Open data: nella “pagella” dell’Italia, insufficienza in geografia

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I dati geografici sono tra i più scaricati dai siti open data degli enti pubblici italiani, come si vede dalle statistiche on line: sul sito della Regione Emilia-Romagna sono al primo posto per numero di download, mentre su quello del Piemonte sono secondi solo ai dati relativi a Scuola e Formazione. Ma nonostante queste cifre, che dimostrano un grande interesse, sono ancora poche le amministrazioni che li mettono a disposizione di altri enti, cittadini e imprese. A spiegarci perché i dati geografici sono un vero e proprio patrimonio comune e perché è necessario “liberarli” è Giovanni Biallo, presidente dell’Associazione OpenGeoData Italia e direttore del media-web www.geoforus.it.

7 Febbraio 2012

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Michela Stentella

Articolo FPA

I dati geografici sono tra i più scaricati dai siti open data degli enti pubblici italiani, come si vede dalle statistiche on line: sul sito della Regione Emilia-Romagna sono al primo posto per numero di download, mentre su quello del Piemonte sono secondi solo ai dati relativi a Scuola e Formazione. Ma nonostante queste cifre, che dimostrano un grande interesse, sono ancora poche le amministrazioni che li mettono a disposizione di altri enti, cittadini e imprese. A spiegarci perché i dati geografici sono un vero e proprio patrimonio comune e perché è necessario “liberarli” è Giovanni Biallo, presidente dell’Associazione OpenGeoData Italia e direttore del media-web www.geoforus.it.

Cosa intendiamo per open data geografici?

I dati geografici sono prodotti soprattutto dalle Regioni e, in particolare, sono quelli che vanno a costituire la carta tecnica regionale, il cosiddetto data base topografico, in genere in scala 1:5000 o 1:10000, che è la base per tutte le attività di gestione e pianificazione del territorio. Le Regioni producono, inoltre, le cosiddette ortofoto, immagini del territorio ripreso dall’aereo, come quelle che si vedono su google per intenderci ma con una accuratezza decisamente maggiore e, quindi, più affidabili per gli usi professionali. Questi dati, se qualitativamente validi e aggiornati, hanno un grande valore non solo per gli enti, ma anche per le aziende, i professionisti e i privati. L’Associazione OpenGeoData Italia, nata nel luglio scorso, si pone proprio l’obiettivo di stimolare la “liberazione” di questi dati, al fine di consentirne a tutti il riuso. In questa azione devono impegnarsi prima di tutto le Regioni che, come ho già detto, sono i più grossi produttori di cartografia in Italia. Andrebbero poi coinvolti enti nazionali, come il Catasto, l’Istituto geografico militare che produce anche cartografia per uso civile, l’Istituto Idrografico della Marina e il Centro di Informazioni Geotopografiche dell’Aeronautica che producono cartografia specifica per la navigazione in mare e aerea. Ci sono poi anche i Comuni con le cartografie di massimo dettaglio che servono per la pianificazione urbana, anche se molti di essi basano la propria pianificazione sul dato regionale. In definitiva, il peso dei dati prodotti dalle Regioni è intorno all’80-85 per cento sul totale, solo il restante 15 per cento è prodotto da altre amministrazioni.

In Italia le Regioni si stanno muovendo in questo particolare settore?

In Italia abbiamo una situazione molto diversificata: delle 19 Regioni e 2 Province autonome, alcune (poche) sono orientate all’open data, mentre altre rendono disponibili i dati ma con molte restrizioni d’uso ed altre ancora sono completamente chiuse non solo all’open data ma alla cessione del dato in qualsiasi forma. C’è, quindi, chi rende i dati almeno parzialmente disponibili in formato open, chi li rende disponibili ma solo per determinati usi, chi li rende disponibili solo ad altre amministrazioni pubbliche e non ai privati (anche se professionisti), chi non li rende disponibili affatto. Inoltre, anche le Regioni che hanno già avviato l’operazione open data, come il Piemonte e l’Emilia Romagna, sul dato geografico si sono dimostrate carenti. Per quanto io apprezzi la loro iniziativa, devo dire che sui loro siti la parte geografica non è ancora davvero open: i dati sono pochi e difficilmente utilizzabili, sono dati a volte molto grezzi o incompleti (soprattutto i dati di base). In Italia l’unico esempio di completa apertura dei dati geografici è la Regione Sardegna, che per prima ha reso disponibile tutto il patrimonio geografico di sua proprietà, libero, scaricabile e con una propria licenza totalmente aperta. Se ne parla poco perché non ha ancora avviato una vera e propria iniziativa open, ma per quanto riguarda la parte geografica è la regione da prendere ad esempio.

Quali conseguenze avrebbe l’apertura dei dati geografici su larga scala?

In generale si può fare lo stesso discorso che vale per tutti gli altri dati pubblici: la loro liberazione potrebbe concorrere a far crescere l’economia del nostro Paese, grazie al valore aggiunto che diversi soggetti possono generare riutilizzandoli. Per quanto riguarda in particolare il dato geografico, questo ha un grande valore aggiunto prima di tutto per i professionisti. Quando si presenta una richiesta di concessione edilizia si deve allegare lo stralcio della carta tecnica regionale, lo stralcio del piano regolatore e lo stralcio del piano paesistico. Questi dati nella maggior parte dei casi non vengono resi disponibili ai professionisti, per cui si è costretti a recuperare immagini qua e là, utilizzando il salva schermo o qualche pdf. Siamo all’assurdo per cui un architetto, un ingegnere, un geometra ha bisogno di questi dati per poter chiedere alla PA l’autorizzazione a costruire, ma è la stessa PA che richiede dei dati che già le appartengono e che non rende disponibili nel modo giusto. Poi ci sono le aziende private, che dall’open data potrebbero far nascere nuove opportunità di business rendendo allo stesso tempo un servizio al cittadino. Un’azienda, per esempio, potrebbe creare un servizio per informare su tutti i trasporti disponibili in una città o nei dintorni di una città, da quelli pubblici urbani ed extraurbani a quelli privati. A Torino c’è stato un bell’esperimento in questo senso, un team ha sviluppato un’applicazione che mette insieme i dati relativi ai trasporti provenienti da varie amministrazioni e da enti privati. Le aziende che creano queste applicazioni possono guadagnare grazie alla pubblicità e, allo stesso tempo, rendono un servizio utile che la PA non riesce a fare, perché i suoi investimenti vanno in altra direzione, oppure perché non può accedere contemporaneamente a tante banche dati diverse o, semplicemente, perché rendere questo tipo di servizio non è il suo obiettivo primario.

Quindi parliamo di un utilizzo professionale, ma anche di un uso di servizio per questi dati…

Sì, ma posso fare anche altri due esempi di utilizzo, uno del tutto particolare, legato alla gestione delle emergenze, l’altro tipicamente commerciale. Nel primo caso avere il dato disponibile in linea può essere un aiuto per accelerare i tempi di intervento e gestire velocemente l’emergenza. In caso di calamità, come un terremoto o un’alluvione, se i dati fossero direttamente downlodabili qualsiasi operatore – la protezione civile, ma anche gruppi di volontari e squadre di soccorso che arrivano da varie regioni – avrebbe subito la cartografia a disposizione. Per l’esempio  esclusivamente commerciale, invece, vorrei citare il geomarketing, ovvero la possibilità di studiare il territorio per ottimizzare delle azioni commerciali in funzione della presenza di un certo tipo di popolazione e di esigenza. L’Istat nel settembre scorso ha pubblicato tutti i dati geografici relativi ai censimenti del 1991 e del 2001 (quello 2011 è attualmente in corso) con tantissimi indicatori statistici – tra cui la popolazione, le abitazioni, le fasce di età, la scolarizzazione, gli stranieri – calati a livello geografico sulle sezioni di censimento, che corrispondono in ambito urbano agli isolati. Immaginiamo che qualcuno voglia fare un’azione commerciale per promuovere un servizio per le famiglie numerose…questo è uno strumento fondamentale che l’Istat solo oggi ha reso disponibile in questa forma open data gratuita. Penso che in un momento di crisi come quello attuale tutte le azioni che possono far muovere le imprese e, quindi, l’economia del Paese debbano essere le benvenute. E l’Istat questo dato lo produce per servizio, non lo può e non lo deve far pagare.

Cosa serve in Italia per fare il salto di qualità?

Prima di tutto bisognerebbe rivedere alcuni vecchi decreti regionali, risalenti a 10 o 15 anni fa, che impongono tariffe di pagamento per la cessione a terzi della cartografia. In pratica, una volta si dovevano acquistare le carte presso il servizio cartografico della regione pagando quanto previsto dal prezziario. Sono decreti ancora in vigore, ma ormai superati, che riguardavano la cartografia tradizionale, al massimo salvata su supporti multimediali come CD o DVD. Bisogna poi vincere la resistenza da parte dei responsabili dei sistemi informativi a cedere le informazioni in maniera effettivamente open, rinunciando finalmente a una serie di regole che limitano non tanto il download quanto l’uso concreto del dato. Infine, i dati vanno resi in formati e strutture che li rendano realmente utilizzabili. Non serve pubblicare la tavoletta di una singola zona in forma digitale, come se si trattasse ancora del vecchio prodotto cartaceo. C’è bisogno che la regione venga restituita per livelli orizzontali: tutte le strade di tutta la regione, tutti i fiumi, tutto l’edificato, e così via. Il dato in questo formato già esiste, perché è così che viene lavorato all’interno dei sistemi informativi regionali. Bisogna solo renderlo disponibile a tutti. C’è, infine, il discorso sulle licenze d’uso. Perché non usare ovunque le licence creative commons, che sono tradotte in tutte le lingue e sono riconosciute a livello internazionale, invece di crearne di nuove? Per concludere, non bisogna dimenticare l’azione governativa: a livello europeo si stanno portando avanti iniziative concrete per la promozione dell’open data e anche in Italia la strada sembra ormai aperta. Bisogna continuare il percorso avviato e coinvolgere tutte le Regioni e tutti gli altri enti che possiedono i dati se vogliamo davvero vedere la nascita di un nuovo modello operativo OpenData della PA italiana.

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