Una nuova didattica per la PA. L’Intelligenza Artificiale dipende dai raccattapalle
La domanda vera quando si parla di una nuova didattica per la PA nell’era dell’IA non è solo come imparare a usarla, ma il discorso si sposta sempre più sul concetto di apprendimento aumentato. Il focus oggi è capire come “imparare a imparare”, per governare il cambiamento e anticiparlo, massimizzandone il valore pubblico per la collettività. Occorre una didattica che lavori sì su metodi, contenuti e strumenti, ma a partire da una revisione della forma mentis del discente
2 Luglio 2025
Walter Tortorella
Capo Dipartimento Economia locale e Direttore della Scuola IFEL
Elvira Zollerano
Learning Manager, Area Formazione, IFEL-Fondazione ANCI

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E sì, l’Intelligenza Artificiale (IA) dipende dai raccattapalle. Senza di loro che svolgono un fondamentale ruolo di supporto alla fluidità del gioco, garantendo che le palline siano sempre disponibili per il tiro dei giocatori, la partita avrebbe tutta un’altra storia. E un’altra storia stiamo attraversando. L’IA sta cambiando il modo di vivere di ciascuno di noi in ogni ambito del contesto in cui opera: dal lavoro alla vita privata, dalle relazioni sociali alla partecipazione alla vita democratica. Non si tratta “solo” di una nuova rivoluzione industriale bensì di una profonda trasformazione del paradigma culturale sedimentato negli ultimi millenni. Un nuovo sistema di credenze, valori, comportamenti e conoscenze che sta avanzando a una velocità senza precedenti nella storia dell’umanità e influenza una nuova visione del mondo e del modo in cui tutti i suoi attori interagiscono con esso. Una nuova etica si sta facendo strada senza che l’uomo stesso abbia avuto il tempo di definirne regole e schemi interpretativi. In questo contesto così pervasivo un po’ tutti, e secondo i propri strumenti cognitivi, stiamo cercando di capire il nuovo confine tra il bene e il male di questo nuovo paradigma culturale; ognuno ci sta facendo i conti e sta aggiustando le proprie diottrie per meglio mettere a fuoco la lettura di questo mondo nuovo.
Calando l’analisi dell’impatto che avrà al solo ambito della Pubblica Amministrazione è evidente che la comparsa dell’IA che si affianca alla programmazione, produce documenti e atti amministrativi, progetta servizi, dialoga con i cittadini, si sostituisce al dipendete pubblico delinea un’organizzazione dell’intero comparto – specie nel back office e front office – tutto da ripensare. E mentre la maggior parte degli addetti ai lavori si disperano intravedendo una continua contrazione del numero delle risorse umane in ambito pubblico e cercano di capire come tamponarla, in pochi invertono il modello di analisi. Una inversione tanto necessaria quanto urgente perché l’IA ci obbliga a pensare in modo diverso e soprattutto libera tempo e risorse umane: non si tratta più solo di regole e procedure, ma di dati, scenari probabilistici, algoritmi che non sempre possiamo controllare fino in fondo e che man mano che le applicazioni verranno massivamente allenate saranno sempre più precisi. Ci mette davanti domande nuove: come prendiamo decisioni in contesti incerti? Come garantiamo equità e trasparenza se il processo è guidato da modelli sempre più complessi? Come bilanciamo efficienza e responsabilità? E soprattutto come impiegheremo il nostro tempo-vita-lavoro che si libererà?
Ecco perché la domanda vera quando si parla di una nuova didattica per la PA nell’era dell’IA non è solo come imparare a usarla, ma il discorso si sposta sempre più sul concetto di apprendimento aumentato. Il focus oggi è capire come “imparare ad imparare” in un mondo dove l’IA cambia il modo stesso di lavorare, di decidere, di servire le comunità, dobbiamo costruire una didattica che ci renda capaci di governare il cambiamento, senza subirlo, ma soprattutto di anticiparlo e massimizzarne il valore pubblico per la collettività. Una didattica che lavori sì su metodi, contenuti e strumenti ma a partire da una revisione della forma mentis del discente.
L’IA accelera tutto: i processi, le aspettative dei cittadini, le competenze richieste. La formazione arranca e, mentre Google, Microsoft, OpenAI annunciano entro la prossima estate 2025 nuove versioni ancora più evolute delle loro interfacce, prevale nella didattica la logica della conoscenza di dominio con corsi una tantum, spesso poco pratici e disconnessi dai problemi reali. Non basta più “fare formazione”, o ancor peggio pensare che la formazione sia “il webinar o il ciclo di webinar” ossia accendere e spegnere una piattaforma di call conference sperando di mettere in contatto un docente con centinai di discenti. Questa modalità ha fatto sì, in specie in ambito pubblico, che negli ultimi cinque/otto anni a prevalere è stata una certa formazione aggiornamento one shot e on time, che insegue le novità delle ultime modifiche normative e porta il discente ad accrescere il suo bagaglio nozionistico riducendo quello delle competenze e delle esperienze. Già oggi l’IA consente almeno di dimezzare il tempo in questo tipo di formazione; tra flashcard e mappe concettuali prodotte in tempo reale e ascoltabili con voci e avatar sempre più simili a un essere umano il Basic Knowledge, le nozioni di base, è immediatamente fruibile. Serve, allora, un nuovo approccio e una nuova didattica che sia: flessibile, continua, integrata nel lavoro; capace di allenare al cambiamento e alla gestione dell’incertezza e della complessità; che unisca teoria e pratica, contenuti tecnici e riflessione critica.
L’IA non aspetta: o impariamo a stare al passo, oppure la tecnologia ci passa sopra. E questo riguarda non solo chi lavora nella PA, ma anche chi progetta e organizza gli apprendimenti. L’IA porta con sé, oltre che la necessità di conoscenze crescenti, una richiesta precisa di nuove competenze. Non è solo questione di sapere come funziona un algoritmo: bisogna imparare a leggere e interpretare informazioni e dati, a capire i limiti e i rischi delle tecnologie, a fare domande giuste e saper leggere i fabbisogni reali, a valutare l’impatto delle decisioni. Insomma, il passaggio mentale è sempre più dall’oggetto (manufatto burocratico) al soggetto (cittadino-utente). Il manufatto burocratico è solo un mezzo per raggiungere un fine per giungere al quale c’è bisogno del raccattapalle. Serve azione, pensiero critico, schemi di ragionamento, capacità di sintesi, cultura del servizio, far girare la palla in maniera ottimale perché il gioco sia fluido. E soprattutto, come anticipato, serve la capacità di imparare a imparare: perché quello che impariamo oggi sull’IA certamente non basterà domani. Il nostro compito è quello di riuscire a sviluppare un’offerta formativa per i dipendenti pubblici capaci di governare l’IA, non di subirla. Di saper dire: questo algoritmo o più banalmente questo prompt funziona? È equo? Serve al mio territorio e al mio lavoro di creatore di valore pubblico? Tutti interrogativi che probabilmente chiederemo sempre all’IA con altri prompt ma l’IA non può diventare una scatola nera che in pochi sapranno aprire.
Chi progetta la formazione, allora, ha una responsabilità enorme: preparare le persone a gestire un cambiamento che non è solo tecnico, ma anche etico, organizzativo e strategico. Non possiamo pensare che basti spiegare “come funziona l’IA”. Serve molto di più: dobbiamo costruire percorsi di apprendimento pratici, dove le persone imparino a usare l’IA per risolvere problemi reali: prevedere un’alluvione, ottimizzare un servizio sociosanitario, rispettare le norme sulla privacy ecc. Ma non basta imparare a usare gli strumenti: serve anche una formazione che sviluppi un approccio critico, che insegni a leggere i risultati, a porsi domande, a riconoscere rischi e limiti, a delineare gli scenari possibili; insomma, ancora una volta serve il raccattapalle. Serve formare alla gestione della complessità, perché l’IA porta in gioco variabili nuove, incrociate, spesso imprevedibili. E serve allenare alla cooperazione strategica: non solo tra persone e competenze diverse, ma anche tra il pubblico e il privato, tra istituzioni, imprese, enti del terzo settore. Dobbiamo progettare laboratori, simulazioni, comunità di pratica, dove i dipendenti possano confrontarsi, fare errori, capire come funziona l’IA nella loro realtà concreta. E dobbiamo integrare: momenti in aula, online, sul campo. La didattica deve essere ibrida, flessibile, costruita intorno alle esigenze delle persone e dei territori.
Dal report “Persone e competenze: i fabbisogni formativi nei Comuni”[1], emerge un quadro chiaro:
- Il 68% dei dirigenti e il 50% del personale non dirigenziale si colloca nei livelli iniziali di competenza su temi come l’utilizzo delle tecnologie emergenti, la sicurezza informatica e gli Open Data.
- Le competenze emergenti, tra cui l’uso dell’Intelligenza Artificiale, la promozione dell’inclusione e la gestione del cambiamento, evidenziano un fabbisogno formativo diffuso e trasversale, che riguarda tutti i ruoli e tutte le funzioni nella Pubblica Amministrazione.
Questi pochi dati evidenziano che l’IA non è un tema di nicchia o per soli tecnici (magari i responsabili della transizione digitale), ma una competenza chiave che deve essere sviluppata trasversalmente in tutta la PA. Le aree più critiche sono proprio quelle che richiede l’IA: saper leggere e analizzare i dati; comprendere come funzionano gli algoritmi; conoscere le norme, i principi etici, i rischi. La vera sfida, quindi, non è solo formare all’uso dell’IA, ma insegnare a governarla. A fare scelte consapevoli, a capire quando un modello è utile e quando va messo in discussione. A usare l’IA per migliorare i servizi, per semplificare le procedure, per risolvere problemi concreti dei cittadini. La frontiera già superata della intelligenza generativa ci fa intravedere quella “imprendente”, ossia quella IA che è ad un passo dal “poter prendere decisioni in autonomia”. Questa è una linea rossa di confine e di demarcazione che dobbiamo essere in grado di dominare. Ovvero offrire percorsi di apprendimento che preparino a questo nuovo contesto e allenare al pensiero critico, perché mai come in questa era dell’umanità “la tecnologia non va lasciata sola”: servono persone capaci di guidarla. E formare queste persone è, oggi, una delle responsabilità più grandi della didattica che ci aspetta; ci aspetterà ma non per molto.
[1] Report a cura di Giuliana Ruiu.