Gullo (Funzione Pubblica): “Ma il Cad non è una bacchetta magica”

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15 Febbraio 2016

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Elio Gullo, Dipartimento Funzione pubblica

Avendo partecipato alla stesura del testo del decreto legislativo che modifica il CAD mi asterrò da giudizi di merito e da valutazioni del tipo “sarebbe stato meglio se …”. Mi corre però l’obbligo, anche alla luce di una gran mole didichiarazioni, interviste, cinguettii e interventi, letti un po’ dovunque primae dopo la pubblicazione del testo sul sito del Governo, di fornire qualche piccolo e spero utile elemento di chiarezza. In che senso? Sotto almeno due profili: potere delle norme di innovare la PA e limiti posti dalla delega.Sgombro, intanto, il campo da alcuni equivoci.

Il CAD non è un elenco di progetti da attuare. Non lo era quello del 2005 e non dovrebbe esserlo nessuna norma di rango primario. Non può il CAD fornire indicazioni puntuali alle PA su nessun ambito, al più dovrebbe indicare “cosa” e non “come” (non lo ripeterò più: è norma di rango primario, non un regolamento attuativo o un programma di interventi).

> Questo articolo fa parte del dossier “Speciale CAD, grandi firme commentano il codice della PA digitale “

Se può servire, con tutti i limiti di una analogia piuttosto grossolana, prendiamo il codice della strada. Leggendolo non troveremo nulla che ci possa indicare come sarà il prossimo modello della BMW o se sarà migliorato e come il sistema frenante di una Renault. Eppure le innovazioni nel settore automotive sono state enormi (appuntiamoci intanto questo: innovazioni senza norma).

Adesso sgombriamo il campo da un’altra presunta verità (di fede, direi, visto che tutte le prove indicano il contrario): che la pubblica amministrazione – o qualunque sistema altamente complesso e anche complicato – si cambi con una bacchetta magica (un nuovo CAD, ad esempio). L’evidenza empirica e una gran mole di studi dicono che servono anche altri strumenti, ma vediamo perché e mettiamo a fuoco invece cosa può fare una buona norma (lo dirò in conclusione di questo intervento).

Un sistema complesso è composto da molte componenti (istituzioni, organizzazioni, comportamenti, valori, persone, strumenti, etc.) che non rispondono ad una sola logica o regola. Due Comuni con lo stesso numero di abitanti possono avere performance molto differenti pur se la normativa e gli strumenti che utilizzano sono gli stessi. Basta questo controesempio per spazzare via, una buona volta, tutta quella retorica di schiere di “innovatori” che hanno un’attesa messianica nei confronti di un solo intervento (in buona fede, gli innovatori. Ma un qualunque mio stagista sa che quello che ho scritto è vero e non perché l’ho scritto io, ovviamente, ma semplicemente perché di dominio pubblico per chi abbia tempo per informarsi).

Il secondo punto sul quale vorrei soffermarmi è la portata del cambiamento del CAD nei limiti posti dalla delega conferita con la legge 124/2015. Almeno due sono i limiti cui si sono dovuti confrontare gli estensori del nuovo CAD: quelli imposti dai principi contenuti all’art.1 della legge delega e quelli derivanti dal tipo di modifica.

Partiamo dall’ultimo e userò analogie solo perché mi sono comode. La legge delega non ha conferito al Governo il potere di “riscrivere” il CAD (o un altro decreto legislativo). Il potere conferito era di “novellare” il CAD. Se il CAD è un appartamento, la novellazione è una lieve ristrutturazione, laddove la riscrittura avrebbe comportato buttar giù la casa e ricostruirla. Differenza non da poco, converrete. Novellare un testo comporta un ulteriore vincolo oltre a quelli espliciti contenuti nei principi della delega conferita dal Parlamento: significa disporre di margini di manovra “concettuale” ristretti, devi muoverti nelle “stanze” dell’appartamento ma non puoi stravolgerlo e devi applicare i principi di cambiamento che la delega ti indica all’interno degli ambienti dell’appartamento che hai ereditato.

Mentre sul fatto che la novellazione dovesse rispettare i principi posti dal Parlamento non vi sono dubbi, immagino. Ma allora perché alcuni commentatori si sono meravigliati del fatto che il nuovo CAD non ha previsto interventi sicuramente non a costo zero quando tra i principi previsti all’art.1 c’è scritto: “… il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con invarianza delle risorse umane, finanziarie e strumentali … ”?

Il CAD – nuovo o vecchio – è un codice; quindi comprende e sistematizza norme in larga parte preesistenti. In quanto codice dovrebbe contenere solo poco più che principi e demandare a regolamenti attuativi l’effettiva implementazione dei principi. Quello che si dovrebbe fare, penso, è domandarsi: se e in che modo il domicilio digitale (giusto per fare un esempio) potrà essere attuato? Se e come il sistema pubblico di connettività dovrà essere semplificato e aperto anche ai privati? Come si potranno digitalizzare i procedimenti: uno per uno “in verticale” o scomponendoli trasversalmente?

Queste sono le domande che dovremmo porci – e, se quello che ho detto finora ha senso, la risposta è in larga parte fuori del CAD, è nei futuri regolamenti attuativi, da un lato, e nelle capacità della PA dall’altro – piuttosto che cercare chissà quale innovazione (tecnologica? organizzativa?). Il CAD è stato modificato, ove possibile, per sottrazione, alleggerendolo e rimuovendo quello che non serviva e non è servito.

La metafora della modifica per sottrazione penso sia utile anche per ricollegarmi alla cosa che ho appuntato all’inizio: innovazione senza norme. Gran parte degli strumenti utilizzabili per mezzo di una norma come il CAD poggia su innovazioni che avvengono al di fuori delle amministrazioni pubbliche e che non sono previste da alcuna norma. È quindi quanto mai opportuno che il testo sia privo di indicazioni puntuali e che sia demandata invece a norme di rango inferiore la definizione del “come” utilizzare e rendere ammissibili strumenti che il mercato mette a disposizione.

Ad esempio, il domicilio digitale è uno strumento che può essere implementato in molti modi, attualmente. Uno è la PEC (o l’equivalente servizio previsto dal regolamento eIDAS, non appena disponibile), un altro si basa sull’identità digitale (ma non è l’identità digitale: una chiave non è una bacheca e nemmeno una cassetta delle lettere, parlando per metafora). Altri ne verranno in futuro, suppongo. Perché definirli nel CAD? Lì troverete solo quello che serve per partire subito, il resto sarà frutto dei progetti coordinati dall’Agenzia per l’Italia digitale e della maturità digitale di amministrazione e cittadini (maturità che non si dà per legge, su questo non vi sono dubbi, vero?).

Una norma è condizione necessaria, da quanto finora detto. Necessaria per conseguire il principale obiettivo che è quello di portare il cittadino al centro e provare ad alleggerirlo di doveri da spostare sulle spalle più robuste delle amministrazioni. Se il cittadino ha diritto a pagare elettronicamente (e lo dice il CAD), l’altro braccio del Governo – l’Agenzia per l’Italia digitale – sta accelerando per portare tutte le amministrazioni ad accettare tali pagamenti aderendo alla piattaforma attualmente disponibile. Se l’amministrazione deve conservare un documento per un certo numero di anni, togliamo tale obbligo al cittadino (ma non la possibilità, ovviamente). Se un cittadino elegge un domicilio digitale nessuna amministrazione può inviargli una raccomandata, ma lasciamo il cittadino libero di fare come crede quando tocca a lui scegliere lo strumento con cui dialogare con la PA. Questo spostamento di prospettiva “diritti per cittadino = doveri per la PA” è una buona cosa.

Ma non è di per sé sufficiente, nemmeno se quella scritta fosse la norma migliore possibile. L’agire delle organizzazioni complesse è condizionato da molti fattori e non tutti sono regolabili da leggi. In più la nostra pubblica amministrazione non può facilmente avvalersi di risorse fresche, giovani ben formati e motivati.

Teniamo sempre presenti questi – e molti altri – limiti che si frappongono tra l’ideale e il reale. Molte delle proposte formulate da autorevoli commentatori sono certamente da valutare e il percorso legislativo è ancora alla fase iniziale e sarà sempre possibile migliorare il testo. Inoltre, dopo l’approvazione si aprirà la partita dei regolamenti attuativi (alcuni degli attuali andranno modificati, altri scritti da zero, tutti rapidamente resi disponibili per non perdere ulteriore tempo). Gli spazi per portare a compimento almeno questa parte della riforma della pubblica amministrazione, quella “digitale”, ci sono e mi auguro si possa trovare il modo di farlo pragmaticamente e con i piedi per terra.

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