Napolitano: “Trasparenza dei dati non basta, le PA lavorino sull’usabilità”
14 Dicembre 2016
Maurizio Napolitano, Fondazione Bruno Kessler
A che punto siamo?
Cominciamo a fare chiarezza su un concetto: open data e big data non
sono due oggetti diversi. Entrambi parlano di dati, solo che il primo si
concentra sulle questioni relative al permesso di riuso, mentre, il
secondo, sulle problematiche di gestione del flusso informativo e di
come trarne vantaggio.
Il movimento open data nasce in particolare da parte chi, in questi
anni, ha sempre lavorato con i dati ed ha perso più tempo nel dover
avere il permesso di riuso invece che nelle elaborazioni.
In Italia l’interesse si sta spostando più sul secondo, per poi andarsi a
scontrare – nuovamente – sul problema dell’accesso e della
disponibilità.
Allo stato attuale il termine open data ha bisogno ancora di essere
capito e interpretato nel giusto modo che è quello del permesso di
accesso al fine di creare un bene comune da cui tutti possono attingere.
In quest’anno sono aumentati i dataset ma la strategia sembra essere
quella dell’open data come fine a se stesso e non come mezzo.
Il ragionamento dovrebbe spostarsi di più verso l’apertura dei dati per fornire soluzioni.
Questo Governo ha prodotto molte riforme e introdotto molte innovazioni: cosa è già “usabile” tra quanto approvato? Cosa ci portiamo a casa?”
Il problema rimane il gap fra la riforma e la sua implementazione oltre che poi la traduzione in termini tecnologici. Per ogni riforma servono dei decreti attuativi, da qui nascono poi linee guida e da queste le tecnologie necessarie. Sul settore dei dati l’attenzione continua ad essere sulla trasparenza,
senza però poi fornire indicazioni più precise su standard, modalità,
formati e vocabolari.
Si tratta di una grande sfida, ma se ci si riuscisse a concentrarsi su
almeno una riforma in maniera verticale (dalla legge alla sua effettiva
implementazione tecnologica) credo che si potrebbe ottenere maggiore
risultato.
Molti provvedimenti sono ancora non in sospeso, cosa pensa che sarà impossibile raggiungere degli obiettivi che erano posti? A cosa dovremo rinunciare, almeno per ora?
Penso che se riuscissimo solo ad implementare quelli precedenti sul tema
open data, molto probabilmente molte soluzioni arriverebbero da se. Aprire i dati in realtà vuol dire riorganizzare i processi produttivi, pertanto una vera rivoluzione. Chi semina buon grano ha poi buon pane.
Cosa si può fare ora nel campo dell’innovazione digitale che non ha bisogno della politica, ma solo dell’azione fattiva dell’amministrazione?
L’esempio di ComunWeb del Consorzio dei Comuni del Trentino per me è uno
degli esempi da seguire e su cui, magari, far convergere un po’ tutti.
In breve: oltre il 90% dei circa 180 comuni del Trentino stanno facendo uso della
stessa piattaforma di pubblicazione dei contenuti su web. La piattaforma intercetta alcuni dati in automatico ed altri dall’inserimento degli operatori. Gli output sono le informazione per i cittadini che vengono strutturate tutte allo stesso modo.
La piattaforma non si ferma alla pubblicazione di pagine web ma offre
l’accesso dei suoi contenuti anche via webservices permettendo quindi
una multicanalità ed un riuso dei dati totale.
Siamo davanti ad una omogeneizzazione dei processi di produzione dentro
la PA attraverso l’uso di vocabolari condivisi pensata in particolare
mettendo il cittadino al centro.
Questa soluzione open source nasce tramite il consorzio che ha
intercettato le necessità dei vari comuni portando un notevole risparmio
sui costi e nei termini dei processi organizzativi e di scambio fra le
pa.
Questo esempio è replicabile e, qualora esistessero più realtà – anche
diverse fra loro – che ne seguono il percorso, in futuro poi ci si potrà
concentrare sull’integrazione delle singole soluzione o sulla
ristrutturazione in modo d’avere una parte centrale, quella
dell’interoperabilità, valida per tutti.