Spostiamo l’attenzione verso l’82%, ovvero al buio tutti i gatti sono grigi

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Ho visto con molta attenzione la campagna del Ministro Brunetta per la trasparenza delle retribuzioni e dei tassi di assenteismo. Delle retribuzioni  e dell’illusione del salario incentivante ho parlato nello scorso editoriale, oggi vorrei soffermarmi con voi sui famosi tassi di assenteismo.

3 Giugno 2008

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Carlo Mochi Sismondi

Articolo FPA

Ho visto con molta attenzione la campagna del Ministro Brunetta per la trasparenza delle retribuzioni e dei tassi di assenteismo. Delle retribuzioni  e dell’illusione del salario incentivante ho parlato nello scorso editoriale, oggi vorrei soffermarmi con voi sui famosi tassi di assenteismo.

Quando ci sono i numeri sono quelli che devono parlare. Allora qualche semplice calcolo sulle tabelle che il sito del Ministro Brunetta mette a disposizione: su 1.139 dipendenti del “gruppo” (i Dipartimenti della Funzione Pubblica e dell’innovazione, l’ARAN, il Formez e la Scuola Superiore) ci sono 54.489 giorni di assenza l’anno che fanno in media quasi 48 giorni a dipendente, se leviamo le ferie, che spettano in media per poco meno di 30 giorni, otteniamo circa 18 giorni l’anno di altre assenze (malattia, permessi, permessi sindacali, leggi agevolative della maternità, dello studio ecc.) ossia un tasso di circa il 6,9% sul monte totale dei giorni lavorativi annui.

Facciamo finta che questo sia un campione attendibile della PA centrale e traiamone qualche conclusione. Certo non è un dato splendido, ma nel privato oscilliamo, a seconda dei settori, dal 5% al 7%. Allora tutto bene? Magari! Purtroppo, come sappiamo, la PA funziona male e costa troppo. Il problema è che forse stiamo rischiando di polarizzare troppo l’attenzione su un indicatore che giustamente va misurato e tenuto sotto controllo (se i 18 giorni di assenza del “gruppo” di Brunetta sono tutto sommato nella media, i 38 del Comune di Roma ci fanno giustamente gridare allo scandalo!), ma che ci dice solo quel che può dirci: ossia se il dipendente è o non è in ufficio. Non ci dice invece quel che più ci premerebbe: se è in ufficio lavora? E se lavora, produce? E se produce, quel che fa è utile ed efficace? E se lo è, quel che fa potrebbe essere fatto meglio e a minor costo?

Insomma la mia proposta è di spostare rapidamente l’enfasi dal 18% di assenze tra ferie, malattie e permessi, all’82% di presenze. È lì che mi pare ci sia da spendere tutta l’intelligenza del management e della politica, ma anche del sindacato (e per favore evitiamo i “coup de theatre” e i tavoli rovesciati! …non è proprio aria!) per studiare indicatori condivisi di performance, ma sopratutto di risultato in termini di servizi resi ai cittadini e alle imprese. In termini, cioè, di “restituzione” di valore ai contribuenti.

Vorrei chiudere riportandovi un brano di una delle tantissime lettere che mi arrivano o direttamente (carlo.mochi@forumpa.it) o come commento ai nostri articoli sul nostro sito. È una lettera firmata, ma la riporto anonima perché è arrivata sulla mia casella:
Penso proprio che il Ministro stia sparando sulla  folla con il rischio di ferire qualcuno che non c’entra per nulla e tutto questo fa  presa sugli italiani, che si sa cosa pensano degli statali e comunali: sempre a  casa o a bere il caffè. Io lavoro al Comune di xxxxxxxx e francamente mi faccio il mazzo!!! Ho due figlie gemelle e dunque chissà forse sono tra le assenteiste visto che ho fatto la maternità (il minimo del minimo consentito visto che ho lavorato con un pancione da spavento fino ai 7 mesi, per partorire dopo 20 giorni). Gli obiettivi affidatimi dal comune? tutti raggiunti e oltre il 100%. Ma mi pare di capire che in quelle pubblicazioni faccia testo solo il numero delle assenze…poco importa se da casa ero sempre in linea col mio ufficio e che poi abbia quasi perso i compensi incentivanti perché non figuravo al lavoro. Pazienza….non polemizziamo……”

Io, nei miei quasi quarant’anni di lavoro, ho fatto anche l’operaio e per un periodo non breve (una decina d’anni tra una cosa e l’altra) e lì si impara subito che è controproducente controllare con il cronometro il tempo passato al gabinetto, perché se un dipendente vuole fregare il padrone…lo frega comunque! Quel che contava lì e che conta a maggior ragione per il lavoro pubblico può essere solo la motivazione, la soddisfazione del lavoro ben fatto e principalmente la certezza che se ti impegni sarai riconosciuto. Quel che è deleterio è il crepuscolo in cui tutti i gatti sono grigi…
Finisco, visto che mi sono lasciato trascinare in ricordi lontani, con un proverbio operaio romano “E’ mejo lavorà co’ chi nun te paga… che co’ chi nun te capisce!
Se è vero che al buio sono tutti grigi…sarà ora di accendere qualche riflettore e capire questi gatti di che colore sono! 

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