Open Data Maturity Report 2021: ecco perché ci racconta uno scenario (finalmente) in movimento

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È stato pubblicato l’Open Data Maturity Report 2021, che analizza la maturità nelle politiche sui dati aperti nei Paesi europei. Siamo sempre tra i fast-trackers (i Paesi a veloce progressione), precisamente all’ottavo posto sui 34 Paesi partecipanti all’indagine (una posizione in più rispetto all’anno scorso). Ma un aspetto sicuramente più interessante delle classifiche è la presenza di uno scenario finalmente un po’ più dinamico rispetto al passato. Forse per la prima volta emergono nuovi elementi che potrebbero far fare concreti passi in avanti sui dati aperti

16 Dicembre 2021

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Michela Stentella

Direttrice testata www.forumpa.it

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Vincenzo Patruno

Project Manager e Open Data Evangelist - Istat

Photo by Standsome Worklifestyle on Unsplash - https://unsplash.com/photos/SigR5QPEA78

Un anno fa, presentando i risultati dell’Open Data Maturity Report aprivamo con l’invito a non dimenticare le lezioni apprese nel 2020, anno in cui la pandemia aveva portato a una riflessione del tutto inedita sul tema dei dati, sotto la spinta del dibattito sul monitoraggio dei contagi e sul valore delle politiche data-driven nel contrasto alla pandemia. A dodici mesi di distanza, con un dibattito sul tema forse meno caldo ma sempre attuale, è stata pubblicata l’edizione 2021 (la settima) del report che analizza la maturità nelle politiche sui dati aperti nei Paesi europei: proviamo a vedere cosa ci racconta. Vediamo, quindi, cosa emerge dall’Open Data Maturity Report 2021.

Le dimensioni dell’Open Data Maturity Report

Ricordiamo prima di tutto che il report valuta il livello di maturità sulla base di quattro dimensioni: Politiche (Quadro politico, Governance dei dati aperti, Implementazione dei dati aperti), Portali (Caratteristiche del portale, Utilizzo del portale, Fornitura dei dati, Sostenibilità del portale), Impatto (Consapevolezza strategica, Impatto politico, Impatto sociale, Impatto ambientale, Impatto economico), Qualità (Monitoraggio e misurazioni, Attualità e completezza, Conformità DCAT-AP, Qualità della realizzazione). I Paesi sono riuniti in quattro gruppi: trend-setter, fast-tracker, follower e beginner, dal più maturo al meno maturo. Sono fornite inoltre raccomandazioni personalizzate a seconda del livello di maturità e delle caratteristiche di ognuno di questi gruppi. 

Open Data Maturity Report 2021: come si posiziona l’Italia

Rispetto alla precedente edizione, siamo sempre tra i fast-trackers (i Paesi a veloce progressione), precisamente all’ottavo posto sui 34 Paesi partecipanti all’indagine (una posizione in più rispetto all’anno scorso).

Se guardiamo al factsheet di dettaglio relativo al nostro Paese, vediamo che l’Italia si colloca sopra la media UE per tutte le dimensioni e che le migliori performance si registrano, come lo scorso anno, nelle dimensioni Impatto (in cui l’Italia è addirittura nella prima posizione insieme ad altri 6 Paesi: Francia, Estonia, Spagna, Polonia, Irlanda e Finlandia) e Politiche (in cui è in seconda posizione, dopo la Slovenia e insieme a Francia, Ucraina e Danimarca). Meno buoni, invece, i risultati della dimensione Portali (14esima posizione) e Qualità (19esima).

In generale, comunque, la valutazione complessiva ottenuta dal nostro Paese è sostanzialmente in linea con quella ottenuta lo scorso anno. E come già accaduto lo scorso anno, la sensazione è che si tratti di una valutazione piuttosto generosa, frutto essenzialmente delle modalità con cui i dati vengono raccolti per produrre il report (la Commissione europea utilizza i dati inviati dagli Stati coinvolti nell’indagine. In Italia, per esempio, è l’Agenzia per l’Italia Digitale, in qualità di centro di competenza nazionale, a raccogliere i dati utili a realizzare l’indagine coinvolgendo le amministrazioni di livello centrale, regionale e locale, al fine di raccogliere elementi quanto più completi e dettagliati capaci di descrivere lo stato di attuazione delle politiche di open data).  

Uno scenario in evoluzione

di Vincenzo Patruno

Un aspetto sicuramente più interessante delle necessarie classifiche che vengono redatte nel report, è la presenza di uno scenario finalmente un po’ più dinamico rispetto al passato. Forse per la prima volta emergono nuovi elementi che potrebbero, il condizionale è d’obbligo, far fare concreti passi in avanti sui dati aperti, tirandoli fuori da una oggettiva situazione di stallo che si è venuta a creare negli ultimi tempi, in particolar modo in Italia.

Innanzitutto la Direttiva europea 2019/1024. Il rapporto evidenzia come tra gli Stati Membri sia ancora in corso di approvazione il recepimento della direttiva europea 2019/1024 sull’apertura dei dati e il riutilizzo dell’informazione del settore pubblico. Sebbene con qualche mese di ritardo, il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva una serie di decreti legislativi di attuazione delle norme europee, tra cui anche quello relativo alla direttiva in questione.

C’è ancora del lavoro da fare, sarà necessaria l’adozione di un regolamento europeo da parte della Commissione Europea come ad esempio la lista degli “High Value Datasets”, ossia un insieme di dataset appartenenti ad una serie di macrocategorie (dati geospaziali, dati relativi all’osservazione della terra e all’ambiente, dati meteorologici, dati statistici, dati relativi alle imprese e alla proprietà delle imprese, dati relativi alla mobilità) da rendere disponibili come dati aperti attraverso API (o anche in certi casi in bulk download). Sono questi dati che spesso hanno enormi potenzialità se rilasciati in tempo reale e che possono produrre così un importante impatto dal punto di vista economico. Per questa ragione la Commissione Europea sta puntando molto su di essi. Sarebbe oltretutto un modo per cominciare a mettere finalmente un po’ di ordine in quella che è diventata una “giungla” di dati, dove le pubbliche amministrazioni hanno sin dall’inizio pubblicato come Open Data quello che hanno voluto e molto spesso quello che hanno potuto.

Rilasciare dataset ad alto valore, con dati in tempo reale o comunque con dati costantemente aggiornati accessibili via API (e aggiungerei rilasciati secondo standard condivisi) diventa un passo importante e un impegno della PA italiana verso quel mercato unico dei dati a livello europeo auspicato nella Strategia europea dei Dati e nel Data Governance Act.

Open data per creare valore

L’impatto è sempre stato un po’ un punto debole degli Open Data. È sicuramente un aspetto piuttosto complesso da misurare e quando lo si è provato a fare i risultati non sono sempre stati incoraggianti. Ad ogni modo il maturity report rileva come sempre più Paesi europei stiano cercando di capire meglio come gli Open Data pubblicati vengano utilizzati per creare valore. E questo non più soltanto attraverso gli analytics dei portali open data nazionali o aggiornando la lista dei casi d’uso ma mediante specifiche survey e ricerche “a tavolino”. Questo è un aspetto molto importante in quanto denota come misurare l’impatto sociale ed economico dei dati aperti stia finalmente diventando un elemento centrale per sviluppare le politiche più efficaci sugli Open Data. È infatti questo il motivo per cui esistono i dati aperti. Se non generano impatto, allora vuol dire che probabilmente stiamo sbagliando qualcosa.

Il ruolo della società civile

Su questo fronte non c’è dubbio che l’emergenza Covid-19 abbia contribuito in modo profondo su due aspetti. A causa dell’emergenza si è cominciato a pubblicare dati in modo sistematico. Questo ha contribuito in modo importante proprio a generare impatto sulla società. Giornalisti, professionisti, scienziati, statistici, le stesse pubbliche amministrazioni e in generale la società civile hanno infatti cominciato a produrre informazione, dashboard di monitoraggio, studi e proiezioni sull’evoluzione della pandemia o anche della campagna vaccinale.

Nell’Open Data Maturity Report 2021 viene citata e portata come esempio di riuso dei dati da parte della società civile l’applicazione “Vaccini per tutti” sviluppata dall’associazione onData sugli Open Data rilasciati dal Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 – Presidenza del Consiglio dei Ministri. Quello che invece non viene detto è che ci sono 255 organizzazioni che proprio sui dati Covid hanno promosso la campagna #datibenecomune, una campagna che è nata per chiedere alle istituzioni il rilascio di tutti i dati disaggregati e machine-readable sull’emergenza Covid. Open Data che ancora oggi sono stati rilasciati soltanto parzialmente e che hanno messo a nudo tutte le difficoltà del nostro Paese a raccogliere sistematicamente dati e a fare le corrette politiche sugli Open Data.

La campagna è in continua evoluzione e oggi sta chiedendo al governo di rilasciare i dati necessari per consentire il monitoraggio dei progetti del PNRR. Cosa che oggi non è possibile fare con i dati pubblicati (peraltro male) sul portale italiadomani. Tanto è vero che ci ha dovuto pensare la fondazione Openpolis provando a rilasciare dati adatti allo scopo ottenuti incrociando diverse fonti. Generare impatto vuol dire anche mettere nelle condizioni la società e più in generale il sistema socio-economico di farlo. E su questo fronte la strada sembra purtroppo ancora piena di ostacoli. 

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