Wikipedia salva tutti?
Molti se ne sono accorti a partire da una di quelle grandi piccole curiosità che quotidianamente ci portano a Wikipedia. Ieri Wikipedia Italia ha “nascosto” le sue pagine reindirizzando ogni sua voce a un comunicato di allarme e protesta contro il cosiddetto comma “ammazza blog”, ovvero il comma 29 del Ddl sulle intercettazioni in discussione in Parlamento in questi giorni. “Questo comma ucciderà Wikipedia”, questa brutalmente la sintesi del comunicato di Wikipedia Italia. A fronte di una appassionata mobilitazione in rete e della presa di posizione di esponenti di entrambi gli schieramenti, ieri la Commissione Giustizia della Camera è giunta ad un’intesa, specularmene detta “salvablog”. Vediamo a che punto siamo.
6 Ottobre 2011
Chiara Buongiovanni
Molti se ne sono accorti a partire da una di quelle grandi piccole curiosità che quotidianamente ci portano a Wikipedia. Ieri Wikipedia Italia ha “nascosto” le sue pagine reindirizzando ogni sua voce a un comunicato di allarme e protesta contro il cosiddetto comma “ammazza blog”, ovvero il comma 29 del Ddl sulle intercettazioni in discussione in Parlamento in questi giorni. “Questo comma ucciderà Wikipedia”, questa brutalmente la sintesi del comunicato di Wikipedia Italia. A fronte di una appassionata mobilitazione in rete e della presa di posizione di esponenti di entrambi gli schieramenti, ieri la Commissione Giustizia della Camera è giunta ad un’intesa, specularmene detta “salvablog”. Vediamo a che punto siamo.
Ieri Wikipedia Italia ha “nascosto” le sue pagine reindirizzando ogni sua voce a un comunicato di allarme e protesta contro il cd "comma ammazza blog", ovvero il comma 29 del Ddl sulle intercettazioni in discussione in Parlamento in questi giorni. Il comunicato diceva in sintesi ciò che segue.
Il comma incriminato
“La proposta di riforma legislativa, che il Parlamento italiano sta discutendo in questi giorni, prevede, tra le altre cose, anche l’obbligo per tutti i siti web di pubblicare, entro 48 ore dalla richiesta e senza alcun commento, una rettifica su qualsiasi contenuto che il richiedente giudichi lesivo della propria immagine”.
Purtroppo, la valutazione della "lesività" di detti contenuti non viene rimessa a un Giudice terzo e imparziale, ma unicamente all’opinione del soggetto che si presume danneggiato”. Quindi, in base al comma 29, chiunque si sentirà offeso da un contenuto presente su un blog, su una testata giornalistica on-line e, molto probabilmente, anche qui su Wikipedia, potrà arrogarsi il diritto – indipendentemente dalla veridicità delle informazioni ritenute offensive – di chiedere l’introduzione di una "rettifica", volta a contraddire e smentire detti contenuti, anche a dispetto delle fonti presenti”.
(ndr) Il comma 29 del Ddl “Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del giudice e degli atti di indagine. Integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche” , alla lettera a) recitava: «Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono.»
Perché quel comma 29 ammazzerebbe Wikipedia (e i blog)
Così spiegano gli utenti di Wikipedia: “L’obbligo di pubblicare fra i nostri contenuti le smentite previste dal comma 29, senza poter addirittura entrare nel merito delle stesse e a prescindere da qualsiasi verifica, costituisce per Wikipedia una inaccettabile limitazione della propria libertà e indipendenza: tale limitazione snatura i principi alla base dell’Enciclopedia libera e ne paralizza la modalità orizzontale di accesso e contributo, ponendo di fatto fine alla sua esistenza come l’abbiamo conosciuta fino a oggi.
Con questo comunicato – concludono – vogliamo mettere in guardia i lettori dai rischi che discendono dal lasciare all’arbitrio dei singoli la tutela della propria immagine e del proprio decoro invadendo la sfera di legittimi interessi altrui. In tali condizioni, gli utenti della Rete sarebbero indotti a smettere di occuparsi di determinati argomenti o personaggi, anche solo per "non avere problemi".
La battaglia è vinta?
E’ notizia di ieri che in Commissione Giustizia alla Camera (in un dibattito travagliato, che tra l’altro ha portato alle dimissioni di Giulia Buongiorno, presidente di Commissione) è stato trovato un accordo bipartisan che prevede l’obbligo di rettificare entro 48 ore escluisvamente per le testate giornalistiche online.
Chi ha seguito la vicenda dalla voce di Agora Digitale, che ha sposato da subito la battaglia, ha raccolto già ieri la dichiarazione di soddisfazione di Luca Nicotra, segretario dell’Associazione radicale Agorà Digitale che afferma: “Già l’anno scorso sull’onda della mobilitazione in Rete l’iter della legge bavaglio fu interrotta. Ora, la mobilitazione di migliaia di blogger, associazioni e cittadini, grazie al supporto senza precedenti nella storia di uno dei piú grandi progetti di conoscenza condivisa, quale l’enciclopedia libera Wikipedia, ha portato ad una importante retromarcia sul comma cosiddetto ammazzablog/Wikipedia, che la maggioranza ha oggi deciso di limitare alle testate giornalistiche registrate”.
Mentre oggi continua la protesta contro la nuova disciplina proposta sulle intercettazioni, si susseguono i sospiri di sollievo per quella che è comunque considerata una importante battaglia vinta.
Giorgia Meloni, ministro della Gioventù ha così commentato: «Credo che si sia compiuta una scelta di buon senso escludendo i blog dalla norma sull’obbligo di rettifica, rinviando la disciplina di questi così come quella dei siti personali a un dibattito più approfondito».
E ora Wikipedia?
Per il momento Wikipedia rimane prudente, aspettando la discussione alla Camera dei deputati in corso in queste ore. Così commenta il team. “L’oscuramento di Wikipedia ha suscitato una grande attenzione da parte di media, enti, associazioni e cittadini. Alcune personalità politiche hanno manifestato l’intenzione di presentare emendamenti che porrebbero Wikipedia al riparo dagli obblighi e modalità previsti dal comma 29 del decreto proposto. Le voci rimarranno nascoste almeno fino alla discussione alla Camera dei Deputati, prevista per la mattinata del 6 ottobre 201".
“Il diritto di usare la Rete come fonte e luogo di conoscenza – ribadiscono – è e resta la nostra priorità”.
Dunque aspettiamo il voto alla Camera. Benedetto Della Vedova, capogruppo dei deputati di Fli alla Camera, auspica, su questo emendamento, addirittura un voto unanime, commentando così: “La maggioranza ha rinunciato ad una ‘stretta’ sulla Rete che non sarebbe stata degna di un paese libero e democratico. Mi aspetto ora che l’emendamento sia votato all’unanimità dall’assemblea».
Aspettiamo ancora un po’, per tornare ad interrogare Wikipedia, forse ora con una consapevolezza maggiore del suo valore e delle battaglie culturali, di diritto e civiltà che l’hanno portata fino noi. Sono i suoi stessi utenti che ci ricordano il testo dell’art. 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, del 1948, che recita "Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici. Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore".
Diritti e responsabilità (Wikipedia a parte)
La battaglia “salva blog” ha avuto decisamente un’impennata dopo la presa di posizione forte di Wikipedia. Ma sarebbe molto utile riportare l’attenzione a un dibattito in rete (e fuori dalla rete) che, sebbene catalizzato da Wikipedia, non è tuttavia concentrato solo su questa particolarissima fonte di produzione di conoscenza e informazione.
Sul diritto di rettifica, la posizione di Wikipedia è stata questa:
“In questi anni, gli utenti di Wikipedia (ricordiamo ancora una volta che Wikipedia non ha una redazione) sono sempre stati disponibili a discutere e nel caso a correggere, ove verificato in base a fonti terze, ogni contenuto ritenuto lesivo del buon nome di chicchessia; tutto ciò senza che venissero mai meno le prerogative di neutralità e indipendenza del Progetto. Nei rarissimi casi in cui non è stato possibile trovare una soluzione, l’intera pagina è stata rimossa. (…)
Sia ben chiaro: nessuno di noi vuole mettere in discussione le tutele poste a salvaguardia della reputazione, dell’onore e dell’immagine di ognuno. Si ricorda, tuttavia, che ogni cittadino italiano è già tutelato in tal senso dall’articolo 595 del codice penale, che punisce il reato di diffamazione”.
Forse una riflessione un po’ diversa va aperta per le migliaia di blog che popolano e nutrono la rete.
Un buon punto di partenza, ci sembra questo di fresca pubblicazione su L’Inkiesta "Cari blogger, nella vita esistono anche i doveri", a firma Michele Fusco e Massimiliano Gallo. Il problema del Ddl incriminato – spiegano – era piuttosto nella previsione di una pena pecuniaria, non nel diritto – obbligo di rettifica e nella conseguente attribuzione di responsabilità. Il dibattito, secondo i giornalisti de L’Inkiesta ha ingenerato una confusione poco fruttuosa sui temi di responsabilità giornalistica, rettifica e “diffamazione”, che è per altro un reato già regolato e operante anche verso i blogger.
Si dovrà infine fare un passetto indietro per fare un passo avanti? Alla rete l’ardua sentenza.