Big data, dall’emergenza al next-normal perché governare i dati

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Nonostante le difficoltà di attuazione dell’Agenda Digitale, uno strato di moderna infrastruttura digitale pubblica oggi esiste, funziona e sta crescendo grazie ad eccellenze che vanno messe a sistema e valorizzate

23 Luglio 2020

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Paolo Ghezzi

Direttore Generale, InfoCamere

Photo by Drew Beamer on Unsplash - https://unsplash.com/photos/xU5Mqq0Chck

L’abilità nel governare i dati sarà sempre più la cifra su cui misurare  la competitività dei sistemi sociali, che siano strutture politiche (come gli Stati nazionali), organizzazioni di mercato come le imprese o altre forme ancora di associazione umana. L’emergenza sanitaria non ha fatto che rinforzare questo dato di fatto. Già prima dell’arrivo della pandemia era chiaro che l’umanità – o almeno buona parte di essa – fosse ormai entrata in una dimensione data-driven.

Big data

Gli spazi economici e sociali sono  largamente influenzati dalla presenza di processi governati digitalmente, al centro dei quali c’è la capacità di integrare ed elaborare crescenti moli di dati. L’esplosione informativa frutto della rivoluzione digitale ci ha condotto alla produzione di 33 Zettabyte (trilioni di gigabytes) nel 2018, nel 2020 arriveremo a 45 e – secondo l’IDC – nel 2025 potremmo raggiungere un valore pari a 175 ZB.

Le implicazioni di questo scenario sono almeno di tre tipi: tecnologico-organizzativo, etico, culturale. Chiunque – a qualunque livello – si trovi a dover gestire dati, dovrà costruire su questi tre pilastri, il più importante dei quali è la crescita di una cultura digitale diffusa, senza la quale offerta tecnologica e regole – da sole – non sarebbero in grado di attuare compiutamente la digital transformation. Perché il cavallo beva, come recita la nota metafora, non basta infatti portarlo alla fontana: bisogna che abbia sete.

Digitale, il ritardo italiano

Ma dove siamo nel processo di digital trasformation dell’Italia e quali lezioni si possono cominciare a trarre dall’esperienza del lockdown? L’irrompere del distanziamento sociale come regola di convivenza ha cambiato qualcosa, facendo crescere la “sete digitale” degli italiani. Milioni di persone hanno preso coscienza di bisogni e diritti digitali di cui non percepivano l’esistenza o da cui non si sentivano toccate.

Forse è da qui che si può immaginare di far fare all’Italia quel salto “disruptive” nel digitale per recuperare le posizioni che ci vedono in coda in Europa. Secondo l’indice DESI – il Digital Economy and Society Index – anche nel 2020 siamo “inchiodati” alla 25ma posizione nello sviluppo digitale europeo. Per uscire dal guado verso la modernità non basta fare bene i compiti perché, mentre noi cerchiamo di recuperare terreno, gli altri vanno avanti e il divario non si riduce. Con danni gravissimi quando il ritardo colpisce le imprese. Il rapporto tra le PMI italiane e il digitale resta difficile. Basti ricordare che fino a poco fa quattro PMI italiane su dieci dichiaravano che a loro internet non serviva e che – come rilevato da Amazon in pieno lockdown – solo una PMI su tre è digitalizzata e solo una su sette ha un fatturato significativo online.

Il registro delle imprese

In questo scenario InfoCamere – insieme alle Camere di commercio – sta combattendo una battaglia quotidiana per promuovere la digitalizzazione delle imprese, in particolare di quelle più piccole e strutturalmente meno attrezzate attraverso l’uso dei Big Data e l’accesso semplificato alle informazioni ufficiali del Registro delle imprese.

Il Registro delle Imprese delle Camere di Commercio – la “casa” dei Big Data sulle imprese italiane – si è profondamente trasformato in questi ultimi anni per raccogliere questa sfida. I database in cui nel passato i dati delle aziende venivano registrati quasi esclusivamente per finalità burocratiche, oggi sono riconosciuti come una delle piattaforme digitali più avanzate e – anche grazie all’impiego di competenze come quelle dei data scientist – vengono analizzati e visualizzati attraverso modalità innovative, con l’obiettivo di aumentarne la comprensione, favorire la crescita in digitale e, dunque, la competitività del sistema imprenditoriale.

Affidabilità del dato e delle informazioni

Per le imprese, analizzare e integrare il maggior numero di informazioni possibile è indispensabile per fare scelte consapevoli e cogliere nuove opportunità a patto di saper gestire i rischi connessi con il moltiplicarsi delle fonti disponibili. Alla vertiginosa crescita dei dati a nostra disposizione ha fatto eco la difficoltà di capire quali fonti siano da ritenere affidabili e quali no. La Pubblica Amministrazione è, per definizione, il più grande generatore e gestore di dati “certi” e dunque affidabili. Dati amministrativi, fiscali, previdenziali, anagrafici, economici, ambientali, sanitari, scolastici. Una base di conoscenza unica, qualitativamente diversa da quella del mondo di internet, la cui incertezza richiede maggior cautela nel loro utilizzo.

Il migliore antidoto contro le fake news è dunque nell’educazione di chi consuma informazione e nella crescita nella qualità dell’informazione stessa, a partire da quella pubblica. L’impegno di InfoCamere e delle Camere di Commercio è quella di ridurre la distanza tra la domanda e l’offerta di informazione di qualità e contribuire a ridare fiducia al nostro sistema economico.

Data driven decision

Se è vero che la PA è un’attrice protagonista sulla scena dei Big Data, senza dubbio è però anche quella che oggi li sta utilizzando solo parzialmente – rispetto alle potenzialità e le tecniche disponibili – per estrarne ciò che ne determina il reale valore: la conoscenza. I dati, infatti, diventano utili quando riusciamo a interpretarli per ricavarne informazione. Altrimenti rimangono come libri chiusi sugli scaffali di una libreria.

Uno Stato che non utilizza i dati che raccoglie e gestisce è come un’impresa che non conosce i suoi clienti e il suo business. Non si tratta (solo) di sviluppare tecnologia o di infrastrutture e di occuparsi (solo) della loro raccolta. E’ necessario introdurre nuovi processi di lettura e comprensione del dato affinché anche cittadini e imprese ne traggano il maggior beneficio. Secondo uno studio di I-Com, l’Istituto per la Competitività, l’impiego dell’Intelligenza Artificiale può far aumentare anche del doppio le probabilità per una PMI di passare a una classe superiore di fatturato rispetto a un’impresa tradizionale.

Per spostare in avanti il baricentro dell’Italia digitale bisogna partire (anche) da qui, mettendo le PMI al centro di un progetto di coesione che riguardi anzitutto le competenze. In questa missione la Pubblica amministrazione sarà determinante per realizzare quelle piattaforme standardizzate nazionali indispensabili per dare cittadinanza digitale a tutti e costruire una società meglio attrezzata per affrontare il futuro.

L’esperienza delle Camere di commercio

Da alcuni anni il paradigma digitale è al centro della visione di futuro delle Camere di commercio italiane che con l’aiuto di InfoCamere – la loro società per l’innovazione digitale – sono impegnate a trasferire alle PMI, ai professionisti e a tutti gli operatori del mercato.

Dall’uso più esteso dei Big Data del Registro delle imprese all’utilizzo di servizi innovativi come il cassetto digitale dell’imprenditore impresa.italia.it (per avere sempre con sé e condividere, anche dallo smartphone i documenti ufficiali della propria impresa). Dalla fatturazione elettronica alla tenuta digitale dei libri d’impresa, fino alla gestione standardizzata delle comunicazioni con tutta la PA attraverso la piattaforma impresainungiorn.gov.it – da cui 4000 comuni fanno funzionare il proprio Sportello unico per le attività produttive – il sistema camerale ha fatto suo il profilo di una  PA matura che vuole finalmente essere parte della soluzione dei problemi che le imprese affrontano ogni giorno.

Le conquiste che stiamo facendo in questi giorni difficili nella diffusione massiva del digitale, devono essere al primo posto nello sforzo di capitalizzare l’esperienza della quarantena. L’esperienza del lockdown ha accelerato l’evoluzione dell’offerta digitale, concentrando più risorse nello sviluppo di servizi che si sono rivelati indispensabili al proseguimento della nostra vita quotidiana (logistica, shopping online, smart working, education). La stessa Pubblica amministrazione  – anche se solo in parte – ha dovuto fare una specie di “salto quantico” nel digitale, per garantire ai cittadini l’accesso a servizi di base come quelli sanitari o anagrafici. Ma il vero tesoro che stiamo accumulando (e che non dobbiamo disperdere) è disponibilità di cittadini e imprese a prendere sul serio il messaggio della digital transformation e smettere di considerarla un’opzione per coglierne la vera portata di “comune denominatore” nell’equazione del nostro futuro.

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