Conservazione digitale, la nuova sfida è il documento senza formati

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Il documento abbandona la forma classica di res signata legata al proprio contenitore, per entrare in quella fluttuante e caduca di un oggetto che lo contiene che cambia al mutare delle tecnologie. Dobbiamo pensare non alla dematerializzazione dei documenti, quanto alla loro dedocumentalizzazione, sotto forma di contenuti indipendenti dal supporto e dai formati che li rappresentano

7 Giugno 2016

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Gianni Penzo Doria, direttore generale Università degli Studi dell’Insubria

Articolo FPA

Il quadro normativo sulle regole tecniche dell’amministrazione digitale può dirsi concluso. Tutto è perfettibile, tutto è migliorabile, ma l’Agenzia per l’Italia Digitale ha svolto un lavoro splendido. Ora, non ci sono più scuse per le amministrazioni pubbliche reticenti: dobbiamo introdurre il digitale nativo. Bisogna farlo e abbiamo a nostra disposizione tutti gli strumenti giuridici e tecnici per agire correttamente.

Più che “digital first”, tuttavia, potremmo dire “digital born” (oppure “born-digital”, ma anche “born to be digital?”) riferito al ciclo di vita dei documenti. Nonostante qualche corso di formazione sul web rechi ancora la dicitura di “conservazione sostitutiva”, ormai stiamo decisamente andando verso il documento che nasce, vive e muore in ambiente digitale. Parleremo, dunque, di conservazione digitale a norma.

Il quadro delle regole tecniche è completo

Le regole tecniche di ultima generazione in tema di amministrazione digitale sono contenute in tre provvedimenti:

  • DPCM 3 dicembre 2013, sulla gestione documentale e il protocollo informatico (vigente da ottobre 2015)
  • DPCM 3 dicembre 2013, sulla conservazione digitale (vigente da ottobre 2015)
  • DPCM 13 novembre 2014, sul documento informatico (in vigore dal prossimo agosto 2016)

Formalmente si tratta di tre decreti distinti. Da un punto di vista sostanziale, invece, si tratta di un unico provvedimento, che affronta il ciclo di vita dei documenti da una tripartizione angolare .

Si parte dalla formazione del documento nell’archivio corrente (DPCM 13 novembre 2014), passando dalla registrazione, dalla gestione dei flussi documentali e dalla tenuta legale nell’archivio corrente e nell’archivio di deposito (DPCM 3 dicembre 2013 sul protocollo informatico), per concludere con la “digital preservation” secondo il modello OAIS descritto nella norma ISO 14721 nell’archivio storico (DPCM 3 dicembre 2013 sulla conservazione).

Tutti e tre i DPCM impongono una radicale revisione dei processi interni delle amministrazioni pubbliche e la redazione – non la copiatura pedissequa – di due strumenti fondamentali:

  • Manuale di gestione del protocollo informatico
  • Manuale della conservazione digitale

Redazione concettuale, non scopiazzatura, dicevamo. Già, perché mentre il Manuale della conservazione è uno strumento sostanzialmente nuovo, il Manuale di gestione esiste fin dal DPCM 31 ottobre 2000 (oggi abrogato e sostituito dalle nuove regole tecniche del DPCM 3 dicembre 2013). Il problema è che l’indolenza del burosauro italico spesso ha risolto un’opportunità metodologica e strategica, legata alla revisione del proprio workflow documentale, con un adempimento meramente formale.

Nel convegno di FORUM PA di maggio 2016 abbiamo messo insieme due Comuni (Loano e Lendinara), due Atenei (Insubria e Padova), un Ente di ricerca (INAF) e un’Azienda sanitaria (ASL Bologna) in grado di presentare i progetti e le loro realizzazioni concrete nella gestione documentale.

Sono stati illustrati i Manuali di gestione del protocollo informatico del Comune di Loano e dell’Università degli Studi dell’Insubria, entrambi scaricabili dal sito di Procedamus, che gode del patrocinio di FORUM PA.

La riprova che il Manuale non sia uno strumento statico, ma al passo con i modelli organizzativi e giuridici, è che tutti i manuali di gestione delle amministrazioni pubbliche dovranno essere aggiornati secondo quanto previsto dal DPCM 13 novembre 2014, in vigore dal prossimo agosto. A mente di quest’ultimo, infatti, ci saranno una decina di aggiornamenti da ripensare, come espressamente previsti nei suoi 17 articoli. È significativo il fatto che più della metà di essi tratti del manuale di gestione. Inoltre, fattore imprescindibile, dovrà essere riformulata la parte inerente al documento che nasce obbligatoriamente digitale. Una sfida nella sfida.

Dalla dematerializzazione alla dedocumentalizzazione

Le nuove regole tecniche impongono anche una revisione del concetto stesso di documento. Secondo il Regolamento UE 910/2014 – eIDAS il «documento elettronico è qualsiasi contenuto conservato in forma elettronica, in particolare testo o registrazione sonora, visiva o audiovisiva». Come già accadde per la rivoluzionaria ed ecumenica definizione di documento amministrativo contenuta nell’art. 22 della legge 241/1990, siamo di fronte a una definizione che riscrive il panorama normativo degli Stati membri. Il documento visto come “qualsiasi” contenuto.

In questo modo, il nostro ordinamento perde – e dall’introduzione dell’informatica lo ha perso da oltre un ventennio – il concetto di documento tradizionalmente inteso. Certo, come rappresentazioni di atti, ma anche semplicemente di contenuti. Il documento, dunque, abbandona la forma classica di res signata legata al proprio contenitore, per entrare in quella fluttuante e caduca di un oggetto che lo contiene che cambia al mutare delle tecnologie. Si tratta di una rivoluzione iniziata in Italia da molto, ma oggi imposta dall’Unione Europea. Dobbiamo, pertanto, pensare non tanto alla dematerializzazione dei documenti, quanto piuttosto alla loro dedocumentalizzazione, sotto forma di contenuti indipendenti dal supporto e dai formati che li contengono o li rappresentano. Cambia il mondo e l’amministrazione pubblica non può non cambiare. Per farlo, dobbiamo agire insieme.

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