Riordino territoriale e dipendenti provinciali: attenzione a paralizzarci per false paure

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Il ridisegno delle province come enti di secondo livello, presente nel ddl Delrio, trova importanti consensi, ultimo ieri quello delle Camere di Commercio che sono parte in causa nella governance territoriale, ma anche grandi opposizioni. Tra queste quella dei dipendenti provinciali mi sembra la meno giustificata. Se si riuscirà a fare una buona riforma essi non potranno che giovarsene, le funzioni di area vasta ne usciranno, infatti, rafforzate e il loro ruolo sarà più importante in un grande centro di servizi per i comuni che in un ente dal profilo incerto e guidato da una politica oggettivamente “minore”.

29 Ottobre 2013

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Carlo Mochi Sismondi

Il ridisegno delle province come enti di secondo livello, presente nel ddl Delrio, trova importanti consensi, ultimo ieri quello delle Camere di Commercio che sono parte in causa nella governance territoriale, ma anche grandi opposizioni. Tra queste quella dei dipendenti provinciali mi sembra la meno giustificata. Se si riuscirà a fare una buona riforma essi non potranno che giovarsene, le funzioni di area vasta ne usciranno infatti rafforzate e il loro ruolo sarà più importante in un grande centro di servizi per i comuni che in un ente dal profilo incerto e guidato da una politica oggettivamente “minore”.

 

Dopo molti mesi torno a parlare delle province e dell’articolata proposta di riordino della governance dei territori che è contenuta nel cosiddetto “disegno di legge Delrio”.

Lo faccio spinto da un’interessante intervista dello stesso Ministro a La Repubblica di domenica, ma anche dai tanti rumors e mal di pancia che sento in giro. Mi azzardo a farlo dopo aver maturato una convinzione precisa: che si tratta tutto sommato di una buona legge. Premetto che a mio parere, in questo campo, non c’è una riforma buona per principio: esistono solo riforme utili e, in questo momento storico del Paese, credo che sia utile quello che crea sviluppo, crescita e buona occupazione. Il resto è fuffa.

Certo che è necessario per mobilitare risorse per lo sviluppo anche tagliare gli sprechi, ma in questo campo abbiamo visto che gli sforbiciatori ciechi hanno fatto più danno che utile.

Proprio in questo contesto credo che invece la riforma in questione vada nel senso giusto non perché taglia qualche poltrona di molto dubbia utilità (anche se questo è già un risultato non da poco in un Paese in cui agli annunci e alle denunce non fanno mai seguito le azioni), ma perché abilita la possibilità di innovazione del governo dei territori e dell’area vasta, nel rispetto della specificità di ciascuno, e quindi abilita un più ordinato ed efficace disegno delle politiche di sviluppo, troppo spesso vanificate da sovrapposizioni e particolarismi.

Per chiarezza dico che son convinto, ma questa convinzione è alla base anche della riforma in oggetto, che per la governance di area vasta un ente intermedio tra la Regione e i comuni è indispensabile e che quindi, nella maggior parte dei casi ma non in tutti, le province siano da mantenere e rafforzare. Credo però che esse siano molto più adeguate a questo compito di servizio al territorio e di "rete delle reti" se sono un ente di secondo livello, espressione politica dei comuni dell’area. Non penso affatto, infatti, che abbiamo bisogno di elezione diretta e quindi di investitura popolare per quella che ritengo un’importante funzione amministrativa e di servizio alle amministrazioni comunali e alle loro unioni. Non sono spinto da giacobinismo antipolitico, ma dalla preoccupazione del rasoio di Occam: non moltiplichiamo gli Enti inutili e, onestamente, credo che nessun cittadino sentirà la mancanza del Consiglio provinciale fatto di eletti (per altro sconosciuti al 99,9% degli elettori) se un consiglio di sindaci, scelti dai cittadini, deciderà interventi e servizi. Con altrettanta convinzione credo che aprire ad una maggiore flessibilità nella suddivisione di funzioni tra i tre livelli di governo, riducendo l’obbligatorietà dell’assegnazione alle provincie di alcuni compiti, ad esempio quello dell’edilizia scolastica, non sia uno scandalo, ma possa portare a soluzioni diverse per ogni territorio e quindi più adeguate ad ogni realtà.

In linea di massima le funzioni di area vasta, che in genere coincidono con il governo delle reti (strade, telecomunicazioni, utilities, commercio, ecc.), vanno a mio parere non solo mantenute, ma rafforzate, facendo anche piazza pulita di stratificazioni assurde fatte di soggetti diversi a carattere nazionale, regionale e locale che si sono sovrapposti senza ordine e senza criterio. In quest’ottica io credo che i più tenaci sostenitori di questa politica di riordino dovrebbero essere proprio quelli che sento maggiormente lamentarsi, ossia i dirigenti provinciali, che potranno trovare in una provincia, ente unico di area vasta, che sia un grande centro di servizi al territorio, nuova spinta innovativa. Se facciamo le cose per bene l’unico rischio che avrà il dirigente sarà quello di perdere il contatto diretto con il suo assessore, contatto che però ha portato spesso a politiche di piccolo cabotaggio, quando non a sprechi e a “attenzioni particolari” che non avevano altra giustificazione che non quella elettorale.

Posso sbagliarmi e accetto con piacere il contraddittorio (anzi scrivetemi), ma in questo senso la proposta del ddl Delrio mi sembra corretta e motivata, mentre uscite demagogiche tipo marcia su Roma dei dipendenti provinciali, mi sembrano un ennesimo ricorso alla pancia del paese piuttosto che alla testa. Difendere un proprio ruolo politico, anche se a mio parere pleonastico e obsoleto, è lecito, che i presidenti, gli assessori e i consiglieri provinciali uscenti lo facciano puntando sulle paure dei lavoratori facendo pensare a licenziamenti o a deportazioni di massa, mi pare scorretto. Non mi sembra, infatti, che sia in pericolo alcun posto di lavoro per nessun lavoratore delle province, anzi. Il riordino deve servire anzi per far lavorare meglio e di più la macchina pubblica, introducendo nuovi modelli organizzativi a misura dei problemi e dei bisogni non degli enti, non certo per depotenziarla proprio ora che ne abbiamo più bisogno.

 

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