Ora abbiamo una vera Spending Review, è tempo di fare delle scelte

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Venerdì scorso il Commissario straordinario per la Revisione della Spesa Carlo Cottarelli ha presentato al Consiglio dei Ministri il suo piano di proposte per una revisione della spesa pubblica 2014- 2016. Si tratta del primo documento concreto ed organico di spending review dopo i tentativi maldestri del 2007 e del 2009 e dopo il “rapporto giarda”, che però non si è mai concretizzato in un programma di azioni strutturato. Delle cifre si è parlato già tanto e ormai le dovremmo conoscere tutti bene: 7 miliardi nel 2014 (5 se si riuscirà a partire a maggio) e 34 sul triennio 2014-2016. Per questo più che scendere nel dettaglio dei singoli provvedimenti e riportare le tabelle, per altro molto chiare e leggibili, abbiamo provato a fare un’analisi più ampia e a concentrarci sul perché questo documento è così importante per il sistema italiano, e in particolare per il settore pubblico.

20 Marzo 2014

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Tommaso Del Lungo

Venerdì scorso il Commissario straordinario per la Revisione della Spesa Carlo Cottarelli ha presentato al Consiglio dei Ministri il suo piano di proposte per una revisione della spesa pubblica 2014- 2016. Si tratta del primo documento concreto ed organico di spending review dopo i tentativi maldestri del 2007 e del 2009 e dopo il “rapporto giarda”, che però non si è mai concretizzato in un programma di azioni strutturato. Delle cifre si è parlato già tanto e ormai le dovremmo conoscere tutti bene: 7 miliardi nel 2014 (5 se si riuscirà a partire a maggio) e 34 sul triennio 2014-2016. Per questo più che scendere nel dettaglio dei singoli provvedimenti e riportare le tabelle, per altro molto chiare e leggibili, abbiamo provato a fare un’analisi più ampia e a concentrarci sul perché questo documento è così importante per il sistema italiano, e in particolare per il settore pubblico.

Cominciamo con il dire che il lavoro di Cottarelli e del suo gruppo è veramente il primo lavoro di revisione della spesa che il nostro paese abbia mai visto:

La revisione della spesa o spending review infatti è:

  • Un modello “non definito” né univoco ma certamente ben codificato di un percorso di ripensamento della sfera di intervento delle PA e dei soggetti erogatori di servizi pubblici, avviato più o meno contemporaneamente in tutto il mondo (o almeno in tutti i paese OCSE). Non ci stiamo inventando nulla di nuovo, quindi, ma seguiamo un percorso già sperimentato da altri e abbiamo schemi già implementati da studiare, standard con cui confrontarci e risultati da prendere a riferimento.
  • Uno strumento per migliorare la spesa pubblica controllandola (cioè diminuendola) e definendone le priorità (cioè migliorandone la qualità). Ben lontana quindi dalla logica della chiusura dei rubinetti con cui il nostro Paese ha attraversato gli anni più neri della crisi, come dimenticare il taglio del 10% su tutta la dotazione finanziaria dei ministeri o quella dell’80% alle spese di comunicazione. La proposta di Cottarelli non fa d’ogni erba un fascio e distingue cosa può essere tagliato (il termine utilizzato è “aggredito” ) e cosa deve essere preservato. Inoltre tra gli elementi del primo gruppo esegue una ulteriore distinzione sul come e quanto tagliare, confrontando la situazione italiana con quella dei nostri vicini europei.
  • Un’occasione di ripensamento del funzionamento della macchina pubblica che coinvolge in prima istanza la politica, chiamandola a fare scelte e in seconda istanza la singola amministrazione, invitata a confrontarsi con criteri obiettivi di qualità della spesa (i famosi livelli standard). Coinvolge inoltre la cittadinanza e l’opinione pubblica, che assumono il ruolo importantissimo di controllori e valutatori della spesa. Non è un caso se una intera sezione della presentazione di Cottarelli è dedicata alla trasparenza.
  • Una opportunità per mettere in discussione situazioni “intoccabili”. Basti pensare che viene citato addirittura il canone RAI (anche se contrassegnato con un laconico “da valutare”).
  • Un dispositivo per rendere tangibile e quantificabile i costi del non fare. Visto l’arco temporale così breve, infatti, anche un piccolo ritardo sull’attuazione di un procedimento, comporta una riduzione notevole dei benefici previsti (milioni di euro) e mette in crisi l’intero impianto.

Proprio su questo ultimo punto vale la pena fermarsi un attimo. Nella parte che riguarda la riorganizzazione, infatti, il lavoro di Cottarelli inserisce la digitalizzazione. La prima cosa che balza agli occhi è che fatturazione elettronica, pagamenti elettronici e razionalizzazione dei CED (delle sole PA centrali) rappresentano la seconda voce di risparmio in termini assoluti nel triennio (dopo gli interventi sui beni e servizi) con un totale di 2,5 miliardi nel 2016. A questi vanno aggiunti gli altri miliardi recuperabili dall’utilizzo dell’informatica in settori strategici dell’amministrazione pubblica, come gli appalti o la gestione del patrimonio pubblico e delle società partecipate.

Dare tutta questa rilevanza all’innovazione tecnologia presenta un duplice aspetto. Da una parte è un grosso rischio: cioè abbiamo "solo" tre anni (due e mezzo) per realizzare ciò di cui discutiamo da quasi un decennio e su cui si trascinano ritardi notevoli. Dall’altra è un elemento di forza delle politiche di innovazione: vuol dire infatti che il Governo ha una maggiore consapevolezza circa il valore degli investimenti nel digitale e che il ruolo poltico dei soggetti a cui è demandata la governance della digitalizzazione ne esce decisamente rafforzato. Se fallisce la digitalizzazione fallisce anche la spending review…

Gli 85mila “esuberi” del pubblico impiego

Le azioni proposte sul pubblico impiego sono state quelle più discusse in questi due giorni, in particolare perché nel documento di Cottarelli si fa riferimento ad un esubero di 85.000 dipendenti pubblici, un dato che ha scatenato le polemiche. Per circoscrivere le diverse osservazioni sollevate in questi giorni, evidenziamo che nel documento il tema degli esuberi viene presentato come una criticità del processo di revisione della spesa e non come elemento centrale. Inoltre vengono proposte anche una serie di soluzioni “tecnicamente” sostenibili ed è da riconoscere una equa distribuzione dei provvedimenti verso tutti i “livelli” amministrativi. Dal taglio degli stipendi dei dirigenti alla stretta sulle consulenze, dalla razionalizzazione delle forze dell’ordine alla riduzione delle spese per le missioni all’estero.

Il tema non è assolutamente da sottovalutare e FORUM PA aveva già avuto modo di affrontare il tema con ben altre dimensioni sollevando i veri nodi della questione (età media, meritocrazia in accesso, carico di lavoro, responsabilità delle dirigenza, distribuzione geografica e per settore…). Vi consigliamo di andare a rileggere l’editoriale del novembre 2012 ancora attualissimo. Detto questo è indubbio che, come dice correttamente la nota presentata dal Commissario al Senato, i tecnici hanno il compito di studiare ed elaborare soluzioni, la responsabilità delle scelte però spetta solo ed esclusivamente alla politica.

Per chiudere questa rapida e certamente incompleta disamina, una nota di assoluto apprezzamento all’attenzione posta all’istruzione pubblica: uno tra i pochi, se non l’unico, settore preservato. Forse perché già abbastanza martoriato negli anni precedenti (l’elaborazione fatta dalla Fondazione Agnelli su dati MIUR e RGS è abbastanza eloquente).

 

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