PNRR e formazione: un approccio sistemico, innovativo e strategico per lo sviluppo delle persone

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La formazione è una leva fondamentale per ripensare la PA e renderla il motore dello sviluppo del nostro Paese. Ci sono però alcune questioni che vanno assolutamente affrontate, se è vero che la formazione deve essere una leva d’azione nell’attuazione del PNRR, questioni presenti parzialmente nel Piano, ma assenti da anni nelle strategie della PA

3 Novembre 2021

M

Giusi Miccoli

Strategic Advisor Politiche per lo sviluppo del personale e Formazione - LAZIOcrea

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Da poche settimane è stata individuata come Presidente della SNA la Prof.ssa Paola Severino, vicepresidente della Luiss Guido Carli nonché Presidente del Comitato scientifico del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) istituito presso il Ministero dell’Università e delle Ricerca e Co-presidente del comitato Scientifico. In un’intervista rilasciata il 2 ottobre scorso al Corriere della Sera ha dichiarato che nella formazione dei dipendenti pubblici sono necessari insegnamenti innovativi e Community of Practice. Il PNRR obbliga infatti a innovare e ripensare la PA, considerando i 900 milioni di euro destinati proprio alla formazione.

Il 7 ottobre è stato, inoltre, siglato il Protocollo d’intesa tra la Ministra dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, e il Ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta. Obiettivo? Potenziare la formazione, l’aggiornamento professionale e lo sviluppo di competenze dei dipendenti pubblici, attraverso collaborazioni e specifiche convenzioni con le Università.

La formazione è quindi una leva rilevante per ripensare la PA e renderla il motore dello sviluppo del nostro Paese, in quanto mira a migliorare la qualità dei servizi offerti a cittadini e imprese e garantire l’efficiente attuazione del PNRR.

Ci sono però alcune questioni che vanno assolutamente affrontate se è proprio vero che la formazione deve essere una leva d’azione nell’attuazione del PNRR, questioni presenti parzialmente nel Piano, ma assenti da anni nelle strategie della PA.

La qualità della formazione: il contesto

La prima questione è la qualità della formazione. I padri storici della formazione in Italia – da Spaltro a Bruscaglioni, da Quaglino a De Masi, da Alberici a Lipari, da Castagna a Garuti – hanno proposto modelli e soluzioni molto innovative, battendosi per il riconoscimento e la qualificazione della professione del formatore. Occupandomi di formazione e di gestione del personale da anni ho avuto modo di partecipare a rilevanti progetti che avevano l’obiettivo di qualificare il processo di apprendimento e i suoi professionisti. Tuttavia le battaglie per rendere la formazione di qualità sono sempre state molto ideologiche e poco pratiche. Ancora oggi la formazione viene vista come una professione a cui tutti possono accedere: non è richiesto un percorso di studi ad hoc e soprattutto la selezione del formatore non sempre si basa sulla verifica delle sue qualità “didattiche”.

Va precisato che la Legge del 14 gennaio 2013 n.4 “Disposizioni in materia di professioni non organizzate”, che disciplina le professioni non organizzate in ordini o collegi, ha posto specifici obiettivi di qualificazione per le professioni non ordinistiche, tra cui rientra anche quella del formatore. La qualificazione della prestazione professionale si basa sulla conformità alla normativa tecnica UNI e alla Direttiva 98/34/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 1998 (abrogata e sostituita dalla Direttiva UE n.1535/2015). Le norme UNI descrivono i requisiti di conoscenza, abilità e autonomia e responsabilità delle attività professionali in conformità allo European Qualification Framework. Sono quindi state poste le basi per una professione di qualità.

Così come previsto sempre dalla Legge 4/2013, le Associazioni e Organizzazioni accreditate al Ministero dello Sviluppo economico rilasciano Attestazione di Qualità e Qualificazione Professionale dei Servizi prestati dai soci con la finalità di valorizzare le competenze e garantire la qualità dei processi. Tuttavia, le Associazioni e Organizzazioni, che operano nei processi formativi, hanno ancora oggi un bacino di utenza limitato a poche migliaia di iscritti e – con rammarico – percorsi di aggiornamento e certificazione non sempre adeguati. Quindi abbiamo un campo di azione molto circoscritto e ancora in via di sviluppo, che non consente in modo appropriato la qualificazione del sistema della formazione.

La qualità della formazione e il PNRR

Questa ricostruzione del contesto e delle coordinate di riferimento è fondamentale per porre il tema della qualità della formazione nell’ambito del PNRR: si deve ricorrere a formatori preparati e validi, puntando sulla certificazione come requisito indispensabile per svolgere una professione di qualità. È indispensabile, soprattutto, utilizzare un modello di competenze del formatore, fondato su competenze disciplinari, competenze di processo e competenze trasversali. E su questo ci aiuta l’European Qualification Framework, che definisce i livelli di qualificazione della figura del formatore. Tuttavia, ancora molto c’è da fare nella definizione di uno schema di riferimento per la certificazione di questa importante figura professionale.

Se si vuole definire un modello di competenze del formatore è doveroso precisare le competenze necessarie:

  • disciplinari,
  • di processo,
  • trasversali.

Ritengo che sia fondamentale avere un professionista dell’apprendimento esperto nel contenuto o disciplina specifica, che presidia gli argomenti oggetto della docenza; deve sapere gestire l’intervento di formazione, da un punto di vista sia teorico che pratico, “illustrando la teoria” ma anche “applicando la teoria” alle situazioni lavorative di tutti i giorni. In poche parole, deve avere una conoscenza della disciplina: generale, applicativa, specialistica, esperta. Deve, inoltre, avere competenze sul processo formativo: dall’analisi dei fabbisogni all’ascolto delle esigenze della committenza, dalla progettazione alla valutazione e all’analisi di impatto. Deve avere, infine, competenze trasversali, che vanno dalla capacità di saper comunicare – ormai anche sulle piattaforme online – alla flessibilità nel gestire l’aula in cui opera e le obiezioni. Insomma sapere, saper fare, saper essere e saper agire.

Va sottolineato, inoltre, che non esiste il solo profilo professionale identificabile con il formatore d’aula. Esistono diversi profili – che presidiano il processo di formazione – che devono essere in possesso di nuove competenze. Per una formazione di qualità non servono solo tutor e docenti ma anche content creator, experience designer, project manager, facilitatori, e ancora responsabili di struttura, esperti di analisi dei fabbisogni formativi, esperti di progettazione, esperti di valutazione, tutor… Oltre agli esperti di contenuto sono assolutamente necessari esperti di processo che presidiano la formazione in aula, lo smart learning e soprattutto il blended learning dalle fasi di analisi e progettazione a quelle di erogazione e valutazione.

I profili professionali sono quindi plurimi e, allo stesso tempo, il profilo di competenze dei professionisti dell’apprendimento è molto ampio. La prima sfida del PNRR sulla formazione è quindi istituzionalizzare una famiglia professionale composta da molteplici profili professionali con competenze consolidate e innovative, anche per superare le difficoltà di un settore frammentato e non regolamentato. E conseguentemente definire percorsi di formazione e aggiornamento rivolti ai professionisti che spesso si aggiornano sulle aree disciplinari ma non su processi, metodologie e strumenti.

Le priorità formative del PNRR

Il secondo aspetto rilevante per l’innovazione e il ripensamento della PA riguarda gli obiettivi di apprendimento. Nel PNRR innumerevoli sono gli obiettivi da perseguire. Il Regolamento RRF (Recovery and Resilience Facility – il Dispositivo per la ripresa e la resilienza) enuncia le sei grandi aree di intervento (pilastri) sui quali il PNRR si focalizza: Transizione verde; Trasformazione digitale; Crescita intelligente, sostenibile e inclusiva; Coesione sociale e territoriale; Salute e resilienza economica, sociale e istituzionale; Politiche per le nuove generazioni, l’infanzia e i giovani.

Nel PNRR la Componente 1 della Missione: Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura ha l’obiettivo di modernizzare la Pubblica Amministrazione attraverso interventi di digitalizzazione, innovazione e semplificazione e di rafforzare la capacità amministrativa tramite il potenziamento delle competenze del personale. Sono previste attività di reskilling e upskilling del capitale umano focalizzate sulle priorità del PNRR (Digital Transition, Green Transition, Social Innovation) e sulle competenze manageriali, organizzative e trasversali.

Oltre che su queste priorità e sull’aggiornamento normativo e professionale, nella PA ci si dovrebbe concentrare sulle competenze organizzative e trasversali, meglio ancora sulle metacompetenze. Andiamo per gradi. I dipendenti e i dirigenti pubblici dovrebbero essere in possesso di consolidate competenze specialistiche. E questo è assodato. Tuttavia il PNRR, oltre all’indicazione generale delle priorità, necessiterebbe in realtà dello sviluppo di un piano formativo articolato in macro-aree e dettagliato in percorsi e corsi di formazione. Non un elenco di argomenti – come avviene spesso –, ma un vero e proprio piano strategico della formazione organizzato in priorità e in concreti obiettivi di apprendimento, che oltre alle tematiche indicate della Digital Transition, della Green Transition e della Social Innovation, dovrebbe contenere macro aree (articolate in obiettivi di apprendimento) che sostengano l’execution degli uffici pubblici nel più ampio contesto del PNRR, quali:

  • Cultural Change skills (semplificazione; innovazione; gestione del cambiamento; co-progettazione; flessibilità; orientamento agli obiettivi; negoziazione; time management; inclusion e diversity; …);
  • Management skills (program & project management; progettazione, gestione, monitoraggio e rendicontazione; planning &control; performance & risk management; human &financial resources management; leadership e gestione dei team; policy design, etc.);
  • Soft skills (negoziazione; gestione del conflitto; problem solving & problem setting; orientamento strategico; gestione della complessità …).

Intervenendo sulle Cultural Change Skills e sulle Management skills è possibile agire sullo sviluppo delle capacità e competenze di Dirigenti e Funzionari che dovranno gestire progetti complessi con un nuovo approccio nel rispetto dei tempi dell’UE. L’obiettivo è rafforzare le competenze del personale relativamente alla progettazione, gestione e rendicontazione dei progetti e alla diffusione delle informazioni sulle opportunità di finanziamenti. In questo modo si potenzia anche il personale interno delle amministrazioni, invece che delegare completamente processi e progetti al personale “tecnico” che viene assunto a tempo determinato per il PNRR.

Agendo sulle Soft Skills si possono accrescere capacità di comunicazione e gestione delle relazioni e capacità di adattamento o flessibilità. Limitarsi a queste capacità sarebbe però riduttivo. È ormai arrivato il momento di sviluppare capacità di visione strategica, di gestione della complessità, di dialogo e mediazione con molteplici stakeholder – che spesso hanno esigenze e obiettivi divergenti –, e ancora di capacità di apprendere e disapprendere per poter affrontare il cambiamento continuo della società e dell’economia.

Costruire un piano di formazione articolato in priorità e obiettivi di apprendimento consentirebbe di adottare una visione sistemica e condivisa, che permetterebbe di evitare la frammentazione dei percorsi e dei progetti di apprendimento sia a livello centrale che locale.

Potrebbe essere inoltre utile correlare il piano formativo al piano dei fabbisogni di personale, quale strumento programmatico per le esigenze di reclutamento e di gestione delle risorse umane necessarie alle amministrazioni. Il piano dei fabbisogni di personale, infatti, definisce i contenuti dei profili professionali in relazione ai modelli organizzativi adottati, anche individuando nuove figure, nell’ottica di sostenere i processi di cambiamento e di incentivare comportamenti innovativi.

Una “piattaforma” strategica dell’apprendimento

La terza questione riguarda il modello di apprendimento da utilizzare. Non è sufficiente affermare che Mooc, Community of Practices, Azioni di Retraining e Progetti di Change management sono le azioni da compiere per rafforzare la capacità del personale pubblico. Non servono solo strumenti e metodologie. È prioritario individuare un approccio all’apprendimento che si basi su una visione illuminata, sistemica e strategica. Illuminata perché dovremmo percorrere la strada dell’innovazione. Sistemica perché ci consentirebbe di proporre un modello replicabile e adattabile in varie amministrazioni e territori. Strategica perché porterebbe a progettare l’apprendimento con un orizzonte temporale del lungo periodo e non solo del breve periodo.

Così come indicato dall’Unione Europea, che ritiene prioritario un processo di apprendimento centrato sullo studente, la strada da percorrere potrebbe essere quella di un processo di apprendimento circolare, bottom-up, collaborative, social e digital. Un apprendimento, quindi, che avviene in una rete di relazioni in cui non c’è più un soggetto esclusivo che indirizza e gestisce i flussi di conoscenza ma diversi attori che interagiscono e co-producono. Un apprendimento, inoltre, sganciato dal fattore spazio-temporale e fruibile ovunque. I professionisti dell’apprendimento devono saper favorire l’autonomia degli individui e il loro sviluppo. Così agendo svolgono un ruolo di facilitazione del processo di sviluppo tramite il coinvolgimento e la motivazione.

Dovremmo pertanto transitare da un modello top-down, in cui gli “esperti” guidano l’apprendimento, ad un modello-processo “bottom-up”, in cui invece gli utenti della formazione svolgono un ruolo attivo nella progettazione e produzione dei contenuti, senza intermediari e creano relazioni orizzontali, come per esempio avviene nelle community, nelle chat, nei wiki. In questo modello fondamentale sarà l’utilizzo di sistemi di blended learning, che integrano formazione in presenza e smart learning, attraverso corsi online – fruiti su pc, tablet e cellulari – e accessibili, senza scaricare software ad hoc, ovunque e in qualsiasi momento.

È evidente che si deve pensare allo sviluppo delle persone riconoscendo un valore centrale al capitale umano, costruendo ad un vero e proprio modello di apprendimento nella PA.

Le sfide non consistono soltanto nell’impiegare le risorse destinate alla formazione del personale pubblico ma nella creazione di una “piattaforma” strategica dell’apprendimento, fondata su qualità della professione, su priorità e obiettivi di apprendimento, su un modello bottom-up strategico, sistemico e innovativo.

Puntare su governance e reengineering

Chi si occupa di governance dell’apprendimento nel settore pubblico dovrebbe puntare sul reengineering dei processi di formazione e sulla qualificazione dei formatori, fornendo guide lines e metodi alle amministrazioni centrali e locali e allo stesso tempo supportando gli enti di piccole dimensioni nell’accedere alle opportunità di crescita e sviluppo del personale offerte dal PNRR. È necessario ampliare la platea dei destinatari, non rivolgendosi solo al personale che solitamente accede alla formazione ma anche al personale che non si aggiorna e non si forma.

Del resto, facendo un parallelismo tra investimenti in istruzione e in formazione, anche David Card, premio Nobel 2021 per l’Economia, nelle sue ricerche, ha potuto verificare che “le risorse disponibili nelle scuole sono molto più importanti per il futuro successo degli studenti nel mercato del lavoro di quanto si pensasse in precedenza”. Investire in formazione di qualità è una opportunità strategica per la PA e il suo personale se non vogliamo perdere la chance del desiderato e prospettato cambiamento.

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