EDITORIALE
Ma ci serve la PA?
La PA, o meglio il sistema delle Amministrazioni Pubbliche, ci serve davvero, specie in questi tempi difficili. Ma sarà in grado di svolgere il suo alto compito democratico indicato dalla Costituzione solo se sarà capace di cambiare orientamento
24 Gennaio 2025
Carlo Mochi Sismondi
Presidente FPA

Foto di Jametlene Reskp su Unsplash - https://unsplash.com/it/foto/orologio-da-tasca-in-argento-3Dtu6_XfqIk
“Questo articolo è tratto dal capitolo “Speciale Scenari PA” dell’Annual Report 2024 di FPA (la pubblicazione è disponibile online gratuitamente, previa registrazione)”
La domanda che dà il titolo a questo contributo potrebbe sembrare un artificio retorico, ma non è così. Guardiamoci attorno: Javier Milei diventa Presidente dell’Argentina a fine 2023 e da allora, con il grido “Afuera”, divenuto virale, abolisce undici ministeri su venti e intraprende una massiccia azione di licenziamento dei dipendenti pubblici, dichiarando che «Lo Stato non è la soluzione, lo Stato è il problema»[1]. Elon Musk a fine del 2024 è indicato dal neoeletto Presidente Donald Trump come Capo del Dipartimento per l’efficienza del Governo (DOGE), con l’obiettivo dichiarato di «smantellare la burocrazia governativa»[2] e di ridurre di un terzo (duemila miliardi di dollari) il bilancio annuale del Governo.
Potremmo citare molti altri esempi di cure dimagranti drastiche degli apparati pubblici, ma bastano questi per suggerire che è il momento di porci la domanda chiave: “perché la PA?”. Il perché è infatti il punto di partenza di ogni organizzazione, di ogni impresa e viene prima del come e del cosa[3], ma spesso per il sistema pubblico ci sembra scontato. Non lo è, ma per fortuna la risposta c’è ed è proprio nel fondamento della nostra Repubblica, nell’art.3 della Costituzione che, al secondo comma recita:
«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese»
Ecco il perché del sistema delle Amministrazioni Pubbliche: essere la struttura operativa della Repubblica che ha il compito di lottare contro le disuguaglianze e accrescere le capabilities di ogni cittadino, per rendere effettiva la sua libertà e possibile la sua partecipazione. E che ci sia bisogno di un’azione pubblica per ridurre le disuguaglianze è sotto gli occhi di tutti:
- negli ultimi vent’anni, secondo il Censis[4], il reddito pro-capite in Italia è diminuito del 7% e la ricchezza netta del 5,5%, mentre l’85,5% degli italiani vede la mobilità sociale come un traguardo quasi irraggiungibile;
- l’Ubs Billionaire Ambitions Report dice che dal 2023 al 2024 il numero di italiani con un patrimonio superiore al miliardo di dollari è salito di 6 persone: abbiamo 62 miliardari, praticamente un +10% in 12 mesi, con un patrimonio da 199,8 miliardi di dollari, e una crescita del 23,1%, ai primi posti in Europa;
- il Censis, negli stessi 12 mesi, ha rilevato che per il 54,6% degli italiani i risparmi sono diminuiti, il 36,3% si trova in una situazione analoga a quella dell’anno precedente, il restante 9,1% ha aumentato la quota del risparmio. In particolare, il 79,5% delle famiglie con un basso livello socioeconomico segnala una contrazione dei risparmi.
Se le disuguaglianze aumentano, diminuisce invece la partecipazione attiva alla vita politica: leggiamo sempre nel 58° Rapporto Censis alcuni fenomeni inquietanti:
- il ritrarsi dalla vita pubblica, con un tasso di astensione che alle ultime elezioni europee del 2024 ha toccato un livello mai raggiunto prima nella storia repubblicana, pari al 51,7% (alle prime elezioni dirette del Parlamento europeo, nel 1979, l’astensionismo si fermò al 14,3%);
- una diffusa indifferenza verso quegli strumenti della mobilitazione collettiva che un tempo erano ampiamenti utilizzati, visto che il 55,7% degli italiani oggi considera inutili le manifestazioni di piazza e i cortei di protesta;
- la sfiducia crescente nei sistemi democratici, dal momento che l’84,4% degli italiani è convinto che ormai i politici pensino solo a sé stessi e il 68,5% ritiene che le democrazie liberali occidentali non funzionino più.
In questo contesto complesso e pieno di incertezze, a cui si assommano quelle che derivano dallo svolgersi drammatico dei conflitti internazionali, è sempre più importante poter contare su un sistema di Pubbliche Amministrazioni orientato verso grandi missioni strategiche, capaci di restituire ai cittadini e alle imprese capabilities[5], ossia quelle reali libertà per le persone di fare o essere quello che desiderano fare o essere.
È questo il senso delle parole “di fatto” nel citato secondo comma dell’art. 3 della Costituzione. L’inclusione di queste due parole mette in evidenza, infatti, una distinzione molto importante tra libertà negativa, che è quella che deriva da proibizioni, costrizioni oggettive, limitazioni dei diritti (ad es. l’impossibilità di votare per scegliere i propri rappresentanti) e libertà positiva, che rimanda alle effettive possibilità di una persona di fruire di un diritto. Ad esempio, anche se una persona avesse il diritto di votare, se il seggio fosse molto lontano e non avesse la possibilità economica di raggiungerlo avrebbe una libertà negativa, ma non la libertà positiva di godere effettivamente del diritto[6].
Questo necessario riorientamento della Pubblica Amministrazione, che ha come stella polare la crescita del “Valore Pubblico” e come misura l’effettivo impatto dell’azione pubblica sulla qualità della vita dei cittadini e delle imprese, è necessario per smuovere la comunità nazionale da quel “galleggiamento” con cui il Censis ha definito lo stato della situazione sociale del Paese. Un riorientamento e una “rigenerazione” che richiede molteplici innovazioni coraggiose.
Tra le tante ne approfondiremo tre che ci sembrano urgenti perché indispensabili per raggiungere l’obiettivo costituzionale da cui siamo partiti.
1. Centrare le amministrazioni sull’impatto, ossia concentrarsi sul perché (missioni strategiche) e riprogettare in questo senso la stessa architettura organizzativa e i processi di valutazione. Attualmente l’architettura macro della nostra PA, ma anche l’articolazione in uffici e dipartimenti all’interno di ogni amministrazione, è centrata su obiettivi specifici dell’organizzazione o dell’ufficio che non sono quelli che servono per quel cambiamento sociale che abbiamo visto essere indispensabile. È necessario quindi che lo slogan dell’orientamento al risultato ci faccia interrogare su quale è il risultato che cerchiamo. Se esso è una maggiore giustizia sociale e ambientale, declinata ad esempio nel risanamento di un’area marginalizzata o la diminuzione della povertà educativa o la parità di genere o una delle tante sfide complesse che possiamo vedere nel nostro tessuto sociale, è impossibile che sia raggiunto se non con una collaborazione strutturata tra amministrazioni che si incontrano, progettano, si scambiano dati e informazioni, ascoltano cittadini e stakeholder.
È quindi necessario ripensare coraggiosamente la stessa geografia degli enti che, seppure oggetto per i ministeri della coraggiosa riforma del d.lgs. 300/1999, è piano piano scivolata nuovamente in un assetto di matrice ottocentesca in cui ogni ministro e ogni ministero è più o meno, a causa anche delle baruffe tra partiti, l’unico responsabile e padrone di una politica, che è così necessariamente miope. Da questo necessario ripensamento della struttura organizzativa, che dovrebbe necessariamente partire, come abbiamo detto, dalle missioni e quindi dai bisogni dei cittadini, discende anche una profonda riforma della valutazione[7].
È una riforma, questa, di grande importanza, proprio per rendere concreto questo nuovo orientamento all’impatto. In estrema sintesi si tratta di partire dal dato di fatto incontestabile che la valutazione della performance individuale attualmente in uso nella maggior parte dei casi non funziona. La generalizzazione della valutazione massima, e quindi del pieno raggiungimento della parte accessoria della retribuzione legata al risultato, che neutralizza tutto il processo, è infatti prova della grande difficoltà, specie in condizione di salari reali in diminuzione, di scindere tale parte dal salario di base. La proposta di riforma è semplice: separare la valutazione della performance individuale dall’erogazione dei premi economici. Questo comporterebbe che i premi di risultato siano legati ai risultati organizzativi. Gli stanziamenti per i premi verrebbero distribuiti in funzione dei risultati complessivi dell’organizzazione (l’impatto di cui dicevamo) in cui operano i lavoratori, o di risultati di gruppo assegnati alla struttura di appartenenza, favorendo un meccanismo che incoraggia il lavoro di squadra e il raggiungimento degli obiettivi strategici, come avviene in molte realtà aziendali private e trovando una coerenza con i modelli organizzativi per team sempre più diffusi. La valutazione della performance individuale si svolgerà invece nella dimensione di valutazione delle competenze comportamentali, orientata alla crescita professionale.
La valutazione individuale sarebbe così svincolata dall’erogazione del premio e, attraverso il momento del colloquio visto come momento valutativo delle competenze (autovalutate o eterovalutate), sarebbe orientata allo sviluppo individuale e organizzativo. Invece di limitarsi a essere un indicatore per i premi, essa diverrebbe un elemento centrale per i percorsi di sviluppo di carriera, sia orizzontale che verticale, valorizzando il potenziale e le competenze trasversali di ciascun individuo.
2. Rendere concreta la partecipazione, sfruttando tutte le opportunità già presenti nel Codice del terzo settore e nel Codice degli appalti per realizzare davvero la co-progettazione e la co-programmazione con i cittadini e gli stakeholder. I problemi e i bisogni delle nostre società complesse non possono essere risolti e soddisfatti se non aprendo le Amministrazioni Pubbliche all’apporto di tutte le componenti delle comunità e utilizzando i saperi che sono nelle persone e nei luoghi. Gli strumenti normativi ci sono, ma le amministrazioni sono molto restie ad applicarli, spesso non li conoscono, quasi mai sono state accompagnate nel loro uso. Eppure le linee guida sono chiare e definiscono l’obiettivo della co-programmazione:
«generare un arricchimento della lettura dei bisogni, anche in modo integrato, rispetto ai tradizionali ambiti di competenza amministrativa degli enti, agevolando – in fase attuativa – la continuità del rapporto di collaborazione sussidiaria, come tale produttiva di integrazione di attività, risorse, anche immateriali, qualificazione della spesa e, da ultimo, costruzione di politiche pubbliche condivise e potenzialmente effettive, oltre alla produzione di clima di fiducia reciproco»[8].
Certamente, comunque, per avere qualche chance queste forme avanzate di partecipazione e di collaborazione devono basarsi sulla condivisione dei dati e sul superamento di una asimmetria informativa che ancora caratterizza i rapporti tra amministrazioni e cittadini.
3. Trasformare la PA in “un buon posto di lavoro” per tutte e tutti, attraverso un ampio utilizzo degli strumenti di welfare aziendale e di flessibilità nell’organizzazione del lavoro. Come abbiamo più volte rimarcato, anche nelle precedenti edizioni di questo Annual Report, il mondo del lavoro è fortemente cambiato ed è necessario potenziare l’attrattività delle Amministrazioni Pubbliche, creando ambienti di lavoro che siano in linea con le migliori pratiche del privato. Oltre alla necessità di una formazione continua, su cui questo volume offre molti interessanti contributi, tre sembrano essere le caratteristiche di un buon posto di lavoro per chi, in questo momento storico, ha la possibilità inedita di poter scegliere. La prima è quella di avere davanti un percorso chiaro di carriera, certo basato sul merito, sulla motivazione, sulla capacità di lavorare in squadra, ma comunque definito. La seconda caratteristica è quella della flessibilità nell’organizzazione del lavoro e quindi la possibilità di gestire un nuovo equilibrio tra vita privata e vita professionale, divenuto imprescindibile dopo l’esperienza della pandemia. Ma è sulla terza caratteristica che vorremmo soffermarci ed è quella dell’introduzione di un moderno welfare aziendale. L’Atto di indirizzo del Ministro per la Pubblica Amministrazione per i rinnovi contrattuali del triennio 2022-2024 per il personale delle Pubbliche Amministrazioni[9] contiene in questo campo importanti novità.
Nell’ultimo paragrafo di questo importante documento, che dà il via alla negoziazione per i contratti, si indicano proprio gli strumenti di welfare come elementi importanti per la costruzione di condizioni organizzati- ve adeguate, costituite dal benessere organizzativo in senso lato, ma anche dal senso di appartenenza. Tra gli strumenti citati troviamo i contributi per l’assistenza sanitaria integrativa, i servizi educativi, ricreativi, di assistenza sociale, servizi per familiari non autosufficienti, contributi per il trasporto pubblico, ecc.
Il Presidente dell’Aran, Antonio Naddeo, nel suo blog[10] è ancora più esplicito: «Il welfare aziendale è uno strumento prezioso per migliorare il clima lavorativo e il benessere dei dipendenti. Può costituire un’integrazione agli strumenti contrattuali, soprattutto in un periodo in cui le risorse finanziarie per i rinnovi contrattuali scarseggiano. Inoltre, può essere uno degli incentivi per attrarre e trattenere i giovani, facendo leva su istituti che concilino il lavoro con la vita privata, come lo Smart Working. In sintesi, il welfare aziendale è un valido strumento per l’innovazione dell’organizzazione del lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni».
Queste tre azioni non basteranno certamente per quella metamorfosi che serve alle Amministrazioni Pubbliche, ma darebbero un forte impulso alla trasformazione. Su tutte e tre possiamo vedere qualche passo in avanti in questa legislatura, ma molto rimane da fare e soprattutto ancora non si vede quel cambio di passo capace di mutare l’immagine della macchina pubblica nell’opinione pubblica.
Molte altre azioni innovative, anche radicali, sono necessarie per questo obiettivo. Per la natura di questo contributo possiamo solo citarne alcune in estrema sintesi. Di molte di queste e di altre troverete nelle pagine di questo Report una più dettagliata esposizione.
Una vera parità di genere, per ora ancora lontana, con un tasso di presenza femminile nei ruoli dirigenziali e apicali ancora del tutto insoddisfacente. È occupato infatti da donne meno del 20% delle posizioni ai vertici di università (18,4%), enti pubblici di ricerca (18,7%), ambasciate (14,4%), enti pubblici economici (18,5%) e organi costituzionali o a rilevanza costituzionale (18,9%); così come solo 19 posizioni su 90 di dirigenti generali centrali nei ministeri sono presenze femminili. Tra le altre posizioni dirigenziali, la maggiore presenza viene rilevata nei ministeri senza portafoglio (45,5%), a fronte di una media del 35% per i ministeri di maggior peso economico e politico. Per quanto poi riguarda le partecipate pubbliche (quotate e non quotate), su 262 amministratori unici, solo 27 sono donne (il 10,3%).
Un effettivo rilancio della formazione che, seppure molto potenziata dall’attuazione delle politiche in corso, che sono ampiamente illustrate nel primo capitolo di questo Annual Report, ha permesso con l’iniziativa Syllabus il conseguimento, a un anno dal lancio della piattaforma, di una competenza a meno di 50mila dipendenti pubblici (meno del 2% del totale del pubblico impiego)[11]. Si tratta ora di aprire un vero e proprio hub di corsi certificati dal Dipartimento della funzione pubblica, ma realizzati anche da università, centri di ricerca e aziende private di formazione.
Una nuova consapevolezza delle potenzialità dell’intelligenza artificiale (IA) e delle condizioni perché l’IA favorisca un nuovo empowerment del pubblico impiego, quella “amministrazione aumentata” che è ampiamente illustrata nelle pagine di questo Report. In questo campo nulla è scontato e nulla è già deciso. La capacità della politica e delle amministrazioni di cambiare le organizzazioni e i processi, mettendo così le persone che lavorano nella PA in condizione di utilizzare l’IA per far meglio il proprio lavoro, è tutta da costruire, ma indispensabile per fare della tecnologia un potente alleato e, soprattutto, per non lasciare indietro nessuno.
Un vero investimento di nuove risorse nel processo di accesso alla PA, avendo il coraggio di smantellare le scorciatoie legislative che permettono di assumere a quiz e destinando le migliori risorse finanziarie e umane per avere i migliori giovani nelle amministrazioni. Se è vero, come è vero, che si è molto ridotto il tempo di svolgimento di un concorso, attestandosi sui 180 giorni, e questa è senz’altro una buona notizia, non è cambiata la scelta delle commissioni, troppo spesso fatta al risparmio, né lo svolgimento delle prove, che sono sì digitalizzate, ma centrate ancora soprattutto sulla conoscenza nozionistica del diritto amministrativo. Né appare migliorata la chiarezza dei bandi, dove, dopo pagine e pagine di “visto” e “considerato”, in genere solo poche righe descrivono sommariamente il lavoro che i neoassunti dovrebbero svolgere e spesso nessun cenno si fa alle competenze e alle capacità, anche di problem solving e relazionali che ci si aspetta da loro.
Un’innovazione radicale nell’accesso e negli incarichi della dirigenza perché, come ha sottolineato lo stesso Ministro Zangrillo, «I dirigenti pubblici devono sviluppare competenze trasversali, che vanno al di là della gestione amministrativa tradizionale, oltre che capacità di visione, senso di urgenza e propensione al cambiamento. Occorre quindi valorizzare le capacità volte a superare gli schemi consolidati, a conseguire i risultati e far accadere le cose, ad agire velocemente e con tempestività»[12]. Le linee guida per l’accesso alla dirigenza, emanate dal Ministro ed elaborate dalla SNA ci sono, sono veramente ben fatte e contengono un quadro concettuale del modello di competenze necessarie per i dirigenti che costituisce una bussola importante per ogni concorso. Le linee guida individuano poi strumenti innovativi per la selezione quali gli Assessment center, le prove situazionali, le cosiddette prove “in basket ” e molte altre. Purtroppo, però, dalla teoria e dagli atti molto spesso non si è passati alla pratica e molti concorsi rimangono fortemente basati su conoscenze piuttosto che su competenze e capacità.
Tornando alle considerazioni iniziali e rispondendo alla domanda del titolo, non possiamo che riaffermare con forza che sì, la PA, o meglio il sistema delle Amministrazioni Pubbliche, ci serve davvero, specie in questi tempi difficili.
Ma sarà in grado di svolgere il suo alto compito democratico indicato dalla Costituzione solo se sarà capace di cambiare orientamento e passare dall’essere articolata in compartimenti più o meno stagni e centrati sui task di ciascuno a essere un organismo vivo orientato ad una maggiore giustizia sociale e ambientale e a costruire le condizioni per un ritorno della fiducia. Perché senza fiducia non c’è sviluppo, non c’è benessere, ma solo galleggiamento.
[1] Discorso di Javier Milei a Davos il 18 gennaio 2024, riportato da “Le Grand Continent”.
[2] Post di Donald Trump su Truth Social il 13 novembre 2024 annunciando la nomina di Elon Musk riportato da “Internazionale”.
[3] Cfr. S. Sinek, Partire dal perché, Franco Angeli, Mila- no, 2022
[4] Censis “58° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2024”
[5] Sul concetto di capabilities cfr. Creare capacità di Martha Nussbaum
[6] Sul concetto di libertà positiva e negativa cfr. A. Sen, La libertà individuale come impegno sociale, Laterza, Bari, 2029
[7] Riprendo qui alcune proposte contenute nel documento “MERITO E VALORE – Riflessioni e proposte per il miglioramento dei processi di misurazione e valutazione delle performance” di Michele Bertola, Roberto Gerardi, Bruno Susio e Stefania Tagliabue di prossima pubblica- zione sul sito istituzionale dell’Associazione Nazionale dei Direttori Generali degli Enti locali.
[8] DM 77/2021 del Ministro del Lavoro e delle Politi- che Sociali che adotta le “Linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore”.
[9] L’Atto di indirizzo del Ministro della Pubblica Amministrazione per i rinnovi contrattuali del triennio 2022-2024.
[11] Fonte: “Un anno di formazione su Syallbus”, su funzionepubblica.gov.it, 29 marzo 2024.
[12] Discorso del Ministro Zangrillo alla SNA di Caserta il 10 dicembre 2024.