Amministrazione aperta: le assurde implicazioni di una norma mal scritta

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Nell’ambito della collaborazione con lo Studio Legale Lisi, presentiamo un articolo in cui vengono analizzate le contraddizioni tra gli obblighi di accessibilità e pubblicità imposti dall’art. 18 del D.L. n. 83/2012 e i principi contenuti nel Codice per la protezione dei dati personali.

20 Dicembre 2012

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Andrea Lisi e Sarah Ungaro*

Articolo FPA

Nell’ambito della collaborazione con lo Studio Legale Lisi, presentiamo un articolo in cui vengono analizzate le contraddizioni tra gli obblighi di accessibilità e pubblicità imposti dall’art. 18 del D.L. n. 83/2012 e i principi contenuti nel Codice per la protezione dei dati personali.

Il 31 dicembre 2012 scade il termine entro cui le PA devono adeguarsi agli obblighi di accessibilità e pubblicità imposti dall’art. 18 del D.L. n. 83/2012, recante Disposizioni urgenti per la crescita del Paese, convertito, con modificazioni, dalla legge del 7 agosto 2012, n. 134. Tuttavia, a dispetto di una rubrica altisonante – Amministrazione aperta – la disposizione in commento getta non poco sconcerto a causa della profonda confusione ingenerata non solo negli operatori della PA, ma in tutti coloro in possesso di basilari nozioni giuridiche.

Appare probabile, infatti, che il nostro Legislatore, in preda alla pur lodevole intenzione di rendere maggiormente trasparenti alcuni momenti dell’agire amministrativo – come ad esempio la richiesta di consulenze a professionisti o la concessione di sovvenzioni a enti privati – in cui potevano insinuarsi sacche di clientelismo e, quindi, di aggravio ingiustificato della spesa pubblica (se non anche la commissione di illeciti penali), abbia in realtà sacrificato alcuni fondamentali principi contenuti nel Codice per la protezione dei dati personali (e, cioè, i principi di stretta necessità, di proporzionalità e di non eccedenza), nonché dimostrato un’inammissibile confusione su alcuni istituti giuridici.

Il citato art. 18, in effetti, dispone che “la concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese e l’attribuzione dei corrispettivi e dei compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati e comunque di vantaggi economici di qualunque genere di cui all’articolo 12 della legge 7 agosto 1990, n. 241 ad enti pubblici e privati, sono soggetti alla pubblicità sulla rete internet, ai sensi del presente articolo e secondo il principio di accessibilità totale di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150”.

Volendo tralasciare l’utilizzo improprio del termine “pubblicità”, riferibile a un istituto ben diverso dal “principio di accessibilità” a cui questo vocabolo pare essere posto in correlazione dal tenore letterale della disposizione, ciò che desta grande perplessità è la scelta di imporre l’applicazione di questi obblighi addirittura “in deroga ad ogni diversa disposizione di legge o regolamento (art. 18, comma 2).

Sicché, viene spontanemante da chiedersi: e il Codice per la protezione dei dati personali che fine ha fatto? Il legislatore ha inteso metterlo in cantina insieme ai tanti provvedimenti del Garante in materia di accessibilità e pubblicità?

In tale formulazione, ad esempio, il Legislatore non ha tenuto conto delle dovute distinzioni nei casi in cui le erogazioni pubbliche contemplate nella norma siano destinate a determinate categorie di beneficiari, in ragione di delicate condizioni personali – economiche, familiari, sanitarie – la cui ostensione costituirebbe una grave, palese e ingiustificata violazione dei dati personali o addirittura sensibili.

In particolare, il secondo comma dell’art. 18 impone alle PA di pubblicare, sui rispettivi siti internet istituzionali: il “nome dell’impresa o altro soggetto beneficiario ed i suoi dati fiscali; l’importo; la norma o il titolo a base dell’attribuzione; l’ufficio e il funzionario o dirigente responsabile del relativo procedimento amministrativo; la modalità seguita per l’individuazione del beneficiario; il link al progetto selezionato, al curriculum del soggetto incaricato, nonché al contratto e capitolato della prestazione, fornitura o servizio”.

Inoltre, il terzo comma dell’art. 18 prescrive addirittura che tali dati siano “resi di facile consultazione, accessibili ai motori di ricerca ed in formato tabellare aperto che ne consente l’esportazione, il trattamento e il riuso ai sensi dell’articolo 24 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”, in aperto contrasto con quanto più volte ribadito dal Garante Privacy in diversi provvedimenti.

Ma vi è di più. Il comma 5 dello stesso articolo prevede, infatti che “a decorrere dal 1° gennaio 2013, per le concessioni di vantaggi economici successivi all’entrata in vigore del presente decreto-legge, la pubblicazione ai sensi del presente articolo costituisce condizione legale di efficacia del titolo legittimante delle concessioni ed attribuzioni di importo complessivo superiore a mille euro nel corso dell’anno solare previste dal comma 1, e la sua eventuale omissione o incompletezza è rilevata d’ufficio dagli organi dirigenziali e di controllo, sotto la propria diretta responsabilità amministrativa, patrimoniale e contabile per l’indebita concessione o attribuzione del beneficio economico”.

A riguardo, non appare comprensibile la ratio sottesa alla scelta di porre la pubblicazione delle menzionate informazioni sui siti internet istituzionali delle PA quale “condizione legale di efficacia” del titolo legittimante delle concessioni e attribuzioni.

Atteso, infatti, che il Legislatore non abbia voluto evidentemente conferire alla pubblicazione in commento un effetto di pubblicità costitutiva, ma neanche di mera pubblicità notizia, appare difficilmente configurabile al caso di specie anche un effetto di pubblicità dichiarativa.

Ciò in quanto, per il meccanismo delineato dalla norma, l’omessa pubblicazione determinerebbe la mancanza di efficacia del titolo nei confronti di soggetti terzi, ma in realtà l’unico soggetto interessato sarebbe il soggetto o l’ente beneficiario, il quale potrà rilevare la mancata, incompleta o ritardata pubblicazione, “anche ai fini del risarcimento del danno da ritardo da parte dell’amministrazione, ai sensi dell’articolo 30 del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”.

In questo caso, dunque, la norma in commento finirebbe col creare le condizioni affinché soggetti conniventi con amministratori in malafede possano beneficiare non solo del contributo e della sovvenzione erogata dalla PA, ma addirittura anche delle somme liquidate a seguito dell’azione di risarcimento del danno conseguente all’omessa pubblicazione!

Inoltre, nel caso in cui la PA non dovesse ottemperare all’obbligo di pubblicazione, si determinerebbe il paradosso dell’esistenza di un impegno di spesa della PA già approvato e messo a bilancio, ma sprovvisto dell’efficacia necessaria affinché le somme possano essere erogate al soggetto destinatario, peraltro senza che l’omessa pubblicazione possa inficiare la validità del provvedimento stesso con cui si determina la concessione del beneficio.

Non resta che sperare nell’emanazione di un provvedimento di interpretazione autentica, magari in occasione del Regolamento del Governo che, come previsto al comma 6 dello stesso art. 18, dovrebbe essere adottato entro il 31 dicembre 2012.

 


* Avv. Andrea Lisi e dott.ssa Sarah Ungaro – Digital&Law Department (www.studiolegalelisi.it

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