Innovazione, apertura, comunicazione: parole chiave di una PA inclusiva

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La creazione di valore pubblico da parte delle PA nei territori passa anche dalla promozione dell’innovazione civica, sostenuta da un’idea di amministrazione condivisa, da policies e pratiche che prevedano l’apertura dei propri dati statici e dinamici; l’ascolto e il dialogo attraverso tutte le superfici multicanale di contatto tra istituzione e cittadini; la restituzione di capacità progettuale alla società civile, in percorsi di co-design di ambienti, strumenti e piattaforme

9 Maggio 2019

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Leda Guidi

Associazione Comunicazione Pubblica - Prof. a contratto in "Teoria e tecniche della Comunicazione pubblica", Università di Bologna

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Negli ultimi dieci/quindici anni le Pubbliche Amministrazioni a tutti livelli sono state attraversate da un susseguirsi di hype tecnologici, troppo spesso subiti o assunti in modo acritico, alimentati nel loro passaggio (in molti casi effimero) da retoriche mutevoli e diffuse, che non hanno quasi mai sedimentato nelle “macchine” adeguate competenze culturali e organizzative solidamente orientate al cambiamento necessario. Le ragioni sono molteplici, storicamente complesse, connesse con la scarsa propensione della PA italiana all’innovazione e alla semplificazione, determinata da molte variabili, alcune delle quali, come tra le altre l’età media dei dipendenti pubblici, non aiutano la trasformazione annunciata da oltre due decenni.

Perché serve un approccio olistico

In un contesto pubblico un processo innovativo, digitale e non, si deve riferire all‘utilizzazione per finalità civiche e sociali di progettualità, di know-how tecnologico, alla capacità di innescare – nella e attraverso la dimensione digitale e comunicativa – dinamiche inclusive, di allargamento continuo della platea di coloro che fruiscono dei servizi, accedono a dati e informazioni, interagiscono con la PA in modo proficuo ed equo, prendono la parola e collaborano ai processi decisionali. Le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di “immaginare” politiche e pratiche secondo un approccio di relazione e di comunicazione olistico, che tenga insieme tutti gli ambiti dell’attività amministrativa.

Integrazione, trasversalità, multidisciplinarità nel modo di pianificare e di funzionare sono obbligatorie per ottenere risultati e impatti significativi – quantitativi, qualitativi, rendicontabili – sulla vita delle persone, per abilitare una sfera pubblica evoluta, generativa, partecipata e sostenibile. Se così non è/sarà il costo per il “pubblico” sarà la marginalità socio-culturale e la poca incisività nella vita dei cittadini, proprio in un tempo in cui bilanciamento e sinergia dei ruoli pubblico/privato (individui, associazioni, imprese) – da posizioni di specificità e di riconoscimento reciproci – sono quanto mai strategici e auspicabili.

Cittadinanza digitale

L’innovazione non può essere tecnocratica, guidata da élites digitali e/o dall’offerta tecnologica del momento, ma per (e da) comunità competenti che guardano – con preoccupazione e aspettativa – al globale, e abitano la rete in continua evoluzione, luci ed ombre. I cittadini attivi, negli ecosistemi territoriali, di prossimità, fisici e digitali, giocano un ruolo chiave sia come utenti e come interlocutori, portando idee, punti di vista positivamente “laterali”, originali, per lo sviluppo e l’implementazione di servizi e progetti. Una delle azioni da mettere in campo per darsi la cornice istituzionale perché questo avvenga è quella di inserire in statuti e documenti formali – politici, programmatici, operativi – “i diritti digitali”, e le modalità e i percorsi che li rendono esigibili, reali, rendicontabili, misurabili.

Innovazione civica come valore

La creazione di valore pubblico da parte delle PA nei territori passa anche dalla promozione dell’innovazione civica, sostenuta da un’idea di amministrazione condivisa, da policies e pratiche – comunicative, relazionali e organizzative – che prevedano nella propria “Agenda Digitale”: l’apertura dei propri dati statici e dinamici che consentano aggregazioni, letture plurime dei “numeri” pubblicati sulle attività delle istituzioni pubbliche e la creazione di nuovi servizi; l’ascolto e il dialogo attraverso tutte le superfici multicanale di contatto tra istituzione e cittadini, dagli URP (questi dimenticati….) ai social e alle piattaforme civiche; la restituzione di capacità progettuale alla società civile e alle sue espressioni, una sorta di “cessione di potere” creativo e produttivo in percorsi di co-design di ambienti, strumenti e piattaforme; il consolidamento delle competenze digitali dei dipendenti e dei cittadini (alfabetizzazione, formazione, accompagnamento) e l’educazione a stare in rete in modo consapevole dei cittadini, attraverso la sovranità e il controllo sui propri dati; l’incoraggiamento della circolazione e della condivisione del “capitale sociale” prodotto dalle comunità; la semplificazione di processi e servizi per liberare il tempo dal peso della burocrazia.

Questa è una strada possibile, quotidiana, non nuova, anzi antica (…dal decreto 29/93 in poi…) al tempo stesso semplice e complicata da praticare per le istituzioni pubbliche italiane, strette tra ansia di rinnovamento, oggi magari attraverso i social, e storica predilezione del rapporto top down. Anche i media civici e le piattaforme social – in fondo una sorta di evoluzione del modello “rete civica”, promessa di interazioni simmetriche degli albori delle PA sul web – per supportare il “cambio di paradigma” tanto proclamato quanto disatteso vanno inserite in una strategia digitale complessiva dell’organizzazione, e devono essere governati da finalità etiche di informazione, di servizio, di tutela e di empowerment dei cittadini. Le narrazioni delle PA, nella grande conversazione del web sociale, non producono valore pubblico se non sono messe al servizio della qualità nei servizi, on line e “tradizionali”, della loro fruizione da parte dei destinatari, dell’interazione e dello scambio conoscitivo con la/le comunità di riferimento intesa/e come l’insieme dei committenti non passivi di servizi, politiche, azioni, progetti, visioni. In fondo, le città e i territori sono intelligenti–smart, e con essi le PA, se le potenzialità di connessione ed elaborazione offerti dalle tecnologie – fino a quelle di cui si parla oggi come big data, internet of things, intelligenza artificiale, blockchain…– contribuiscono a un modello di cittadinanza digitale agita, di una collettività più giusta e cooperativa che in passato, e per questo più “abile”, cioè in grado di perseguire soluzioni più efficienti, riusabili, sostenibili e inclusive.

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