Epayment, punto di partenza per combattere la sfiducia verso la PA

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L’intrigo di regole, standard, specifiche tecniche e una grande pigrizia culturale hanno ritardato questo ammodernamento fondamentale di una Amministrazione pubblica che sconta decenni di scarsi investimenti tecnologici, mancanza di coordinamento, insufficiente formazione degli addetti ai lavori

27 Giugno 2016

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Antonio Longo, presidente Movimento Difesa del Cittadino e consigliere Comitato Economico e Sociale Europeo

Qualche anno fa Andrea Camilleri raccontò in un esilarante libretto di grande successo le vicende grottesche di una “concessione del telefono”, risalente al 1892. “Trovai fra le vecchie carte di casa un decreto ministeriale per la concessione di una linea telefonica privata – ricordava lo scrittore – Il documento presupponeva una così fitta rete di più o meno deliranti adempimenti burocratico-amministrativi da farmi venir subito voglia di scriverci sopra una storia di fantasia”.

Non è cambiato molto dopo 125 anni. Basta pensare alla carta d’identità elettronica, annunciata dall’allora ministro Bassanini nel 1996 e per venti anni araba fenice per quasi tutti i Comuni italiani: si poteva fare, ma non si sapeva dove e quando. A Roma, ad esempio, solo in un Municipio. E solo qualche decina di Comuni avviò la sperimentazione. Da pochi mesi è diventata finalmente una realtà e tra qualche settimana sarà possibile richiederla in tutto il Paese.

Eppure quando si vuole, si riesce ad ottenere risultati importanti. Vale ad esempio per il fisco, che è diventato telematico nelle procedura di presentazione delle dichiarazioni dei redditi già da molti anni, in anticipo rispetto a molti altri Paesi.

Sui pagamenti elettronici invece siamo in grave ritardo. Multe, ticket, tasse universitarie, obblighi fiscali: sono anni che leggiamo che la PA è pronta ad accettare i pagamenti con carte di credito e di debito o anche i bonifici on line. Le Linee Guida furono pubblicate in consultazione già nel 2013, poi nel 2014 ci sono state le prime Amministrazioni disponibili e sembrava che l’obbligo della PA di accettare i pagamenti elettronici dovesse scattare già nel 2015 (Piattaforma PagoPA), ma i ritardi soprattutto (ma non solo) dei Comuni hanno fatto slittare a quest’anno il termine. L’intrigo di regole, standard, specifiche tecniche e, sotto sotto, una grande pigrizia culturale di molti burocrati hanno ritardato questo ammodernamento fondamentale di una Amministrazione pubblica che sconta decenni di scarsi investimenti tecnologici, mancanza di coordinamento, insufficiente formazione degli addetti ai lavori.

L’Agenda digitale europea prima e quella italiana poi hanno puntato alla digitalizzazione dei pagamenti nella Pubblica amministrazione come uno degli assi portanti di tutta la “rivoluzione” digitale. I cittadini hanno assolutamente bisogno di poter assolvere ai loro doveri di pagamento verso la PA senza dover spostarsi da casa, fare code, telefonate a call center che non rispondono. Se questo è vero in generale, lo è tanto più in un Paese come il nostro, che in tutte le rilevazioni statistiche europee occupa gli ultimi posti quanto e efficienza del settore pubblico, dalla giustizia all’istruzione, dai tempi di concessione di una licenza o di una autorizzazione alla prenotazione di una visita medica. Quindi risolvere per via digitale il problema dei pagamenti può dare una svolta anche in termini di efficienza della macchina pubblica, aumentare il grado di soddisfazione dei cittadini e migliorare la credibilità e l’immagine dei poteri pubblici e dello Stato nel suo complesso, combattendo anche quella sfiducia crescente che è costantemente registrata in tutte le rilevazioni dell’opinione pubblica.

Restano alcuni problemi di fondo. Anzitutto l’accesso a internet che è molto disuguale nel territorio e tutt’ora non si capisce bene se passeremo da una cronica insufficienza di infrastrutture telematiche veloci ad una sovrabbondanza, almeno nelle grandi e medie città, dove sono preannunciati importanti investimenti di varie grandi aziende senza un accordo per un piano nazionale condiviso di investimenti che eviti sprechi e sovrapposizioni. Questo mentre invece nelle aree meno appetibili commercialmente (piccoli centri, isole, montagne..) i collegamenti internet sono molto precari.

Poi c’è il grave digital divide, che colloca l’Italia agli ultimi posti in Europa come competenze digitali della popolazione, soprattutto gli over 50. Infine, come si accennava sopra, l’insufficiente formazione dei dipendenti pubblici e la mancanza di strategie delle singole amministrazioni.

Ma il progresso non si può bloccare. Al pessimismo della ragione, contrapponiamo l’ottimismo della volontà,. Come spesso è accaduto in passato, a volte questo Paese tira fuori risorse insospettate. Speriamo accada anche questa volta, anche perché è in gioco il valore fondamentale della fiducia dei cittadini nello Stato.

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