Accudire “lo sforzo”: tema chiave per il futuro della società ai tempi dell’IA

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La trasformazione digitale offre infinite opportunità, ma presenta altrettanti rischi. Come salvare “lo sforzo”, quella fatica creativa e intellettuale che arricchisce davvero? Serve consapevolezza a tutti i livelli, formazione e collaborazione tra insegnanti, studenti e genitori, creatività, impegno politico e, soprattutto, la dedizione e la passione degli insegnanti

20 Novembre 2025

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Luca Attias

Dirigente generale, Direzione generale sistemi informativi automatizzati, Corte dei conti

Foto di Francisco Moreno su Unsplash - https://unsplash.com/it/foto/uomo-che-indossa-una-camicia-nera-a-maniche-lunghe-wuo8KnyCm4I

Quando si parla di trasformazione digitale della società è sempre importante avere presente lo scenario di riferimento, per cui – anche questa volta – partiamo dall’analisi del contesto senza dare nulla per scontato.

Le tecnologie digitali offrono infinite opportunità, ma presentano altrettanti rischi: se non gestite con consapevolezza e umiltà possono causare danni incalcolabili.

Ad esempio, le tecnologie digitali e i loro prodotti:

  • Possono aiutarti nella professione, ma possono distrarre da essa;
  • Possono creare nuovi posti di lavoro, ma ne sopprimeranno altri;
  • Possono eliminare molte perdite di tempo, ma rischiano di far perdere tempo più di qualsiasi altro fenomeno;
  • Possono stimolare la creatività, ma possono anche soffocarla;
  • Possono aiutare a superare i propri limiti, ma possono far emergere i propri demoni peggiori;
  • Possono aiutare nello studio, ma, viceversa, possono fare i compiti e gli esami al posto tuo;
  • Possono contribuire ad alimentare la cultura, ma possono farla apparire superflua;
  • Possono garantire informazioni rapide e certificate, ma possono veicolare misinformazione e disinformazione;
  • Possono esaltare i propri principi morali e, di conseguenza, amplificare il tuo “fare del bene”, ma possono diventare un veicolo straordinario per i propri istinti peggiori e accrescere drammaticamente il “fare del male”;
  • Possono contribuire a salvare vite umane e il pianeta Terra, ma possono annientare la vita e il pianeta stesso;
  • (l’elenco potrebbe continuare “ad libitum”).

È altresì chiaro che i giovani passano la maggior parte della loro vita connessi alla rete per lo più tramite uno smartphone. È inoltre evidente che (almeno fino ad ora) la scuola non si è occupata della questione in termini strutturali – in Italia, probabilmente, meno che in altri Paesi. Le ragioni per cui non lo ha fatto possono essere diverse ma, senza dubbio, la “giovinezza” del digitale (La giovinezza del digitale e l’elogio dell’umiltà, Luca Attias, 09 ottobre 2023) e la generale latenza della scuola italiana nel recepire i cambiamenti della società sono due fattori cruciali.

Per evitare di essere frainteso voglio sottolineare che (certamente) la criticità non riguarda solo i giovani ma l’intera popolazione; tuttavia, intervenire sulle nuove generazioni – potendo usufruire dell’importante veicolo della scuola e dell’università – è indubbiamente prioritario.

A mio modo di vedere non è più possibile continuare a far finta di nulla perché rischiamo di raggiungere il “punto di rottura”. È importante guardare in faccia la realtà, analizzare i rischi e cercare le relative contromisure.

Oggi esiste una potenza di calcolo in crescita continua (fortemente coadiuvata dall’Intelligenza Artificiale), che nella stragrande maggioranza dei contesti comprime e talvolta annulla “lo sforzo”, sia sociale che individuale (intellettuale), con rischi che – qualora non analizzati e gestiti – potranno trasformarsi in minacce concrete dagli impatti devastanti.

Il digitale, Internet e l’IA si sforzano per noi e lo faranno sempre di più. Se questa fosse colta come un’opportunità, potremmo concentrarci sulla parte aulica del nostro intelletto: la creatività; invece, siamo spesso orientati ad esaltarne i rischi; la parte che ci abbrutisce tira fuori il nostro lato più pigro e compromette la creatività stessa.

Non più complicate versioni di latino e greco, né difficili traduzioni da una lingua straniera, né sofisticati esercizi matematici, né complessi problemi di geometria, né composizioni di varia natura (eccetera, eccetera): se utilizzate passivamente, le tecnologie digitali possono fare tutto “lo sforzo” al posto nostro (persino pensare!); ribadisco, tutto ciò sarebbe una tragedia enorme.

È vero, non è una novità assoluta: nella carriera scolastica, tutti noi – chi più, chi meno – abbiamo copiato dai “più bravi della classe”, ma, anche in questo, quelle poche volte che accadeva, nella maggior parte dei casi sussisteva almeno uno “sforzo” di fantasia e creatività per non farsi beccare dai professori. Oggi, la questione sembra scalata a livello che potremmo definire “industriale”: bastano pochi click per avere tutte le risposte – creatività inclusa, che tanto inganna i docenti. Tra l’altro, la maggior parte dei professori non è affatto preparata a gestire questa situazione – il processo non può essere controllato a valle (negli effetti), ma dovrebbe essere gestito a monte (nelle cause).

Ciò non avviene solo nella scuola ma, oramai sistematicamente, anche all’università.

Alfonso Fuggetta in “Cittadini ai tempi di internet” afferma:

“Dobbiamo recuperare il senso e il significato dello studiare, la fatica della costruzione di un vero sapere che rifugge sia da un superficiale nozionismo, sia da un generico ‘saper lavorare insieme’ tanto di moda in questi tempi. E dobbiamo assaporare la soddisfazione e fin la gioia derivante dalla consapevolezza di esserci arricchiti grazie a questa fatica e a quello sforzo.”

Accudire “lo sforzo” è un tema chiave per il futuro dell’intera società!

Tra l’altro, a mio modo di vedere, “lo sforzo” ha caratterizzato da sempre (e positivamente) sia la scuola che l’università italiana, anche rispetto a quelle di diversi altri Paesi. Ciò ha anche una stretta relazione con la “fuga dei cervelli” dal nostro Paese. Non che la “fuga dei cervelli” rappresenti in sé un elemento positivo, ma la produzione di cervelli di prim’ordine certamente lo è.

Se tutta questa situazione venisse gestita con scarsa consapevolezza, l’evoluzione cognitiva dell’uomo potrebbe subire – forse per la prima volta nella storia del genere umano – un brusco rallentamento se non (addirittura) un’inversione di tendenza.

Mi sembra che ci sia l’evidente rischio di incappare in un ulteriore e perverso deadlock (stallo): il processo di trasformazione digitale (poiché in buona parte mal gestito) potrebbe provocare una diminuzione della consapevolezza complessiva (in particolare di quella digitale) e un aumento dell’analfabetismo funzionale.

Ma, allora, come salvare “lo sforzo”?

  • Con la consapevolezza a tutti i livelli;
  • con la formazione e la collaborazione congiunta di insegnanti, studenti e genitori;
  • con la creatività (adottando le giuste contromisure);
  • con l’impegno politico dell’Ue e delle strutture ministeriali del nostro Paese;
  • soprattutto, con la dedizione e la passione degli insegnanti.

Anche per questo – come ormai vado dicendo da una vita – l’educazione alla cittadinanza digitale non può non essere una nuova materia d’insegnamento scolastico.

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