Il vaso di Pandora della Big society e i nuovi modelli di pubblica amministrazione

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Quando si parla di Big Society si sa da dove si parte ma non dove si arriva. Proposto in un momento di conclamata crisi economica e sociale e ripreso per aspetti diversi in molti discorsi, il programma di Cameron, a guardarci bene dentro, sembra accendere i riflettori su una crisi profondamente politica. Non fa eccezione l’Italia dei municipi e del mutuo aiuto, dove ad essere fortemente incrinato è proprio il rapporto di rappresentanza tra Stato e società, con il risultato di un inaspettato divario tra governo della cosa pubblica e bisogno sociale. Questa è l’analisi emersa dai lavori in tema di “Coesione sociale, sussidiarietà, Big society”, il 15 dicembre alla Camera dei Deputati, con il contributo di analisti di rilievo e la pregnante sintesi di Giuseppe De Rita.

21 Dicembre 2011

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Chiara Buongiovanni

Articolo FPA

Quando si parla di Big Society si sa da dove si parte ma non dove si arriva. Proposto in un momento di conclamata crisi economica e sociale e ripreso per aspetti diversi in molti discorsi, il programma di Cameron, a guardarci bene dentro, sembra accendere i riflettori su una crisi profondamente politica. Non fa eccezione l’Italia dei municipi e del mutuo aiuto, dove ad essere fortemente incrinato è proprio il rapporto di rappresentanza tra Stato e società, con il risultato di un inaspettato divario tra governo della cosa pubblica e bisogno sociale. Questa è l’analisi emersa dai lavori in tema di “Coesione sociale, sussidiarietà, Big society”, il 15 dicembre alla Camera dei Deputati, con il contributo di analisti di rilievo e la pregnante sintesi di Giuseppe De Rita.

Il 15 dicembre si è svolto a Roma il convegno dal titolo “Coesione sociale, sussidiarietà, Big society”.  Gli interventi proposti ci aiutano a sollevare dei punti da approfondire in un discorso complesso ma forse ineludibile.  In esterma sintesi,  per liberare la Big society di casa nostra non basta riscoprire le potenzialità e le competenze di cittadini e corpi intermedi, ma, ad un livello più profondo, bisogna ricostruire una governance che sembra essersi logorata.  Vediamo su quanti livelli dovremo lavorare.

Antonio Marzano, Presidente CNEL, aprendo i lavori, pone l’accento sulla dimensione socio-economica di un necessario new deal che poggi sulla coesione e sull’operosità (di cavouriana memoria) delle comunità territoriali. Per Marzano un discorso che riconosca, favorisca e potenzi la sussidiarietà, lavorando su una maggiore coesione sociale non può prescindere da una prospettiva di crescita economica. Le politiche di crescita del PIL sono da considerarsi parte integrante delle politiche di coesione. “Il PIL è una torta”, spiega. “Se non cresce, per dare un fetta ad uno bisognerà toglierla a un altro”. Intervenire sul PIL è indispensabile, ma in parallelo bisogna riconoscere che non è il PIL l’unica misura della nostra ricchezza. E’ per questo che nel new deal il presidente del CNEL inserisce il programma BES – Benessere Equo e Sostenibile, a cui lavorano CNEL e Istat, che declina e misura il benessere in una serie di dimensioni non direttamente economiche.

Graziano Delrio, Presidente ANCI e Sindaco di Reggio Emilia, contribuisce con decisione a “calare” il discorso nei luoghi della pratica. La sussidiarietà, riconosciuta da dieci anni nella nostra Costituzione, si pratica nei territori e le amministrazioni che si trovano nella posizione di facilitarla sono quelle locali, in primis i Comuni. Per Delrio il nodo da sciogliere è la premessa culturale secondo cui la “redistribuzione di potere coincide con una sua restrizione”. “Il modello di amministrazione che si fonda sulla sussidiarietà – spiega – vede nella redistribuzione di potere piuttosto una sua diffusione, in una moltiplicazione di opportunità”. Un inciso importante è che in questa visione le nuove tecnologie sono strumenti importanti di generazione di potere orizzontale (anche se da presidiare per evitare il rischio di legami strutturalmente troppo deboli). Il nodo individuato – continua Delrio – è da superarsi non solo nei rapporti tra amministrazione e cittadini, ma anche tra livelli amministrativi, ovvero Stato – Amministrazioni comunali. Qui si apre un suggerimento importante, eco delle istanze dei Comuni italiani. “La crisi – afferma – si può superare con un nuovo Municipalismo, che veda finalmente nei Comuni italiani non centri di costo ma generatori di cittadinanza”. La questione madre è il federalismo, parola che sembra aver imbrigliato una questione non risolta tra Stato centrale e enti locali.

Luca Antonini, Ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Padova e Vice Presidente Fondazione per la Sussidiarietà, riporta l’accento sull’integrazione dei principi della sussidiarietà in legislazione fiscale e meccanismi di mercato. Da un lato – spiega – si tratta di inserire delle misure fiscali concrete a sostegno della sussidiarietà, seguendo ad esempio la linea tedesca dei “minimi di assistenza familiare” (per cui lo Stato non può colpire le famiglie sul reddito destinato a mantenere ed educare i figli, una volta quantificato il minimo necessario) o ispirandosi al modello del quasi – mercato di Blair, secondo cui i soldi prelevati fiscalmente “seguono l’utente” (per cui se Mr Y sceglie di curarsi nell’ospedale X i  suoi soldi andranno all’ospedale X). Dall’altro lato si tratta di integrare le categorie della gratuità e del dono all’interno del sistema economico di mercato, in un disegno di civilizzazione dell’economia. Quello che si richiede a livello politico – conclude – è un cambiamento di metodo. “Da una politica di assistenza bisogna passare ad una politica di capacitazione ”.

Giovanni Pitruzzella, neo Presidente dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, riflette sulla necessità, imposta dalla crisi del debito pubblico, di superare un modello di Stato sociale che veda contrapposti il pubblico e il privato. Per questo – sostiene – sarà necessario studiare modelli di applicazione del principio di sussidiarietà nella riorganizzazione dei servizi pubblici universali. “Nel nuovo modello – continua – l’interesse generale non è necessariamente allocato presso lo Stato e/o presso enti pubblici. Questo comporta un nuovo ruolo dello Stato, che da erogatore diventa garante”.

Andrea Manzella, Ordinario di diritto costituzionale e Direttore del Centro di studi sul Parlamento dell’Università Luiss di Roma, apre la questione: come ricostruire il tessuto sociale, prerequisito di una democrazia? A farlo sarà una Big society o piuttosto un Big Government? La domanda che Manzella solleva non è un gioco di parole, ma una chiave di interpretazione dei processi di costruzione della stessa Big society. Manzella si domanda infatti se si possa arrivare al paradosso di una Big society calata dall’alto. In un progetto di nuova società – sostiene – il principio di sussidiarietà è da riferirsi piuttosto allo Stato. In altri termini, il principio generale sarebbe quello del potere civico diffuso, salvo il compito di supplenza dello Stato in caso di atonia sociale. Si realizzerebbe così uno Stato sussidiario e si darebbe piena realizzazione all’art. 3 della Costituzione, che parla di effettiva partecipazione all’organizzazione (non solo gestione) politica, economica e sociale del Paese. In questo discorso Manzella introduce il ruolo dei partiti politici, da finalizzarsi alla liberazione della società e non all’occupazione dello Stato.

Lorenzo Ornaghi, neo – Ministro per i Beni e le Attività Culturali, riporta il discorso sulla necessità della mediazione partitica, in una riflessione più ampia sul rapporto tra rappresentanza e partecipazione. La Big society è formata da parti forti e da parti deboli e le parti forti sono tali in quanto vicine alle fonti di potere politico – istituzionale. E’ un’illusione pensare a una Big society di pari forza in ciascun suo punto. Per questo c’è bisogno di lavorare sul rapporto tra sussidiarietà e governance. La situazione attuale vive il paradosso di una rappresentatività atrofizzata da un lato e di una rappresentanza ipertrofica dall’altro. Il risultato è la totale perdita di forza della rappresentanza ex officio con conseguente crisi di governabilità. La questione fondamentale, per il Ministro, sta dunque nell’allargare la rappresentanza in forme di governo che garantiscano la partecipazione e al tempo stesso la governabilità.

A Giuseppe De Rita, Presidente e Segretario generale della Fondazione CENSIS, spettano le conclusioni, il non facile ruolo di tirare le fila di un discorso composito e multiprospettico. La domanda di base per De Rita è: “La società italiana ha senso senza il pubblico?”. La risposta per De Rita è che il rapporto Stato – società in Italia è ineludibile, perché la storia della società italiana ha seguito quella dello Stato. Il problema che ci troviamo ad affrontare – spiega – è un problema di connessione tra Stato e società, tra governo della cosa pubblica e bisogno sociale. La tesi che si è affermata in Italia è quella per cui lo Stato ha il primato sul bisogno sociale, in parole povere “Lo Stato fa tutto”, intervenendo su tutti quelli che La Malfa nella Nota aggiuntiva del 1962 individuava come bisogni non monetabili, lasciando all’intervento del privato la possibilità di rispondere ai bisogni cd monetabili. Il clima nel tempo è cambiato – prosegue – per cui il terzo settore è entrato con le sue risposte anche nei bisogni non monetabili. C’è stato in questo senso una proliferazione di orizzontalità, generando un ipertrofismo orizzontale che la governance verticale non riesce a interfacciare. Ma se è vero che la realtà sociale italiana è molecolare, policentrica, ipertrofica è altrettanto vero che questa realtà sociale non riesce a fare governance (si vedano a titolo esemplificativo le sorti del Piano per il mezzogiorno). Dunque, abbiamo una orizzontalità crescente da un lato e una governance intimidita che torna sulla verticalità dall’altro, con il risultato che l’una non sa vincere sull’altra. La  conclusione  – chiude De Rita – è che queste due dimensioni devono tornare a lavorare insieme. E aggiunge: non ci sono santi, il confronto tra governance e molecolarità passa per gli enti locali.

Dunque, un bel po’ di cose su cui lavorare.

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