Una strategia per diffondere l’open data

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Open data come misura per il rilancio dell’economia. Una ricerca realizzata dalla Scuola sant’Anna di Pisa propone sette linee di azione per impostare correttamente un “governo” dei dati aperti. Ne abbiamo discusso con Marco Fioretti, curatore della ricerca.

13 Settembre 2011

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Tommaso Del Lungo

Articolo FPA

Open data come misura per il rilancio dell’economia. Una ricerca realizzata dalla Scuola sant’Anna di Pisa propone sette linee di azione per impostare correttamente un “governo” dei dati aperti. Ne abbiamo discusso con Marco Fioretti, curatore della ricerca.

Da quando in Italia si è iniziato a parlare di open data l’accento è sempre stato posto più sull’elemento della trasparenza che su quello dello sviluppo economico. Un progetto di ricerca realizzato dal Laboratorio di Economia e Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa – propone, invece, di spostare l’attenzione proprio sui vantaggi economici derivanti da un utilizzo diffuso di dati aperti e propone una serie di azioni strategiche per una politica open data, vista come misura per il rilancio dell’economia.

“L’aspetto della trasparenza, su cui si è concentrata la discussione sull’open data nella pubblica amministrazione in Italia è certamente importante, ma non è l’unico degno di nota. L’apertura dei dati pubblici, infatti, rappresenta un valore economico non indifferente, sia interno alla pubblica amministrazione, sia esterno”. A parlare è Marco Fioretti che ha curato la ricerca Open Data, Open Society  della Scuola Sant’Anna di Pisa. Per Fioretti nel nostro Paese si è insistito troppo poco sull’aspetto economico relativo al rilascio dei dati aperti, al punto che oggi occorre lavorare su un vero e proprio salto culturale per avvicinare la filosofia open data italiana a quella del resto del mondo.

Proprio per questo sono pensate, dunque, le sette azioni strategiche contenute nell’ultimo capitolo della ricerca e destinate ai decisori della politica e delle amministrazioni a livello nazionale e locale:

1.      La prima barriera da superare è quella della definizione dello scenario. Occorre, infatti, definire chiaramente e spiegare sia il concetto di open data che di public data facendo comprendere quanto siano differenti da quello di dato personale o sensibile di tutela della privacy. “I dati che nascono all’interno della pubblica Amministrazione – spiega Fioretti – sono dati pubblici ed è necessario far capire alle amministrazioni stesse che, in quanto tali, devono essere resi disponibili in formati standard che li rendano riutilizzabili con facilità”.

2.      Occorre mantenere separate le questioni politiche da quelle economiche. “Come le dicevo – continua Fioretti – il tema della trasparenza è differente dall’aspetto economico e spesso si applica a raccolte di dati (i cosiddetti dataset) differenti”. Eliminare i passaggi burocratici oggi necessari per far circolare i dati tra le amministrazioni differenti, infatti, sarebbe già di per sé un risparmio non indifferente in termini di tempi e di risorse impegnate, ma se a questo aggiungiamo che i dati in formato standard permetterebbero la creazione in automatico degli indici di tutti i dataset disponibili, si può arrivare a cogliere l’importanza economica di una diffusione capillare della filosofia open data. “Per una pubblica amministrazione – continua Fioretti – offrire i dati pubblici in proprio possesso in modalità open rappresenta un esempio concreto di servizio pubblico, perché in effetti i benefici non sono tanto per l’amministrazione che li rilascia, quanto per le amministrazioni o le imprese che hanno la possibilità di utilizzarli”.

3.      Occorre distinguere tra dati esistenti e dati futuri. Per la stessa ragione per cui è necessario distinguere tra questioni politiche e questioni economiche è fondamentale che una politica volta a diffondere l’utilizzo dell’open data nella pubblica amministrazione sia in grado di cogliere la necessità di una norma in grado di incidere non tanto sui dati prodotti in passato, ma su quelli che verranno prodotti in futuro. Se si vuole massimizzare l’impatto economico dell’open data i maggiori sforzi – anche economici – dovrebbero concentrarsi, quindi, nel fornire alle amministrazioni gli strumenti (standard e licenze open riconosciuti dalla legge, manuali operativi, linee guida, raccomandazioni etc) per far sì che i nuovi dataset siano esclusivamente open e, soprattutto, standard.

4.      Occorre imporre licenze appropriate – che attualmente mancano a livello nazionale – e snellire i processi di acquisto del software da parte delle amministrazioni.

5.      Occorre educare la cittadinanza alla comprensione ed all’uso dei dati, fornendo strumenti ed esempi pratici di come i dati pubblici possono essere una risposta efficace ai bisogni quotidiani che nascono sul territorio. Maggiore sarà la domanda di open data da parte dei cittadini maggiore sarà la pressione sui decisori politici ed amministrativi a tutti i livelli a cominciare da quelli locali.

6.      Dal punto 5 discende la necessità di focalizzarsi su questioni locali e specifiche al fine di suscitare l’interesse per l’Open Data. I problemi che stanno più a cuore ai cittadini sono spesso anche quelli più vicini a loro, quelli quotidiani. Riuscendo a far cogliere l’utilità dell’open data a questo livello sarà più semplice, poi, proseguire verso l’alto.

7.      Infine è necessario non calare una strategia dall’alto, ma cercare alleati, coinvolgendo ONG, enti di beneficenza ed associazioni imprenditoriali, organismi che possono fare da “cerniera” tra amministrazioni da una parte e cittadini e imprese dall’altra.

In particolare Fioretti insiste sul valore dell’open data per l’economia locale: “Mi preme sottolineare che i dati aperti possono creare e proteggere posti di lavori che con l’informatica hanno ben poco a che vedere e che rappresentano la porzione di economia più radicata su un territorio. Penso ad esempio al turismo che potrebbe trarre vantaggi enormi dall’adozione di formati aperti per i propri dati. Se le pa locali o le associazioni di categoria creassero cultura intorno a questi concetti, predisponendo iniziative di formazione o strumenti di ausilio o individuando formati standard per specifici settori economici, le piccole aziende potrebbero diffondere in maniera più capillare le informazioni relative ai loro prodotti e servizi (anche quelli sono dati pubblici), sfruttando le opportunità offerte da strumenti del web che già esistono, come i motori di ricerca o i social network e raggiungendo mercati molto più vasti. Si tratterebbe di una misura concreta per favorire il rilancio dell’economia locale, di cui proprio in questi giorni il Paese sembra andare alla ricerca”.

L’ultima parte del progetto di ricerca Open Data, Open Society è un sondaggio on line aperto a tutte le città e regioni dell’Europa a 15, che cercherà di misurare quanti e quali dati pubblici delle rispettive amministrazioni sono già aperti, con quale licenza e in quali formati. Il progetto terminerà con un rapporto finale che descriverà e commenterà i risultati del sondaggio. https://opensurvey.sssup.it/wiki/it:start

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