Il paradosso della conservazione digitale: la fedeltà all’originale resta una incognita

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Come avvenne per il passaggio dall’oralità alla scrittura in alcune culture, quello dall’analogico al digitale nella nostra, rappresenta di per se un cambiamento, ma diverrà realmente evoluzione solo grazie al mutamento socio-culturale che sarà in grado di produrre

4 Luglio 2016

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Massimo Laurenzi, rappresentante juniores nel Consiglio Direttivo Nazionale, Associazione Nazionale Archivistica Italiana

Da sempre gli elementi che regolano la trasmissione di conoscenze sono gli stessi che impongono la loro conservazione. Contesto sociale, necessità, utilità e disponibilità influenzano a un tempo sia la produzione sia la trasmissione di un’informazione. Il prodotto documentale di una cultura digitale dispone oggi la ridefinizione dei criteri di sviluppo e gestione dell’oggetto informativo. Gli storici paradigmi della cultura analogica fondati sull’aderenza di contenuto e supporto, tendono a essere sempre più inefficaci. La nuova composizione del linguaggio e l’espressione digitale, come rilevato da molti pensatori contemporanei, hanno messo in discussione l’egemonia di una forma d’interazione sequenziale (nata con la scrittura) recuperando il valore della simultaneità.

Allo stesso modo il ciclo documentale è ora continuo per necessità e l’abbandono del supporto fisico impone la fusione del contenuto con l’elemento che lo sostiene e veicola. Il contenuto diviene documento, inteso come sostanza formale e non più come supporto.

Lo stesso rimando concettuale, anomalo nel processo di trasmissione analogico, si rileva nel sistema di condivisione, replicazione e rielaborazione che regola la trasmissione di conoscenza in forma orale. Nel secolo scorso l’antropologo Gregory Bateson nel delineare il valore dell’oralità nella tradizione religiosa associò al linguaggio funzioni comunicative e funzioni meta-comunicative. Le prime necessarie alla trasmissione d’informazioni e contenuto, le seconde destinate alla definizione di rapporti e relazioni.

In quella che viene definita tradizione orale si prevede come necessario l’elemento della trasmissione, ma paradossalmente non si attribuisce al contenuto nessuna originalità. Ci si spingerebbe quasi ad affermare che l’originale così inteso non esiste. Si preserva pressoché immutato l’elemento archetipo informativo ma si sommano a esso, consapevolmente o meno, elementi narrativi che ne assicurano riconoscibilità e stabilità.

Identico destino subisce oggi l’oggetto digitale e le sue aggregazioni in forma di pacchetti nel processo di versamento e archiviazione. Al contenuto documentale che rappresenta la sostanza informativa, si sommano metadati gestionali che ridefiniscono e in molti casi commutano lo stesso oggetto garantendone però la gestione, la conservazione e la distribuzione.

Se la credibilità dei meccanismi della tradizione orale, si fonda sulla tracciabilità della catena di trasmissione fra singoli individui, i quali devono essere contemporanei e in diretta comunicazione l’uno con l’altro; l’attuale processo di conservazione prevede consapevolmente l’acquisizione la verifica e il rifiuto (nel caso di incoerenza con le modalità previste dal manuale di gestione) da parte del sistema di conservazione del pacchetto di versamento imponendo per di più “ai fini dell’interoperabilità tra sistemi, la produzione dei pacchetti di distribuzione coincidenti con i pacchetti di archiviazione”.

Appare tuttavia difficile ipotizzare un processo di conservazione che permetta la restituzione dell’originario oggetto digitale. Il nucleo solido della conservazione finisce per associare all’oggetto (anche se in modo coerente) l’elemento conservativo proprietario, implementandone i metadati gestionali, e rendendolo continuamente meno estraibile e meno indipendente.

L’attribuzione di garanzia e autenticità, la “portabilità” nel tempo della memoria e la sua ri-usabilità, problemi così attuali nel dibattito archivistico contemporaneo, sono risolti, nelle culture orali attraverso quella che potremmo definire: “accountability del Cantore”. Esso è a un tempo depositario del messaggio archetipo, strumento della sua trasmissione ed elemento discriminante di attribuzione di valore. Il contenuto da lui trattenuto, ridefinito e restituito preserva un nucleo solido di conoscenza ma la sua conservazione e la sua restituzione sono soggette a continua riformulazione.

In una cultura digitale, il ruolo affidato ai conservatori e l’incidenza dello stesso processo di conservazione delineano una rigida formulazione affidata a standard di meta-datazione e aderenza fra le fasi versamento, archiviazione e trasmissione come unica soluzione per la sostenibilità dell’interno processo. Si tenta di originare un paradosso conservativo associando un vincolo di stabilità a un elemento per natura liquido e dinamico.

Sebbene la normativa di riferimento in materia di gestione e conservazione documentale e l’indirizzo dato dagli standard internazionali di riferimento abbiano contribuito a delineare un orizzonte più maturo, l’incognita sulla consistenza e sulla qualità della nostra conservazione digitale a lungo e breve termine non è affatto risolta.

Rilevare quanto prossima sia la riflessione sulla reminescenza e inaffidabilità dei contenuti veicolati dalla tradizione orale associandola alla nostra capacità di trasmettere digitale aiuta a comprendere quanto la sostenibilità del nuovo processo conservativo sia connessa non solamente ad elementi tecnici.

Come avvenne per il passaggio dall’oralità alla scrittura in alcune culture, quello dall’analogico al digitale nella nostra, rappresenta di per se un cambiamento, ma diverrà realmente evoluzione solo grazie al mutamento socio-culturale che sarà in grado di produrre.

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