un buon comunicato stampa, un post sui social o avere una buona rubrica di giornalisti – precisa Chieffi -. Oggi ai comunicatori sono richieste skill professionali nuove, molto impegnative e sfidanti: la capacità di interpretare le dinamiche di tipo psicologico, cognitivo e sociologico che muovono l’infosfera; la capacità di conoscere, analizzare e interpretare bene i dati che il digitale restituisce dati, per poterli tradurre in un’azione efficace ed efficiente; competenze manageriali e progettuali, per mantenere una visione coerente e strategica dei diversi flussi della comunicazione; una spiccatissima sensibilità verso ciò che è rilevante per il pubblico di riferimento, che altro non è, giornalisticamente parlando, che il senso della notizia; infine tutte le competenze tecniche necessarie per utilizzare le piattaforme digitali”.
Un riferimento particolare ai social media: “Dobbiamo smetterla di pensare ai social come a piattaforme editoriali su cui pubblicare qualcosa. Non è così, i social sono per definizione piattaforme che abilitano la conversazione il rapporto e la relazione. Altro aspetto fondamentale: è vero che i social sono un potentissimo strumento di diffusione di fake news, ma l’unico modo per contrastare la cattiva informazione è quello di innescare buone conversazioni, esserci ed esserci nella maniera giusta e più incisiva ed efficace possibile”.
La revisione della Legge 150
“La Legge 150 nasceva nell’era dell’intermediazione. Oggi è richiesta una figura professionale completamente nuova, con caratteristiche più simili a quella che in azienda viene chiamata chief communication officer, il capo della comunicazione che siede accanto al capo azienda (e che nel settore pubblico traduciamo con il responsabile apicale della struttura), e che ha una visione olistica di come l’ente, l’organizzazione, l’istituzione che rappresenta debba essere percepita verso l’esterno”.
In conclusione, cosa possiamo mettere a frutto da questo momento così drammatico?
“In generale, l’opportunità enorme deriva dal fatto che adesso finalmente tutti quanti abbiamo una consapevolezza più forte del ruolo del digitale – conclude Chieffi –. Se la cogliamo adesso (tutti, dai comunicatori alle aziende alle amministrazioni) riusciremo a fare in poco tempo una forte innovazione consolidando alcune cose che stanno già accadendo, sfruttando questa onda lunga una volta finita l’emergenza. Dal punto di vista della comunicazione dobbiamo imparare da ciò che abbiamo sbagliato, perché il problema non è tanto come affrontare eventualmente un’altra crisi, ma è gestire la normalità con gli strumenti adatti alla nuova realtà”.