Una PA che sappia apprendere per creare valore

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Obblighi, premi e punizioni sono state le risposte evolutive alla rappresentazione della PA come macchina. Dalla macchina si è passati all’idea di un soggetto (un pò stupido) da ammaestrare, mentre abbiamo bisogno di visioni che raccontano di organizzazioni aperte curiose, fatte da persone che collaborano, sbagliano, inventano per migliorare la vita della propria comunità

5 Maggio 2019

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Vittorio Severi

Direttore Generale del Comune di Forlì

Photo by Rashtravardhan Kataria on Unsplash

Ogni azienda è chiamata all’innovazione continua per mantenere i propri spazi di azione e per svilupparsi. Anche l’Azienda PA Italia, pur essendo in un regime di monopolio, deve fare conti con una realtà che rischia di metterla fuorigioco e, con essa, il sistema paese.

Le aziende più performanti investono in ricerca e sviluppo e sanno che digitalizzazione e gestione dei dati sono dimensioni decisive per il loro futuro; ma sanno anche che l’innovazione non viene realizzata dalle pianificazioni e nemmeno dalle tecnologie, ma dalle persone che lavorano, che devono essere capaci di cambiare i propri modi di vedere le cose, prima ancora che i modi di lavorare.

Per questo, più i cambiamenti da affrontare sono rilevanti, più è decisivo investire su queste competenze, cioè in formazione. Ci si è occupati poco in senso positivo delle persone che danno corpo alla PA. Sono loro che possono fare la differenza nel bene e male.

Spesso si sente rappresentare la PA come una macchina: la macchina burocratica, la macchina amministrativa, la macchina comunale…Tra le tante metafore (Gareth Morgan, Images. Le metafore dell’organizzazione , Milano, Franco Angeli, 1999) che possono essere citate, quella meccanicistica è la più evocata. Si tratta di una rappresentazione con pretese di efficienza e scientificità: suggestiva e utile in qualche misura ma, se lasciata sola, rischiosa.

Per fare sì che la PA sappia svolgere la propria funzione, che sia di supporto allo sviluppo dei territori e all’innovazione interagendo con molteplici interlocutori in modo costruttivo, bisogna anche pensarla in altri modi, ampliare il repertorio delle metafore che la descrivono ( es. organizzazione come organismo, cervello, cultura, ecc…), introducendo elementi molto più complessi che permettano di considerarla come una entità capace di interagire in modo vitale col proprio ambiente: flessibilità, appropriatezza, capacità di elaborare i feedback e cambiare visioni in tempi
adeguati alle esigenze di interscambio con la società, di affrontare eventi imprevisti trovando nuove soluzioni organizzative e di impiego delle risorse, di produrre nuovi servizi e rivedere i propri assetti.

Queste capacità devono essere supportate da sistemi tecnologici e informatici, ma non si risolvono in essi. Ci vuole altro, sicuramente non nuove norme.

Cosa serve? Persone pensanti che apprendono

Per migliorare bisogna cambiare e il cambiamento di cui abbiamo necessità riguarda le strutture di conoscenza che guidano nel rapporto con la realtà e che orientano i comportamenti della PA. Questo processo ha un nome e si chiama apprendimento. Il punto della questione innovazione è creare le condizioni in cui la PA possa imparare meglio e più rapidamente ad interagire con l’ambiente di cui fa parte.

Per imparare è necessario possedere il senso della propria azione

L’apprendimento che serve a cambiare non può essere eterodiretto. Chi apprende deve esserne attore. Perché questo avvenga nella PA, ci sono alcuni ostacoli. Intanto spesso non riesce a connettere alla produzione di “valore collettivo” la fatica e l’impegno spesi.

Ciò è paradossale perché gli esiti del lavoro pubblico dovrebbero essere facilmente tangibili, dato che intervengono per rispondere a bisogni e interessi di cui lo stesso lavoratore, in quanto cittadino, è portatore, così come lo sono i suoi figli, i suoi genitori, ecc…..

L’ alienazione del lavoro pubblico dal senso che lo regge, rappresenta una fonte di deprivazione cruciale e riduce fortemente la possibilità di produrre valore per la comunità.

Questo avviene perché troppo spesso viene organizzato in modo burocratico e adempimentale e perché si ha a che fare con la necessità di difendersi da rischi derivanti dall’applicazione di una imponente mole di norme interpretabili in modo contraddittorio.

Questi fattori portano ad un approccio difensivo e passivo spingendo a mettere in stand by gran parte potenziale personale di conoscenza, con uno spreco di risorse intellettive e umane che nessuna azienda può permettersi.
Una condizione indispensabile per l’innovazione è mobilitare le persone per co-costruire il senso del lavoro e del cambiamento che sono/siamo chiamati ad attraversare.

Si impara e si lavora con..

Non vi sono procedimenti e azioni amministrative complessi che si realizzino attraverso l’attività di un singolo ufficio o struttura interna di una organizzazione e questo vale anche per la PA. Negli Enti locali questa circostanza è assolutamente generalizzata. Se una buona Ragioneria tiene i conti in ordine di un Ente che non da servizi, quali obiettivi raggiunge? Lo
stesso vale nel senso inverso, ovviamente. Eppure, l’integrazione funzionale ed operativa nella quotidianità, rappresenta uno dei fronti di maggiori dispersione di energie e tempi all’interno della PA. Piuttosto che una telefonata si scambiano 100 email, magari vengono pure protocollate, senza capirsi. Il tempo passa e la pratica aspetta.

L’apprendimento deve riguardare anche l’organizzazione, le sue culture, le sue abitudini. La capacità di sviluppare e agire le connessioni interne, di dialogare e comunicare, rappresenta uno skill fondamentale per una PA di qualità. Se questo ordine di competenze viene alimentato all’interno dell’Ente poi informa di sé anche i rapporti con gli altri enti e i
portatori di interesse esterni.

Si impara a partire da quello che si sa…

Per far sì che nuove conoscenze producano comportamenti nuovi è necessario che si integrino in un sistema di sapere. Questo processo è facilitato da un approccio attivo e consapevole. Si impara facendo leva sulle proprie conoscenze per andare oltre, confrontandosi con altri punti di vista e con nuovi contenuti, con la fiducia di potercela fare e potendo anche sbagliare. Per imparare ad una certa età è necessario anche volerlo (ma non è sempre così?). Non si impara a comando. Per questo bisogna saper far emergere le domande dall’interno dell’organizzazione e ricercare risposte con metodologie attive. Una norma, una circolare ministeriale o un ordine di servizio non possono far accadere tutto questo.

Dopo avere partecipato ad un corso di 4 ore sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, con la presentazione di centinaia di slides da parte di un formatore competente e puntiglioso, me ne stavo tornando in ufficio e, guardandomi attorno pensavo a quanto sarebbe stato utile fare quel corso entrando negli ambienti dove si lavora (un ufficio, un cantiere, una scuola…), osservandoli con il supporto di una guida capace di fare emergere cosa si nasconde dietro l’art. x comma y bis della legge numero.. del… Tempo e soldi sprecati! Però abbiamo maturato i crediti!

L’organizzazione che deve sostenere la formazione permanente

E’ necessario promuovere un piano di formazione della PA a rete e decentrato, che si basi su indirizzi nazionali, centrali formative di supporto regionali, che affiancano nuclei per lo sviluppo delle risorse umane e organizzative consistenti in strutture interne ai singoli enti territoriali (comuni, unioni, ecc…). Università, enti e formatori qualificati in grado di dare supporto al processo non mancano, ma non possono essere delegati.
Si tratta di strutturare un modello di formazione e autoformazione che sostenga in modo permanente la PA in un processo di apprendimento continuo e non a spot, investendo sulla responsabilità di strutture decentrate che possano contare su una rete di relazioni governata, garantita a livello centrale e regionale, che favorisca e richieda la documentazione dei percorsi effettuati, la catalogazione delle buone pratiche, lo scambio costante di esperienze e benchmark.

Obblighi, premi e punizioni sono state le risposte evolutive alla rappresentazione della PA come macchina. Dalla macchina si è passati all’idea di un soggetto (un pò stupido) da ammaestrare, mentre abbiamo bisogno di visioni che raccontano di organizzazioni aperte curiose, fatte da persone che collaborano, sbagliano, inventano per migliorare la vita della propria comunità.

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