Piano triennale e gestione associata dell’ICT: perché in molte realtà “aggregarsi digitalmente” è l’unica strada possibile
Parlare di territorio e di gestione associata vuol dire parlare dei Comuni. In molte realtà la gestione associata (in qualunque forma) non è un’opportunità, ma è una necessità per continuare a erogare i servizi e, a maggior ragione, lo strumento “gestione associata ICT” e Trasformazione digitale ha un ruolo centrale. Per questo è estremamente importante che sia stato indicato nel Piano triennale come uno degli strumenti da attuare per poter davvero realizzare quanto indicato nel documento
22 Febbraio 2024
Andrea Tironi
Project manager Digital Transformation, Consorzio.IT
Nel nuovo Piano triennale per l’informatica nella PA – Edizione 2024-2026 è presente una innovativa sezione dedicata agli Strumenti, in cui troviamo al punto 2 la sezione “Strumento 2 – Gestione associata dell’ICT”. L’obiettivo di questa sezione è esaminare i principi generali della gestione associata dell’ICT, con un focus specifico sulle Unioni di Comuni. Il documento (che è stato redatto dal Gruppo di ricerca sulla trasformazione digitale della PA dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano) analizza inoltre “i fattori abilitanti che favoriscono l’implementazione di tali sistemi, con particolare attenzione all’organizzazione dei servizi intercomunali in gestione associata” ed “esplora il ruolo delle community e della collaborazione digitale, evidenziando l’importanza della qualificazione dei centri servizi”. I destinatari sono gli enti territoriali come comuni, province, città metropolitane e regioni, comunità montane, comunità isolane, unioni di comuni e consorzi fra enti territoriali.
La situazione dei Comuni
Parlare di territorio e di gestione associata, vuol dire parlare dei Comuni (per chi non sapesse come sono nati, una piccola trattazione si trova qui sottoforma di 2 minuti di video). I Comuni sono circa 7900 enti che costituiscono l’ultimo miglio (o metro) di contatto tra pubblica amministrazione e cittadini e imprese.
Per parlarne con consapevolezza del fenomeno umano che sta caratterizzando lo spopolamento del personale che tiene vivi amministrativamente i comuni vale la pena di partire da numeri elaborati da IFEL nel documento “Personale Comunale e Formazione: Competenze e Scenari. Edizione 2023”.
Risulta chiaro come il personale comunale si sia ridotto del 28% in 14 anni. L’analisi prevede una riduzione ulteriore del personale nei prossimi 10 anni di circa 100.000 unità per motivi anagrafici e mancanza di turnover effettuato negli anni precedenti.
Il 65% dei dipendenti comunali ha oltre 50 anni; quindi, teoricamente nei prossimi 15 anni andrà in pensione (perlomeno indicativamente con le regole attuali). Trovare personale in sostituzione viste le condizioni attuali del lavoro pubblico nei piccoli enti locali non sarà facile (aumento di lavoro, scarsa retribuzione, scarsa possibilità di carriera, bassa attrattività, riduzione della forza lavoro complessiva nazionale causa calo demografico).
Questo comporta la difficoltà ad attrarre personale verso la PA, e nei piccoli comuni anche a trattenerlo, perché spesso il personale preferisce andare in Ministeri e Comuni più grandi, dove il lavoro è meglio definito, organizzato e a volte si hanno anche stipendi migliori. Nei comuni piccoli, infatti, spesso si diventa factotum-tuttologi-multiresponsabili, con uno sforzo mentale e fisico non da poco rapportato alla possibilità di reward (carriera, aumenti economici) corrispondente. Il tutto esacerbato dai cambiamenti del PNRR: se fare il factotum-tuttologo-multiresponsabile aveva un minimo di sostenibilità quando la macchina della PA era un lento pachiderma, ora che è perlomeno una gazzella sfida le capacità umane di reggere i continui cambiamenti che avvengono in ogni settore.
Questi dati ci portano a citare il responsabile sviluppo risorse umane di IFEL, Pierciro Galeone:
“Sono stati persi 165 mila dipendenti comunali negli ultimi 15 anni ma ciò che preoccupa ancora di più è il futuro. Abbiamo di fronte sfide enormi, legate all’utilizzo delle risorse disponibili sia del PNRR che delle politiche di coesione 2021-2027” aggiungeremmo: c’è anche la sfida di continuare ad erogare servizi che già oggi faticano ad essere erogati con continuità in tempi certi.
“Ma attualmente i dipendenti comunali con un’età pari o superiore ai 55 anni sono 143 mila, il 46% del totale. Ifel stima che nei prossimi dieci anni sarà da rimpiazzare ancora un terzo dei dipendenti, diecimila per ciascun anno, personale che andrà sostituito con nuove assunzioni, mettendo in campo diverse forme di gestione delle risorse, acquistando servizi, sviluppando le funzioni in house” o in maniera aggregata “e recuperando efficienza grazie alla maggiore produttività del personale anche attraverso la transizione digitale”.
Galeone evidenzia quindi due necessità del territorio: aggregazione e digitale come chiavi per continuare ad erogare i servizi.
Perdere il personale che ha vissuto l’ente locale nelle ultime decadi, in un mondo analogico, significa perdere informazioni ed esperienza, perché nel mondo analogico la principale base dati informativa è il cervello di queste persone, che codifica esperienza, processi, problemi e soluzioni. Quindi, oltre all’impoverimento numerico, dobbiamo pensare all’impoverimento informativo che deriva dal pensionamento di tanti dipendenti pubblici che, dopo 30-40 anni di servizio e di storia del comune, lasciano il loro incarico. Spesso senza nemmeno fare un passaggio di consegne o, cosa che sarebbe meglio, un affiancamento, per mancanza di sostituti.
Il digitale ci può aiutare salvando dati e codificando processi. Quindi si chiude il cerchio e ancora più si capisce l’importanza dello “Strumento 2 – Gestione associata dell’ICT”.
Lo “Strumento 2 – Gestione associata dell’ICT”
Citando il Piano triennale 2024-2026: “La gestione associata è modello organizzativo che permette alle amministrazioni pubbliche di condividere tra loro risorse e competenze per l’erogazione di funzioni o di determinati servizi di loro competenza. La gestione associata della funzione ICT – (e aggiungeremmo della Trasformazione Digitale N.d.A.) – nello specifico, può rivelarsi una alternativa vantaggiosa per specifiche tipologie di enti, in particolare per quelli di dimensione ridotte, caratterizzati da risorse e competenze specialistiche limitate. In questo contesto, esistono diverse configurazioni di governance multilivello incentrate sulla trasformazione digitale che permettono di ottimizzare l’utilizzo delle risorse disponibili nel mantenimento delle applicazioni e nell’affrontare le sfide legate alla introduzione ed evoluzione di soluzioni e infrastrutture, superando le limitazioni tipiche di una gestione individuale”.
Tra i sistemi per la gestione associata ICT vengono elencati:
- Unioni di comuni
- Forme consortili
- Convenzioni
Come detto da Galeone, la gestione associata (in qualunque forma) non è un’opportunità ma è una necessità per continuare ad erogare i servizi e a questo si affianca la necessità di erogarli in maniera digitale quindi a maggior ragione lo strumento “gestione associata ICT” e Trasformazione digitale ha un ruolo centrale ed è estremamente corretto e importante che sia stato indicato nel Piano triennale come uno degli strumenti da attuare per poter davvero realizzare quanto indicato nel documento.
Lo stesso Mario Nobile, Direttore Generale di AGID, in una recente intervista a FPA, sempre in merito al Piano triennale, ha detto (a nostra libera sintesi e semplificazione) che non si possono certo spingere i comuni a fondersi, ma è chiaro che piccolo non è bello e che la demografia non gioca a nostro favore. Nobile prosegue dicendo che alcune pratiche devono passare da best practices ad ordinarie (es. protocollo, conservazione a norma, manuale gestione documentale, e così via). Aggiungiamo automazione dei processi, cultura del dato, e in un futuro abbastanza presente, AI Literacy.
Anche di questo parlavamo qualche tempo fa in un articolo sui dipendenti comunali non umani e il comune del 2050 proprio su FPA, per far capire come digitale, automazione, cultura dei dati, IA, diventeranno l’ossatura di una PA locale che avrà sempre meno “personale umano”.
Tornando alla necessità di “aggregarsi digitalmente” si evidenziano, come opzioni di forme consortili, anche le società in-house di cui posso portare esperienza diretta, essendo il mio contesto quotidiano di lavoro.
Società in-house: l’esperienza del Consorzio IT
Una società in-house, nel nostro caso specifico, è una società che è stata fondata dai comuni (52) del cremasco (provincia di Cremona). I comuni sono gli unici soci e hanno capito nel 2004 che avevano bisogno di un supporto per il processo di informatizzazione in atto. La società è a capitale pubblico quindi di completa proprietà dei comuni soci in quote diverse e a diritto privato, ovvero con alcune libertà di movimento da azienda privata. Questo permette di riuscire a raggiungere obiettivi e risultati in un tempo solitamente più ragionevole e soprattutto in maniera aggregata, superando le macchie di leopardo tipiche dell’azione dei singoli e permettendo progettualità più standardizzate e di lungo periodo, su un numero di cittadini ed imprese più ampio.
Il fatto di essere una società in-house permette anche di attrarre competenze in relazione ai temi che si presentano nello scenario nazionale e internazionale, come ad esempio la transizione digitale, la transizione energetica, la transizione ambientale. Il tutto in ottica di aggregare servizi a livello sovracomunale rispettando le specificità dei singoli enti, ma offrendo un braccio operativo a tutti i comuni per cercare un’uniformità di servizio su tutto il territorio, in modo che i cittadini e le imprese possano interfacciarsi con i comuni allo stesso modo, senza dover imparare, per ogni comune, processi nuovi, metodologie nuove e, nel medio termine, regolamentazioni diverse.
In particolare, negli anni il percorso è stato quello che si può vedere dall’immagine che segue.
La società ha originariamente visto la luce come sostegno all’informatizzazione degli enti, per poi concentrarsi maggiormente sulla trasformazione digitale a partire dal 2017.
Successivamente, ha istituito un ufficio Responsabile per la Trasformazione Digitale (RTD) associato sovracomunale con un responsabile unico per 43 comuni, sia soci che non soci.
Nel corso del tempo, con l’arrivo del PNRR, ha iniziato a gestire i circa 300 avvisi su 40 comuni per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) digitale, con un particolare focus su M1C1.
Questo percorso è stato realizzato attraverso un solido rapporto di fiducia con gli enti soci, e la creazione di nuove relazioni con enti non soci, nei limiti del 20% delle attività extra soci. La società si distingue dal fatto che il suo bilancio dipende dalla qualità dei servizi offerti, piuttosto che da trasferimenti statali o regionali.
Consorzio IT è diventato progressivamente un punto di riferimento per tutte le entità pubbliche interessate a operare sul territorio. La società ha consolidato la sua posizione come punto di contatto con importanti attori come ANCILAB, ANCI-Lombardia, Il Transformation Office del Dipartimento Trasformazione Digitale, l’Istituto Poligrafico Zecca dello Stato e PagoPA s.p.a., Regione Lombardia, OpenFiber per citarne alcuni. Ancora più significativo è il fatto che ANCI Lombardia stia esplorando la possibilità di replicare l’esperienza in altri territori della regione, riconoscendo il modello come apprezzato dai comuni. ConsorzioIT si candida a diventare quindi centro di competenza regionale per l’ICT e la Trasformazione Digitale.
Il modello di aggregazione e centralizzazione delle funzioni informatiche e digitali, avendo costituito un caso di buon funzionamento, sta trovando applicazione in altri settori, come gli uffici SUAP, SUE, ufficio tecnico, ufficio bandi, ambiente ed ecologia, nell’ambito di progetti come, ad esempio, mobilità sostenibile e supporto alle imprese locali.
L’aggregazione digitale è possibile… anzi è necessaria
L’”aggregazione digitale come necessità per continuare ad erogare servizi”, ovviamente digitali, per inclusività anche verso le future generazioni (se i nonni vedono il digitale come un momento di non inclusività, così i nipoti vedono allo stesso modo la carta) sarà fondamentale e pensiamo di aver spiegato che è possibile, perché è già stata fatta. Non solo da ConsorzioIT, ma da tanti territori in tutta Italia simili a noi (vedi i Sad del Veneto; vedi altre numerose società in house del territorio italiano come Lepida, Pasubio Tecnlogie, CSI Piemonte, per citarne alcune; vedi i Consorzi che sono presenti come le inhouse in piccola parte nello studio di OpenItaliae e che potrebbero essere inclusi nelle prossime analisi).
Vanno individuate forme di aggregazione che abbiano una caratteristica, ovvero la stabilità. Le convenzioni e le unioni (che pur possono andare bene per iniziare un percorso “insieme”) sono spesso soggette ai periodi storici (politici) e a forme di “fai e disfa” che derivano poco da motivi oggettivi e molto da battaglie di “cattivo vicinato politico”. Inoltre, uscire da una convenzione è anche abbastanza facile; quindi, l’onere di exit non è un deterrente per l’uscita stessa.
Solitamente invece le forme consortili e le società in-house riescono a dare maggiore continuità nel tempo alle progettualità, perché sopravvivono oltre il mandato del singolo referente politico e diventano il braccio operativo che dà prosecuzione nel tempo all’operare di un territorio, in maniera più uniforme, con minori costi e maggiore visione di lungo periodo.
Conclusioni
L’aggregazione digitale è fondamentale non solo oggi con il PNRR, ma lo sarà per governare il digitale anche dopo il PNRR. Questo perché la digitalizzazione non finisce con i fondi PNRR, grazie ai quali dovremmo avere un’uniformità nazionale di adozione di piattaforme, ma proseguirà anche dopo il PNRR perché è “la rivoluzione in atto nel mondo presente e futuro”. L’IA ce lo sta dimostrando e non dimentichiamo che il metaverso è solo in pausa (oscurato dall’IA) e che il quantum computing sta muovendo i suoi primi passi. I cambiamenti tecnologici, nel mondo digitale e non, non si fermeranno perché è finito il PNRR. I comuni potranno e vorranno davvero affrontare questa sfida da soli?