Che cos’è il BIM (Building Information Modeling): una guida alla digitalizzazione del Real Estate

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Il Building Information Modeling, sottoposto agli adempimenti del DM560/17 e ribaditi poi dal recentissimo DM312/21, è lo strumento che permette di realizzare e gestire in chiave innovativa tutte le fasi della commessa della Stazione Appaltante, dalla progettazione preliminare alla realizzazione e successiva gestione del bene. Il BIM consente una rappresentazione digitale dell’opera cui vanno associati e tenuti aggiornati contenuti informativi (dati e informazioni) lungo tutto il suo ciclo di vita, in ottica gestionale e manutentiva. Una guida a cura di Mario Caputi, amministratore di in2it, consulente di direzione specializzato in progetti innovativi per l’implementazione di strategie e soluzioni digitali e docente al Master BIM Manager della Scuola dei Fratelli Pesenti al Politecnico di Milano e per il Consorzio europeo BIM A+

14 Ottobre 2021

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Mario Caputi

Docente al Master BIM Manager della Scuola dei Fratelli Pesenti al Politecnico di Milano e per il consorzio BIMA+, Amministratore di in2it

Photo by Ricardo Gomez Angel on Unsplash - https://unsplash.com/photos/jKlvzpSPhIY

Cosa è il BIM

L’acronimo BIM sta per Building Information Modeling: è una metodologia che consente di creare una rappresentazione digitale 3D di ogni tipologia di edificio e/o di opera civile (“bene immobiliare”), sviluppare velocemente varie opzioni progettuali, generare documenti di costruzione e produzione, valutare le performance del progetto, pianificare le fasi di realizzazione e stimare i costi. La capacità di gestire in modo digitale tutte le informazioni rilevanti, mantenendole aggiornate e rendendole accessibili a tutti gli utenti è la base della rivoluzione digitale resa possibile dal BIM.

La filiera immobiliare e i suoi problemi

La filiera integrata del settore immobiliare, intesa in senso ampio (AECO) [1], conta più di 35.000 Stazioni Appaltanti iscritte all’AUSA[2], con migliaia di committenti privati ed un impressionante numero di partite IVA. È un settore trainante dell’economia del nostro Paese ma la crisi degli ultimi anni ha visto la chiusura di tantissime imprese e livelli di disoccupazione in crescita per quasi tutte le professionalità. L’unica invariante rimane la difficoltà di controllare e/o contenere i costi nella grande maggioranza delle opere pubbliche.

Lo scarso controllo dei costi delle opere dipende da un quadro “esigenziale” spesso poco chiaro da parte dei Committenti ma soprattutto dalla carente integrazione tra Progetto, Esecuzione e Manutenzione e dalla gestione spesso “approssimata” del processo costruttivo. In questo difficile quadro di riferimento, i rimedi attuabili (supportati da soluzioni ICT[3] spesso obsolete, mal progettate o inadeguate) sono poco rispondenti alle esigenze di pianificazione e decisione a medio-lungo termine di Investitori, Committenti e Proprietari. Oggigiorno è sempre più difficile essere efficaci ed aggiornati nel controllo dei costi di progettazione e costruzione, le informazioni in tempo reale sono rare, i cambiamenti in corso d’opera abbondano, i progetti e i disegni sono inaccurati, la qualità costruttiva, spesso bassa, genera dispute, variazioni in corso d’opera e/o duplicazioni di dati ed informazioni rilevanti. Come tale è difficile se non impossibile monitorare le performance degli edifici e delle opere infrastrutturali e a cascata le abilità e le competenze degli operatori della filiera.

Uno studio di McKinsey del 2015 pone purtroppo la filiera AECO al penultimo posto di tutti i principali settori industriali per tasso di digitalizzazione, sottolineandone anche i bassissimi tassi di produttività del lavoro. Lo stesso fa l’edizione 2018 del rapporto Istat. Appare chiaro e maturo quindi il forte bisogno di una rivoluzione mirante a ridisegnare gli attuali processi di progettazione, costruzione e manutenzione ed ad introdurre strumenti innovativi.

Se c’è un settore che quindi deve urgentemente rinnovarsi e diventare digitale non può che essere quello immobiliare, intendendovi quindi gli edifici e le opere civili ed infrastrutturali.

La rivoluzione digitale basata sul BIM

L’acronimo BIM (Building Information Modeling) nasce una ventina di anni fa circa, teorizzato per la prima volta da Phil Bernstein e reso poi popolare e standardizzato da Jerry Laiserin. Nel corso di questi anni molte sono state le definizioni di BIM. Tra queste ne citiamo due, tra le più significative:

  1. Il BIM non cambia la progettazione e la visualizzazione, piuttosto modifica radicalmente tutti i processi dedicati a realizzare edifici ed opere civili.
  2. Il BIM è una rappresentazione parametrica delle caratteristiche fisiche e funzionali di una struttura e delle sue informazioni relative al ciclo di vita previsto, utilizzando standard aperti per il processo decisionale d’impresa rivolto alla migliore profittabilità.

Grazie alla metodologia BIM è possibile creare una rappresentazione digitale 3D di ogni tipologia di edificio e/o di opera civile (“bene immobiliare”), sviluppare velocemente varie opzioni progettuali, generare documenti di costruzione e produzione, valutare le performance del progetto, pianificare le fasi di realizzazione e stimare i costi. (Figura 1).

A questa rappresentazione 3D la metodologia BIM prescrive come e quando associarvi un contenuto informativo alfanumerico e multidimensionale che sia rilevante per tutte le fasi di gestione della commessa (Figura 2).

La capacità di gestire in modo digitale tutte le informazioni rilevanti, mantenendole aggiornate e rendendole accessibili a tutti gli utenti è la base della rivoluzione digitale resa possibile dal BIM. Adottando la metodologia BIM, che coniuga metodi, processi e soluzioni ICT si può generare, utilizzare e mantenere aggiornato il contenuto informativo (vero e proprio database costituito da dati ed informazioni) lungo tutta la vita utile dell’opera, a partire dalla progettazione preliminare, garantendo maggiore coordinazione ed efficienza tra tutti gli operatori coinvolti, aumentando qualità e redditività dei progetti e preservandone il valore.

Il cambiamento culturale necessario

La trasformazione digitale è un percorso iniziato tardi nel nostro Paese ma che mai come adesso, anche grazie ai fondi dedicati nel PNRR, può rappresentare una svolta per traghettare le organizzazioni verso un nuovo modo di gestire persone, progetti e processi.

L’abilità di sfruttare le opportunità offerte dalla rivoluzione digitale potrà però essere sfruttata solo da chi sarà stato capace di preparare il cambiamento nella propria realtà lavorativa (ciò implica un aumento esponenziale di dati importanti a causa dell’incremento degli utilizzi di strumenti di Remote Communication, sensori e gestibili con strumenti collaborativi e dei Big Data).

La pandemia ha accelerato il cambiamento e nelle case di tutti i lavoratori sono entrati strumenti non nuovi, ma rapidamente maturati e migliorati come ad esempio i sistemi di condivisione in cloud dei documenti, i sistemi di accesso a scrivanie virtuali e remote, i sistemi di collaborazione sincrona quali le sessioni in remoto e pian piano anche strumenti gestionali che solo chi si occupava di project management, aveva già sperimentato in passato. Molte applicazioni sono state ora rese accessibili da remoto e quasi tutte rese disponibili in modalità mobile, quindi con ampia facilità d’uso.

Si parla di lavoro ibrido: la combinazione di lavoro a distanza e lavoro in presenza che presuppone la capacità di gestire team di persone che operano in luoghi diversi, in tempi diversi e con strumenti diversi, non solo attraverso l’uso di particolari soluzioni ICT (che comunque sono utili allo scopo) ma, e soprattutto, con una rinnovata cultura manageriale e una visione che siano in grado di riportare le persone al centro dei processi di innovazione. La nuova cultura si afferma a seguito di processi di aggiornamento delle competenze, soprattutto per stimolare le abilità relazionali, comunicative ed empatiche… le cosiddette abilità soft stanno acquisendo sempre più importanza di quelle hard e/o verticali.

Questo è’ un processo ormai ineludibile che continuerà a migliorare il nostro modo di lavorare che è pienamente compatibile con gli impatti che il BIM apporta alla filiera AECO, a partire dalla collaborazione e dal cosiddetto ACDat.

Il cambiamento culturale richiesto dal BIM richiede di rivedere i processi operativi, di aumentare/aggiornare le competenze interne, di adottare soluzioni ICT innovative e rendere quanto più flessibili procedure e sistemi.  Per farlo, gli operatori devono imparare a lavorare in modo integrato, dotarsi di strumenti di gestione di dati ed informazioni univoche, accessibili a tutti e in remoto, di pianificazione e contabilità aggiornati in tempo reale, insomma: di tutte quelle soluzioni ICT che “imperano” in altri settori industriali già digitalizzati e che sono riassunti nel mantra del cosiddetto never freeze information (Figura 3).

L’importanza del Facility Management per la gestione degli asset immobiliari

La rivoluzione culturale necessaria all’implementazione della metodologia BIM riguarda soprattutto la fase di gestione e manutenzione dell’immobile/opera civile.

Fatto 100 il costo a vita intera di un immobile (a 20 anni), la parte relativa alla sua gestione e manutenzione rappresenta infatti la parte più grande, mediamente pari al 65%.

I dati parlano da soli: il facility management è la componente più rilevante per la gestione e per il mantenimento del valore dei beni immobiliari. (Figura 4). Non occorre aggiungere altro per sottolineare che implementare la metodologia BIM senza approfondire le tematiche della gestione a carico di una Stazione Appaltante corrisponde ad una enorme occasione sprecata.

Diventa pertanto strategico (oltre che consigliato) approcciare qualsiasi progetto BIM partendo dalle necessità informative della gestione e manutenzione del bene immobiliare  (in inglese si usa il termine di AIR – Asset Information Requirements[4] .

L’obiettivo perseguito è di poter (finalmente) fornire risposte a domande oggigiorno ancora irrisolvibili dalla stragrande maggioranza delle Stazioni Appaltanti e che sono:

  • Quali beni immobiliari posseggo?
  • Qual è la loro condizione?
  • Dove sono?
  • Qual è la loro vita residua?
  • Qual è il loro valore economico?

Questo viene ad essere facilitato usando soluzioni ICT che siano compatibili con la metodologia BIM e che stanno apparendo negli ultimi tempi sul mercato italiano (Figura 5).

Verso un piano di implementazione del BIM

La rivoluzione digitale sta cambiando la filosofia di approccio al lavoro, perché consente una maggiore flessibilità che però non sempre è riconosciuta da quelle organizzazioni che non sono sempre pronte a rimuovere gli attuali vincoli. Sopravvivono, quindi, soprattutto all’interno delle Stazioni Appaltanti della PA rigidità e stereotipi legati a una fase tecnologica ormai ampiamente superata.

L’implementazione del BIM ha a che fare con i processi di cambiamento aziendali con ampi impatti su strategia, processi, organizzazione e risorse aziendali. Questa fase non va sottovalutata e per una implementazione della metodologia BIM che sia sostenibile, duratura ed accettata da dipendenti e (perché no?) fornitori occorre fornire risposte lungo due dimensioni: Strategica-organizzativa ed Informatica

La dimensione strategica deve fornire risposte pragmatiche sugli impatti della rivoluzione digitale in termini di:

  1. Strategia: quale BIM è adatto alla mia realtà?
  2. Processi e Risorse Umane: come vengono a cambiare i processi operativi
  3. Procedure: come aggiornare le procedure aziendali a seguito dei cambiamenti di processi e di strutture organizzative?
  4. Gestione dei Fornitori e Bandi di Gara (Supply Chain Management): come adeguare gli strumenti contrattuali e/o far evolvere la mia catena di fornitura facendole adottare la mia strategia digitale? Come redigere bandi di gara e capitolati informativi per ottenere il contenuto informativo adeguato? La dimensione informatica deve fornire risposte in termini di:
  5. Infrastruttura Tecnologica: Come definire la configurazione dell’infrastruttura tecnologica e delle soluzioni ICT necessarie a digitalizzare i processi to-be, partendo dallo stato attuale per arrivare ad un vero e proprio piano di acquisizione?
  6. Quali soluzioni ICT scegliere? Qui la risposta esatta sarebbe: quelle che servono ad una Stazione Appaltante. Le soluzioni ICT a disposizione sono tantissime (la figura 6 è difficilmente leggibile pur se in alta definizione) e da soli si rimane in ballo dei distributori di software e/o si quelle società di pseudo-consulenza che alla fine fanno la stragrande maggioranza del loro fatturato rivendendo licenze altrui, quasi tutte purtroppo di produttori esteri.

Il panorama delle soluzioni ICT si semplifica di molto quando le si categorizza. A nostro avviso per una Stazione Appaltante esistono 6 macro-categorie e la scelta su quale orientarsi non può che seguire le decisioni strategico-organizzative di cui sopra (Figura 7).

Le categorie coprono tutto il ciclo di vita relativo alla progettazione, costruzione e gestione del bene immobiliare, dal rilievo dello Stato di Fatto (laser scan) alla creazione del Gemello Digitale corredato da tutto il contenuto informativo necessario al facility management.

Queste possono e/o devono essere integrate ad una serie di soluzioni che chiamiamo:

  1. Arricchenti, come ad esempio ed in ordine alfabetico: Blockchain, Cloud, GIS, Intelligenza Artificiale, Realtà Aumentata, RFID, Sensoristica
  2. Abilitanti[5] (lo smart working), come ad esempio mobilità (piattaforme, strumenti e applicazioni che supportano il lavoro in mobilità), sicurezza (realizzate per garantire la security dei dati, anche da remoto, e da diversi strumenti e Workspace Technology (supportano l’ utilizzo più flessibile e più efficace degli ambienti fisici)

Si rimanda ad ulteriori articoli l’approfondimento delle categorie suddette, ma per gli scopi di questa Guida al BIM va sottolineato che una scelta razionale ed accurata deve avvenire dopo aver avuto modo di testare le soluzioni in progetti pilota (vedi in seguito) per rendersi conto direttamente dei pro e dei contro di ognuna.

In tal modo non solo si sperimentano le soluzioni ma si avvia on the job il processo formativo del proprio personale, gettando le basi per una implementazione di successo.

BIM: Quadro Normativo e Adempimenti di una SA

Il BIM è stato ed è oggetto di normazione da parte di vari Paesi ed Enti. Tutto ha origine nel Regno Unito (pre-Brexit), dove sin dal 2007 tutti gli stakeholder del comparto edilizio hanno discusso e trovato un modo di procedere, cioè il processo, per gestire le informazioni durante le diverse fasi di lavoro che portano alla consegna di un bene immobiliare.

Le PAS inglesi

La norma PAS 1192-2007[6], è la norma di riferimento del modello di maturità inglese ed è di grande importanza, perché punto di partenza delle norme ISO ed UNI che sono seguite[7].

Le PAS pongono l’attenzione alla necessità di dotarsi di:

  1. BEP (piano di Gestione Informativa, vero e proprio documento contrattuale),
  2. EIR (Capitolato Informativo, allegato tecnico che esplicita il quadro esigenziale della Committenza),
  3. PIM (il modello BIM che evolve in cantiere)
  4. AIM (il database consegnato assieme all’as-built per le esigenze di gestione e manutenzione di cui sopra).

La ISO 19650[8]

Con l’uscita della ISO 19650 (parti 1 e 2) nel 2018 si sono andati a delineare nuovi scenari normativi a livello internazionale, comunitario e dei singoli stati.

Come tutte le altre norme, anche la ISO non è un testo dottrinario od un manuale, ma rappresenta lo stato dell’arte, della prassi e della scienza condivisi, in un dato momento, da tutti i portatori d’interesse, pubblici e privati, rispetto ad uno specifico prodotto, processo o servizio. Si parla quindi di “norma volontaria condivisa”.

La ISO 19650, nei suoi caratteri principali, mantiene l’impostazione ed i concetti ormai andatisi a consolidare negli anni in tutto il mondo “BIM” talvolta andando a correggere le PAS. Essa indica la necessità di dotarsi di:

  1. Capitolato informativo (CI – EIR)
  2. piano di Gestione Informativa (pGI – BIM Execution Plan),
  3. ambienti di condivisione dei dati (ACDat – CDE Common Data Environment) che sono almeno 2, di commessa del committente/proponente-appointing (da approntare già in fase di gara) e diffuso, degli incaricati-appointed (smentendo il concetto fantasioso di CDE unico ad accesso libero e indiscriminato da parte del committente, mai previsto nemmeno nelle PAS 1192)
  4. superamento dei LOD attraverso i Level Of Information Need (LOIN[9]), privi di scala predeterminata (100, 200 …; 1, 2, 3 … ; A, B, C…) con introduzione del concetto di Documento (DOC) accanto alle geometrie (LOG) e informazioni alfanumeriche (LOI)   

La UNI 11337:2017[10]

Per l’Italia si è preferito stabilire che l’insieme della UNI 11337, nelle sue varie parti, costituisca allegato nazionale alla ISO stessa. Con il principio di preminenza della norma superiore (19650) su possibili eventuali interferenze o incongruenze nella norma dipendente (11337).

In Italia, come abbiamo detto, si applica la UNI EN ISO 19650:2019 parti 1 e 2 attraverso la 11337 (20015-2017-2018) nelle sue parti: 1, 3, 4, 5, 6, 7. A dicembre 2019 è stata inoltre pubblicata la prassi di riferimento per la definizione del Sistema di Gestione Informativo delle organizzazioni (UNI/PdR 74:2019).

Le innovazioni più importanti riguardano e/o riguarderanno:

  1. l’introduzione dei Level of Information Need (LoIN) anziché i LOD, ex parte 4, in considerazione anche, della norma europea a guida italiana prEN 17412;
  2. la definizione degli attributi informativi degli oggetti digitali e soprattutto dei prodotti, ex parte 3, che sarà rivista in considerazione, anche, della norma europea in via di definizione, prEN 17473, a guida francese, ma con struttura dati identica a quella italiana vigente dal 2015: marcatura CE, norma di prodotto, allegato ZA, ecc.;
  3. una più dettagliata definizione dell’ACDat/CDE, ex parte 5, secondo lo schema confermato dalla 19650, ed in parallelo allo sviluppo delle “piattaforme” digitali, di organizzazione e nazionali, ex parte 1 (concetto fino a poco tempo fa tutto italiano e che oggi vede invece anche l’Europa attiva verso una piattaforma digitale delle costruzioni comunitaria:DigiPLACE -H2020, Politecnico di Milano, Ferdecostruzioni-ANCE, MIT, UNI, ecc.); 
  4. il completamento del flusso informativo ora definito solo nel Capitolato CI, ex parte 6, con la definizione applicativa di OIR, PIR, PIM, ecc.; 
  5. la scrittura delle parti già previste ma ancora mancanti: 2 – classificazione, 8 – flussi di lavoro, 9 – fase di esercizio, 10 – verifica automatizzata, 11 – sicurezza dei dati, block-chain.

Il tutto verrà corredato dalla qualificazione delle organizzazioni, una volta valutato l’impatto sul mercato della neo nata UNI/PdR 74:2019 (3 anni), dal percorso (politico-amministrativo) in atto per portare l’attuale parte 7 – qualificazione delle figure-  sui tavoli europei per la scrittura di una norma CEN che renda definitivamente organica la materia dei ruoli e delle competenze e responsabilità e de percorso (politico-amministrativo) in atto per l’apertura di una norma europea in materia di BIM e digitale per il restauro e gli edifici vincolati.

Il DM 560/2017 (Decreto Baratono)

Il Decreto Ministeriale 560/2017 ha rotto gli indugi spostando il focus della normativa italiana decisamente verso la digitalizzazione della filiera AECO.

Il DM 560/2017 è il risultato di un lavoro complesso e approfondito, avviato da una Commissione appositamente istituita dal Ministro, diretta dall’Ingegner Pietro Baratono e composta da rappresentanti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, di ANAC, AGID, delle Università degli Studi di Brescia, Sapienza di Roma, Federico II di Napoli, del Politecnico di Milano, della Rete delle Professioni Tecniche, che ha proceduto alle audizioni dei principali operatori del settore e predisposto una prima bozza del provvedimento, che è stata sottoposta a consultazione pubblica online tra giugno e luglio 2017.

Il DM 560/2017 definisce, per gli appalti e le concessioni di lavori, le modalità e i tempi di progressiva introduzione, da parte delle Stazioni Appaltanti, delle amministrazioni concedenti e degli operatori economici, dell’obbligatorietà dei metodi e strumenti elettronici, e individua gli adempimenti preliminari delle Stazioni Appaltanti e i contenuti informativi del capitolato:

  1. L’obbligo di utilizzare metodi e strumenti elettronici di modellazione viene fasato sia in termini temporali (a partire dal 1° gennaio 2019) che di importo (a partire da opere di importo pari o superiore a 100 milioni di euro), e poi via via per importi minori secondo le dinamiche riassunte in figura 9[11].
  1. Prescrive quattro adempimenti preliminari a carico delle Stazioni Appaltanti pubbliche, e precisamente induce le SA a dotarsi di:
    1. Un atto organizzativo che espliciti il processo di controllo e gestione, i gestori dei dati e la gestione dei conflitti
    1. Un piano di acquisizione e manutenzione di hardware e software di gestione dei processi decisionali e informativi
    1. Un piano di formazione del personale
    1. Piattaforme interoperabili a mezzo di formati aperti non proprietari e utilizzo dei dati e delle informazioni prodotte e condivise tra tutti i partecipanti

Nel DM 560/2017 non sono previste sanzioni in caso di mancato rispetto degli adempimenti preliminari. La sanzione tuttavia, a ben vedere, è implicita: costituendo quanto richiesto dalla norma adempimenti necessariamente preliminari all’uso degli strumenti BIM il ritardo impedirà alla Stazione Appaltante l’utilizzo di tali strumenti. Tenuto conto poi che gli stessi diventeranno obbligatori secondo le scadenze fissate all’art. 6 del Decreto – con esclusione quindi delle tradizionali modalità di progettazione – ne deriverebbe, a fronte della mancata attuazione dei descritti adempimenti preliminari, la possibile paralisi degli appalti della Stazione Appaltante.

Il DM 312/2021[12] (nuovo Decreto BIM)

Il 3 agosto 2021 sul sito del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili è stato pubblicato il DM 2 agosto 2021, n. 312, rubricato “Modifiche al decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 1° dicembre 2017, n. 560 e subito ribattezzato: “nuovo Decreto BIM”.

In deroga a quanto descritto circa il DM 560/2017, il nuovo Decreto BIM adotta alcuni correttivi migliorativi di definizione delle specifiche tecniche sull’utilizzo dei metodi e strumenti elettronici[13]. Modifica poi l’art. 5, che consentirà alle Stazioni Appaltanti di procedere con i primi bandi BIM dopo aver semplicemente pianificato l’introduzione del metodo[14]. Introduce poi una parziale attenuazione dei vincoli sulla entrata in vigore della obbligatorietà del BIM, con l’esclusione delle opere di ordinaria e straordinaria manutenzione e di tutti i lavori al di sotto di 1m di €.

In ogni caso, il nuovo testo imprime con decisione un’accelerazione al processo di digitalizzazione della filiera AECO, riconoscendolo fattore fondamentale per far fronte all’epocale cambiamento che sta investendo il comparto e l’intera società.

I vantaggi del BIM

Indipendentemente quindi dalla disquisizione normativa del capitolo 2, della spesso difficile lettura ed interpretazione tra regolamenti (volontari) e  normativa (cogente) noi consulenti abbiamo quasi sempre notato che chi abbia già intrapreso la rivoluzione digitale basata sul BIM, cogliendone gli indiscutibili vantaggi, non torna indietro al CAD, alle tabelline excel e alle fotocopie.

La digitalizzazione di dati ed informazioni resa possibile dal BIM ha impatti notevoli su tutta la vita del bene immobiliare e fornisce al suo proprietario la base informativa che oggi manca per prendere decisioni chiave sulle modalità costruttive e di esercizio del bene. 

Forniamo ora una macro-categorizzazione dei vantaggi derivanti dal BIM, quale contributo alla standardizzazione della dottrina e dei piani di implementazione:

  1. Maggior ritorno sugli Investimenti (ROI). Il BIM garantisce aumenti di produttività (diminuzione del numero di ore / uomo nella gestione del flusso informativo) e redditività (diminuzione dei conflitti per errori di progetto, per mancato coordinamento, ottimizzazione nella gestione dei contratti).
    1. Riduzione delle tempistiche necessarie per l’esecuzione dell’opera. Il BIM garantisce una drastica riduzione dei tempi. Questo perché migliora lo scambio delle informazioni tra le parti, ottimizza i tempi di creazione, controllo e approvazione delle verifiche e degli stati di avanzamento dei lavori, minimizza gli errori progettuali (design quality), anticipa la risoluzione di interferenze in cantiere (clash detection) e automatizza il rispetto delle normative vigenti (code checking). In definitiva, si riducono i tempi di svolgimento delle tradizionali attività di controllo delle opere da parte della Committenza e della Direzione Lavori, nonché delle attività di alta sorveglianza, etc.
    1. Aumento del Valore Sociale dell’opera. L’accesso alla base dati dell’opera permette a tutte le parti interessate (stakeholder) uno strumento di “prestazionalità” e di trasparenza / conoscenza dello stato effettivo dell’attuazione dei processi, dello stato dei lavori, della pianificazione e gestione delle attività, senza trascurare dati e immagini 3D dei singoli avanzamenti delle opere.
    1. Database aggiornato quale asset addizionale (TCO). La metodologia BIM permette infine di mantenere traccia dei dati progettuali e decisionali nel tempo, garantendo l’immediata disponibilità del manuale gestionale dell’opera (modello As-Built) sempre aggiornato e corredato da tutta la documentazione. Ciò ha rilevanti ricadute di efficienza sui collaudi Tecnico-Amministrativi e sulla pianificazione e realizzazione dei piani di manutenzione (preventiva e straordinaria).  Siffatto database è un vero e proprio asset a sé stante dell’edificio o opera infrastrutturale e farà sempre più premio rispetto alle altre opere realizzate in modalità tradizionale per le rilevanti ricadute gestionali e di reingegnerizzazione possibili. Questo incrementa il valore a vita intera (total cost of ownership – TCO) della sua opera, perché ne massimizza l’efficienza gestionale lungo tutta la vita utile.

BIM e PNRR

La modernizzazione della PA è una priorità per il rilancio del Paese e un prerequisito essenziale per implementare il PNRR stesso. Occorre definire possibili azioni che le PA possono intraprendere a favore di cittadini e imprese attraverso servizi sempre più performanti e universalmente accessibili e che siano coerenti con gli obiettivi perseguiti dal PNRR.

In questo, il digitale (e il BIM) come del resto riportato al par 2.5 (Decreto Legge 77, art. 48, comma 6 intitolato, “Semplificazioni in materia di affidamento dei contratti pubblici PNRR e PNC ) può costituire presupposto essenziale.  

L’implementazione della metodologia BIM nelle Stazioni Appaltanti del nostro Paese porta con sé “automaticamente” il miglioramento della PA italiana sia a livello centrale che locale,  in termini di capacità amministrative, di creazione e aggiornamento di know-how del nostro capitale umano (selezione, competenze e carriere), ed in termini di semplificazionee digitalizzazione delle procedure.

Impattando sulla filiera AECO l’implementazione della metodologia BIM coinvolge cittadini ed imprese che contribuiscono all’8% del nostro PIL. E –last but not least– è funzionale al recupero, gestione e manutenzione del vastissimo patrimonio immobiliare che i nostri padri e nonni ci hanno lasciato in eredità.

Queste, come detto, sembrano alcune delle sfide affrontate dal PNRR[15] e verranno approfondite con ulteriori contributi su queste pagine per andare a definire quali progetti presentare.

La scelta di Progetti Pilota

Indipendentemente comunque dal PNRR una Stazione Appaltante che voglia seriamente digitalizzarsi può farlo identificando un’area nella quale “testare” processi, risorse umane e soluzioni ICT, facendosi affiancare da professionisti qualificati. Sulla base della nostra esperienza, consigliamo infatti ad ogni organizzazione importante di seguire un percorso graduale “a tappe” che parta dalla consapevolezza “strategica” su quale BIM sia appropriato alla propria realtà e lo testi su progetti pilota per formare praticamente e gradualmente le proprie risorse interne appunto “on the job”.

Siffatto approccio ha il vantaggio di non stravolgere l’operatività giornaliera, limitare gli impegni di natura economica, ma soprattutto di creare gradualmente l’humus aziendale adatto a far germogliare ed impiantare le novità che la rivoluzione digitale porta con sé.

Conclusioni

Non è scontato ricordare quanto per l’Italia il momento sia cruciale. Abbiamo un’occasione unica per ripensare le nostre PA e migliorarne la capacità amministrativa, rendendole moderne, capaci di innovare e portare benefici tangibili ai cittadini e alle nostre imprese.

Le scelte che il Paese opererà in termini di priorità e modalità di spesa sono fondamentali. Sarà necessario spostare il focus sulla qualità dei servizi in modo da garantire alti livelli di efficienza. E non è scontato che tutto ciò avvenga perché non tutte le belle idee e i progetti migliori si traducono poi in investimenti. Le denunce sulla mancanza di un mercato interno di produzione di software, sulla vetustà del parco tecnologico installato, sulle inique forme di tassazione che impoveriscono l’industria del Paese dovrebbero ora aprire a una fase propositiva, di sviluppo economico e industriale.

La strada è in salita. Non possiamo non chiederci con quale sistema di procurement verrà ammodernato il parco tecnologico a disposizione delle Stazioni Appaltanti, perché se venisse fatto da un’unica centrale di acquisto il rischio è di massificare la domanda e puntare al prezzo più basso. Se l’obiettivo è portare nella PA la tecnologia di ultima generazione, auspicabilmente favorendo i produttori italiani (non per ragioni nostalgiche o addirittura autarchiche, quanto piuttosto perché convinti che si debba creare un patrimonio di conoscenze legate ai vari software qui da noi e non lasciare la creazione del valore e il diffondersi di queste conoscenze ad altri attori ed altri Paesi).

È poi importante formare il personale delle Stazioni Appaltanti che andrà a gestire le soluzioni ICT.

Per invertire la tendenza serve ora un cambio di paradigma che coinvolga la filiera AECO, il sistema di approvvigionamento, le modalità di valutazione delle performance e dell’innovazione. Ma soprattutto serve incentivare una produzione sia di aziende nazionali che estere sul nostro territorio che renda il Paese più indipendente dalle importazioni dall’estero e incentivi le imprese di produzione sul territorio a rifornire le nostre Stazioni Appaltanti e a fare ricerca nei nostri poli tecnologici e nelle nostre strutture.

L’occasione della rivoluzione digitale basata sul BIM quindi è irripetibile, non solo per chi progetta, costruisce e gestisce beni immobiliari, ma in senso più ampio come motore di sviluppo industriale sul nostro territorio, un’opportunità unica anche per creare occupazione qualificata nel Paese.



[1] Per semplicità definiremo da ora in poi la filiera delle costruzioni con l’acronimo “AECO”:  progettisti architetti e/o ingegneri, società di costruzione, contraenti generali e relativi fornitori,  gestori/manutentori.

[2] L’Anagrafe Unica delle Stazioni Appaltanti è stata istituita dall’art. 33-ter del Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179 (c.d. Decreto Sviluppo-bis) ed è tenuta da ANAC presso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici (a sua volta prevista dall’art. 62-bis del Codice dell’Amministrazione Digitale e gestita ai sensi dell’art. 213 del Codice dei Contratti Pubblici).

Ai sensi dell’art. 216.10 del Codice dei Contratti pubblici, l’anagrafe è lo strumento per soddisfare i requisiti di certificazione delle stazioni appaltanti. La qualificazione è un requisito necessario per le stazioni appaltanti che intendano procedere direttamente e autonomamente all’acquisizione di forniture e servizi. Il numero di 35.000 SA sembra esagerato, ma quanto deriva dall’obbligatorietà dell’iscrizione all’AUSA ha sorpreso gli stessi addetti ai lavori.

[3] Con questo acronimo intendiamo i software e le soluzioni informatiche legate all’ Information Communication Technology.

[4] L’AIR, che definisce gli aspetti gestionali, commerciali e tecnici del contenuto informativa del bene immobiliare è definito dalla ISO 19650 (vedi in seguito) e si inserisce nel concetto più generale di Asset Information Model -AIM, che nella nostra accezione oltre a descrivere metodi e procedure gestionali deve arrivare anche a contenere informazioni circa le attrezzature installate, le date di installazione e manutenzione, programmazione dei cicli manutentivi, etc

[5] Le soluzioni che abilitano lo smart working seguono la categorizzazione fornita da Mariano Corso (Responsabile Scientifico, Osservatorio Smart Working – Politecnico di Milano). Quelle inerenti la social collaboration sono già incluse nella categoria ACDat/CDE.

[6] Specification for Information Management for the capital/delivery phase of construction projects using Building Information Modelling

[7] Facciamo un veloce richiamo sulle tipologie di norme nel mondo, in base al soggetto che le ha elaborate:

  • Le norme internazionali, sono elaborate e pubblicate dall’ISO (International Organization for Standardization), possono essere adottate a livello nazionale da ogni stato membro in modo volontario. In Italia sono riconoscibili dagli acronimi UNI ISO;
  • Le norme europee, che sono elaborate dal CEN (European Committee for Standardization) nelle tre lingue riconosciute, inglese, francese e tedesco. Ogni stato membro è obbligato a recepirle e ritirare le norme in vigore, tipicamente nazionali, ad esse in contrasto. Ad esempio, si riconoscono come UNI EN;
  • Le norme nazionali sono elaborate dall’ente nazionale riconosciuto. In Italia sono deputati a scrivere norme l’UNI, ed i relativi Enti Federati, e il CEI. Esse hanno valore sul territorio nazionale e sono scritte nella lingua madre di ogni paese.

Grazie ad accordi di riconoscimento tra ISO e CEN, è possibile attivare il Vienna Agreement che permette di fare una pubblicazione congiunta di una norma sia a livello europeo sia a livello internazionale. In questo caso la sigla per l’Italia sarebbe UNI EN ISO. Inoltre, UNI ha deciso di rendere più fruibile le norme traducendo quelle principali in italiano.

[8] Quanto segue è basato sul contributo del professor Alberto Pavan del Politecnico di Milano, pubblicato da Ingenio-Web.it. Ogni errore o omissione di quanto segue è responsabilità dell’autore di questa Guida

[9] L’introduzione del “Level of Information Need” o LOIN nella norma ISO 19650 ribadisce, da un lato, l’importanza dei contenuti informativi quale che sia la loro natura, dall’altro l’esigenza che il numero e la tipologia delle informazioni contenute nel modello siano limitate a quelle effettivamente necessarie. Siffatto concetto di LOIN supera il principio della standardizzazione delle richieste informative da parte dei soggetti cui fa capo la redazione dei capitolati, definendo il livello in funzione del progetto e in particolare la quantità, la qualità e la granularità delle informazioni stesse, che una volta definite rappresenteranno il punto di riferimento per l’intero progetto. (fonte: 01building.it)

[10] Prof.Alberto Pavan, op.cit.

[11] Dal 2020 per i lavori complessi oltre i 50 milioni, dal 2021 per i lavori complessi oltre i 15 milioni, dal 2022 per le opere oltre i 5,2 milioni, dal 2023 per le opere oltre 1 milione, dal 2025 per tutte le nuove opere.

[12] Quanto segue è basato sul contributo degli avvocati Christian Barutta ed Andrea Versolato, pubblicato da bimportale.com. Ogni errore o omissione di quanto segue è responsabilità dell’autore di questa Guida

[13] Ad esempio, sostituisce le parole “modello elettronico” con “modello informativo” e introduce meglio i concetti di “specifici flussi di lavoro” e di “elaborati digitali prevalentemente riconducibili ai modelli informativi”.

[14] Ciò comporta che le Stazioni Appaltanti non debbano aver realizzato i 4 adempimenti di cui al paragrafo 2.4 ma di averli pianificati, lasciando loro quindi maggior tempo per scegliere il BIM adatto alle proprie esigenze, ndr.

[15] Fonte: https://www.forumpa.it/riforma-pa/pnrr-e-capacita-amministrativa-investimenti-e-riforme-cosa-e-previsto-e-a-che-punto-siamo/. Il “Decreto reclutamento PA”, convertito in legge il 6 agosto 2021, risponde proprio a questa esigenza, fissando le regole per reperire rapidamente le figure necessarie, sia con assunzioni a tempo determinato che con incarichi di collaborazione per i professionisti.

Il Campus di FPA Digital School

Recovery Plan e appalti BIM

Il Campus è finalizzato alla diffusione della cultura della rivoluzione digitale basata sul BIM in Italia. Scopriremo come approcciare il BIM per generare e utilizzare dati e informazioni arricchendoli e aggiornandoli lungo tutta la vita utile dell’opera, quali soluzioni digitali sono appropriate in funzione del ruolo che una Stazione Appaltante intende giocare nella rivoluzione digitale e come predisporre un progetto che abbia serie possibilità di essere finanziato dal PNRR

29 Novembre 2021

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