Smart Cities Learning: la tecnologia per una città partecipata e formativa
Carlo Giovannella docente di Interfacce e Sistemi Multimodali e Fisica generale presso la laurea di Scienze e Tecnologie dei Media e di Design delle Esperienze presso la laurea di Teoria e Dedign dei Nuovi Media del Dip. di Scienze e Tecnologie della Formazione dell’Università di Roma Tor Vergata. Si occupa da 20 anni di linguaggi della contemporaneità a base tecnologica: la sua attività ha come focus principale la il “Design per le esperienze” e in particolare la comunicazione mediata dalle tecnologie, l’interazione naturale uomo-macchina, gli ambienti fisici aumentati e sensibili, gli ambienti virtuali collaborativi e socializzanti, le città e i territori smart, l’ innovazione di processo e di prodotto. Con lui abbiamo parlato di Smart Cities Learning e affrontato i temi relativi alla tecnologia che aiuta la città ad essere partecipata e formativa.
15 Ottobre 2012
Roberta Gatti*
Carlo Giovannella docente di Interfacce e Sistemi Multimodali e Fisica generale presso la laurea di Scienze e Tecnologie dei Media e di Design delle Esperienze presso la laurea di Teoria e Dedign dei Nuovi Media del Dip. di Scienze e Tecnologie della Formazione dell’Università di Roma Tor Vergata. Si occupa da 20 anni di linguaggi della contemporaneità a base tecnologica: la sua attività ha come focus principale la il “Design per le esperienze” e in particolare la comunicazione mediata dalle tecnologie, l’interazione naturale uomo-macchina, gli ambienti fisici aumentati e sensibili, gli ambienti virtuali collaborativi e socializzanti, le città e i territori smart, l’ innovazione di processo e di prodotto. Con lui abbiamo parlato di Smart Cities Learning e affrontato i temi relativi alla tecnologia che aiuta la città ad essere partecipata e formativa.
Come la tecnologia può aiutare una città ad essere smart? Cioè partecipata, formativa, educante rispetto ai propri cittadini…
Credo che innanzi tutto ci si debba intendere sul senso del termine “smart” in relazione alle tecnologie (con specifico riferimento a quelle ICT).
Molto spesso le tecnologie ICT grazie alla loro pervasività, caratteristica che ne permette la facile integrazione con un ampio novero di altre tecnologie (al punto da assumere anche il ruolo di collante), sono considerate la spina dorsale di un’infrastruttura – ormai irrinunciabile – in grado di rendere la città smart, ovvero di ottimizzare il consumo di risorse e di fluidificare i flussi che l’attraversano (cose, persone, dati). In altri termini sono viste come enzima e catalizzatore di un’ottimizzazione dei processi sia in termini di efficacia che di efficienza.
In tutto questo però ci si dimentica che le città sono popolate da persone che, nel loro agire, sono spinte da motivazioni e aspettative, desideri, bisogni; individui che possiedono propri stili e non ritengono che la qualità della vita possa ridursi esclusivamente all’ottimizzazione dei flussi e dei consumi, benché ne sia una parte importante. Sono quelle stesse persone che nei secoli hanno contribuito alla stratificazione del DNA culturale che marca la differenza tra le città europee e quelle dei nuovi mondi.
Ne segue, quindi, che le tecnologie saranno in grado di rendere una città davvero smart solo quando queste si popoleranno di “smart citizens”, ovvero di individui che si sentiranno tali non solo perché avranno appreso le tecniche di ottimizzare ma perché avranno la sensazione di vivere una vita qualitativamente soddisfacente sotto tutti i punti di vista. Non a caso si sente un gran bisogno di un modello multidimensionale dell’esperienza che possa fungere da riferimento e in cui venga dato il giusto rilievo sia alle caratteristiche personali (experience styles) che a quelle del contesto, che, infine a quelle dei processi.
Peraltro, una città che riesce a far sentire i propri cittadini smart è anche una città che stimola naturalmente la partecipazione, oltre a nuovi approcci al “learning”…anche tra i visitatori temporanei (turisti).
“Smart Cities Learning”: cosa si intende?
In tutti I report e modelli di “smart city” l’educazione è vista come un fattore abilitante in grado di incidere sulla qualità della vita esclusivamente in termini infrastrutturali e funzionali: densità di scuole, erogazione di contenuti e servizi tamite infrastrutture di rete a banda più o meno larga, capacità di produrre le “skill” necessarie al funzionamento del sistema…e similaria.
L’evoluzione tecnologica degli ultimi venti anni e i contenuti delle riflessioni in corso sulle“smart city” ci inducono, però, ad assumere un nuovo e più ampio punto di vista sulla problematica, per almeno due ragioni:
a) lo sviluppo di una città smart è impensabile, come detto prima, senza che anche i cittadini diventino smart; questo vuol dire da una parte sviluppare una via alla consapevolezza che, a sua volta, indurrà una modifica degli stili di vita, e dall’altra identificare una via attraverso la quale anche la città (in quanto sistema smart) possa apprendere a utilizzare la propria smartness per sostenere, nella maniera più naturale possibile, gli stili, le aspettative e I bisogni dei cittadini;
b) con l’avvento delle smart city le modalità di apprendimento subiranno quasi certamente una trasformazione; le aule potrebbero diluirsi (almeno in parte) nelle città e nei territori smart, che divenuti sensibili e interattivi, potrebbero stimolare un apprendimento più attivo e collaborativo, oltre a consentire una ricollocazione, seppur virtuale, del nostro patrimonio culturale, spingendoci a riapprendere a leggere e comprendere quell’enorme libro a cielo aperto che sono le nostre città; a questo aspetto abbiamo dedicato, di recente, molta attenzione, sia con lo sviluppo di un ambiente integrato – web, mobile spazi fisici aumentati – per lo smart tourism (chiamato weTourist), sia con l’avvio di una riflessione, e relativo sforzo progettuale, che ha visto coinvolti gli studenti di un master per docenti delle scuole dedicato al technology enhanced learning.
E’ un tema, comunque, su cui c’è ancora molto da riflettere e, soprattutto da fare. Di certo, se adeguatamente sviluppato potrà caratterizzare la via italiana alle smart city.
Rispetto a questo percorso verso la Smart City a che punto siamo, sia a livello italiano che europeo?
Come detto in precedenza ci troviamo in presenza di un nuovo approccio alla determinazione della qualità della vita che può essere offerta da una smart city, un approccio che passa per una riflessione sulle modalità di apprendimento e sulla centralità della persona e che si pone trasversalmente a tutti gli altri temi di riferimento per le “smart city”.
C’è dunque molto lavoro da fare per sensibilizzare sia le istituzioni italiane che quelle europee, abbiamo già incontrato molte persone, illustrato il punto di vista, riscontrato interesse…e stiamo cominciando ad organizzare una sorta di “think-tank” internazionale. Siamo partiti con un primo workshop tenutosi a settembre a Sinaia in Romania e proseguiremo con un altro workshop – Horizon 2020: smart city learning – che si terra a Villard‐de‐Lans, Vercors (alpi francesi) dal 28 al 30 gennaio 2013. La richiesta di partecipazione rispetto al primo è già triplicata…poi vedremo.
Qual è la situazione in Italia? Cosa si può fare e cosa ancora manca?
A parole tutti sembrano comprendere l’importanza dell’educazione, anche nei termini illustrati in precedenza. Nella pratica, però, lo spazio riservato nei bandi a questo tema è minimo e la costruenda “palestra italiana” traguardata a Horizon 2020 sembra schiacciarsi su modelli di “smart city” in cui i cittadini sono poco più che degli utenti necessari al funzionamento del sistema…anche se, per il bene di tutti noi, mi auguro che si tratti di una sensazione errata!
* Roberta Gatti, leggi un breve profilo