Come nascono i servizi sanitari “centrati sul paziente”: buone pratiche da replicare

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Tra le sfide principali per i servizi sanitari digitali è la concretizzazione dello slogan “il paziente al centro”, ma la percentuale di servizi disponibili che si basa su un’applicazione completa della logica del co-design è ancora molto bassa

25 Luglio 2016

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Nello iacono, Stati Generali dell'Innovazione

Tra le sfide principali per i servizi pubblici digitali è la concretizzazione dello slogan “il cittadino al centro” e, nonostante la letteratura sia ricchissima su questo punto e anche le metodologie si siano via via sempre più affinate, la percentuale di servizi disponibili che si basa su un’applicazione completa della logica del co-design è ancora molto bassa.

Questo è vero ancora di più nel campo della sanità, dove spesso ancora il paziente viene considerato come destinatario delle cure, ma non in grado di esprimere indicazioni sulle modalità concrete della loro erogazione, di pertinenza esclusiva dei professionisti sanitari se non, dal punto di vista tecnologico, degli specialisti ICT.

Questa è senz’altro una delle cause di un utilizzo ancora molto ridotto dei servizi e delle tecnologie digitali nel campo sanitario. Il che porta a servizi poco conosciuti (come mostrano i sondaggi, ultimo quello commissionato da Arsenal-IT tra i giovani veneti ), poco utilizzati, e prodotti non graditi ( vedi il caso gli ausilii in gran parte non utilizzati perché costruiti senza pensare alla gradevolezza e alla facilità d’uso).

Da un sondaggio del 2014 sul mondo della sanità digitale svolto da Deloitte su 70 Paesi, risultava che nonostante l’82% delle agenzie governative ritenesse fondamentale migliorare la qualità della “user experience” tramite le iniziative di trasformazione digitale, solo il 13% aveva realmente coinvolto dei cittadini nell’ambito di processi di costruzione di servizi digitali centrati sull’utente.

Il tema non è quindi limitato ad un solo Paese, ma necessita di un cambiamento culturale generale. Non è quindi un caso che anche recentemente in Irlanda (Paese avanzato sul fronte dei servizi sanitari digitali) si sia sviluppato un dibattito in merito , sul come far sì che i pazienti possano diventare davvero driver dei propri dati e così permetter loro un maggiore controllo sulla propria salute. In sostanza, la spinta è verso una sanità digitale che sappia riconoscere come punti di riferimento principali i bisogni delle persone e non le spinte tecnologiche e di mercato, per definire i dati da collezionare e rendere disponibili e i prodotti da realizzare. Facendo così in modo da coinvolgere i pazienti nel processo di progettazione dei servizi e dei prodotti, e non dopo, per “raccogliere i feedback”, permettendo così anche di focalizzarsi di più sul percorso di cura e non solo sulla malattia individuale. Coinvolgere implica definire living labs, gruppi di analisi, definire modalità di comunicazione ad hoc per consentire ai pazienti di poter esprimere compiutamente i requisiti di usabilità e gradevolezza (da non trascurare) dei servizi e dei prodotti. Focalizzarsi sul come recepire compiutamente le logiche per massimizzare la soddisfazione della “user experience”.

Quest’ottica, non nuovissima, è però importante che si concretizzi e si affermi rapidamente. Sono senz’altro importanti le buone pratiche e le eccellenze che su questo fronte mostrano i risultati di un approccio davvero centrato sul paziente, come alcune esperienze recentemente premiate dall’Osservatorio per l’Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano. Ad esempio, il progetto DIAB13 della Regione Lombardia, che ha previsto un coinvolgimento in rete di tutti gli attori (cittadini inclusi), e con i pazienti coinvolti nel progetto che hanno mostrato maggiore adesione al programma assistenziale, minor livello di ospedalizzazione e migliore condotta terapeutica. Risultati concreti di maggiore soddisfazione, migliore cura, minori costi.

Ecco, se però questa è la strada utile, è importante percorrerla rapidamente e passare con decisione dalle esperienze isolate ad un approccio di sistema. In questo senso, potrebbe essere utile condividere le buone pratiche e le metodologie di co-design già presenti, avviando un percorso di crescita condiviso, non solo predisponendo luoghi e metodi per lo scambio di esperienze, ma prevedendo anche delle linee guida che possano già tracciare indicazioni di riferimento per tutti i servizi digitali sanitari. Che hanno delle specificità importanti da considerare, e che, soprattutto nel campo delle cronicità, devono vedere il co-design come un “must” inderogabile. Affermando, così, che è il percorso di progettazione e realizzazione che determina l’adeguatezza, il successo di un servizio, e che quindi la sua qualità e la sua completezza devono essere assicurati a monte, sempre.

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