Il riuso come metodo: non è solo una questione di software
In alcuni campi, come lo sviluppo di software o dei dati governativi, la pratica del riuso è comunemente accettata e normata. Ma come sviluppare, implementare e diffondere un modello analogo anche in altri ambiti? Per fare in modo che il riuso diventi pratica consolidata e consuetudine organizzativa degli enti pubblici italiani occorrono soprattutto due elementi: una cultura amministrativa che sia capace di guardare al riuso come opportunità e un quadro normativo di riferimento comune
11 Febbraio 2020
Elvira Zollerano
Responsabile progetti formativi FPA
Gianfranco Andriola
Esperto Open Data
Il concetto di riuso in Italia sembra essere applicato (e applicabile) solo al software, ma il riuso riguarda anche dati, prodotti multimediali, esperienze. Come sviluppare, implementare e diffondere un modello analogo anche ad altri ambiti? Le nuove linee guida sul software e la community Developers Italia sono sicuramente un buon punto di partenza, è necessario però fare un passo avanti e capire se è possibile conciliare il modello previsto per il software con quello relativo alle esperienze sviluppate con Open Community PA del PON Governance e Capacità Istituzionale 2014-2020.
La cultura del riuso nella pratica italiana
Sono molti i casi in cui la pubblica amministrazione fa fatica a percepire se stessa come un’organizzazione unica. Le ragioni che stanno a monte di questa posizione sono molteplici e riconducibili a pigrizie, lasciti culturali, clientele più o meno conclamate, incapacità della normativa di incidere in maniera significativa sui processi organizzativi. La difficoltà di affermare una cultura condivisa che metta al centro la collaborazione tra enti pubblici – sia essa diretta o indiretta – non solo crea diseconomie, ma riduce le possibilità di fare sistema creando alleanze con tutti i talenti che operano al di fuori della PA.
La pratica del riuso, cioè la possibilità di rilasciare le opere di ingegno prodotte dalle pubbliche amministrazioni con modalità, standard e licenze utili a renderle disponibili per essere nuovamente usate è uno strumento potente che potrebbe aumentare in maniere esponenziale l’efficacia delle politiche pubbliche.
In alcuni campi specifici di applicazione, come lo sviluppo di software o dei dati governativi, la pratica del riuso è comunemente accettata, normata e forte di una tradizione metodologica che negli anni è diventata prassi consolidata. Rispetto a questi due esempi, basti pensare a come il Codice dell’amministrazione digitale e il Piano triennale per l’informatica della PA dedicano ampio spazio ai temi dell’open source e dell’Open Data.
Sul tema del software aperto in particolare, l’Agenzia per l’Italia Digitale ha svolto un ruolo prezioso di sistematizzazione delle metodologie di acquisizione e di rilascio degli applicativi, promuovendo un vero e proprio cambiamento culturale nei confronti del concetto stesso di riuso. Creando le condizioni utili a mettere a fattor comune delle stesse amministrazioni pubbliche, e più in generale dell’intera collettività, una importante voce di investimento pubblico, creando economie di scala e valorizzando le potenzialità delle nuove tecnologie come prassi amministrativa.
Seguendo questo esempio la pubblica amministrazione italiana dovrebbe estendere la pratica del riuso, rendendola parte integrante del proprio modo di produrre, rilasciare e acquisire beni immateriali.
La Direttiva dell’Unione Europea
Si può inoltre affermare con chiarezza che l’Unione Europea si è mossa con lungimiranza e ampiezza di vedute già nel 2003 su questi temi, con la “Direttiva relativa al riuso dell’informazione del settore pubblico (PSI)”.
La valorizzazione del patrimonio informativo è una della priorità che la Commissione si è data attraverso la Digital Single Market strategy, arrivando a definire un quadro normativo volto a incoraggiare e agevolare il riuso dei dati prodotti dal settore pubblico, imponendo vincoli minimi dal punto di vista giuridico, tecnico e finanziario.
Che si tratti di software, documenti, metodologie per l’implementazione di servizi, immagini, dati o qualunque altro prodotto che si presta a essere dematerializzato e reso disponibile su internet nella sua interezza, ci troviamo di fronte a materiali già prodotti e che si prestano perfettamente a essere riusati abbattendo costi di trasferimento e ri-produzione. Per fare in modo però che il riuso diventi pratica consolidata e consuetudine organizzativa degli enti pubblici italiani occorrono soprattutto due elementi: una cultura amministrativa che sia capace di guardare al riuso come opportunità e un quadro normativo di riferimento comune.
Creare le condizioni per il riuso nella PA
L’art. 69 comma 1 del Codice dell’Amministrazione Digitale definisce in maniera esplicita che “le pubbliche amministrazioni che siano titolari di soluzioni e programmi informatici realizzati su specifiche indicazioni del committente pubblico, hanno l’obbligo di rendere disponibile il relativo codice sorgente, completo della documentazione e rilasciato in repertorio pubblico sotto licenza aperta, in uso gratuito ad altre pubbliche amministrazioni o ai soggetti giuridici che intendano adattarli alle proprie esigenze, salvo motivate ragioni di ordine e sicurezza pubblica, difesa nazionale e consultazioni elettorali”.
Le linee guida di AgID, inoltre, forniscono approfondimenti su questo obbligo, chiarendo il modello di riuso delineato dalla legge e definendo i parametri principali per la scelta della licenza e il rilascio del codice in ambito open source.
Il Piano triennale 2019-2021 e la normativa italiana (CAD) ed europea (recepimento PSI), inoltre, forniscono indicazioni specifiche rispetto ai dati governativi aperti, evidenziando:
- il principio generale secondo il quale tutti i contenuti del settore pubblico accessibili ai sensi delle norme nazionali siano resi disponibili gratuitamente per il riutilizzo (gli enti pubblici non potranno imporre tariffe superiori ai costi marginali per il riutilizzo dei loro dati, tranne che in casi eccezionali);
- la particolare rilevanza attribuita ad alcune tipologie di dati, definiti come dataset ad alto valore, quali le statistiche o i dati geospaziali, che hanno un notevole potenziale commerciale e possono accelerare lo sviluppo di un’ampia gamma di prodotti e servizi di informazione a valore aggiunto;
- l’estensione dell’ambito di applicazione della direttiva alle imprese di servizio pubblico nel settore dei trasporti e dei servizi di pubblica utilità;
- l’adozione di misure di salvaguardia per rafforzare la trasparenza e limitare la conclusione di accordi che potrebbero portare a un riuso esclusivo dei dati del settore pubblico da parte dei partner privati;
- la maggiore disponibilità di dati in tempo reale mediante l’uso di interfacce API (Application Programming Interfaces) al fine di favorire lo sviluppo di prodotti e servizi innovativi (ad esempio applicazioni per la mobilità) da parte delle imprese e, soprattutto, delle start up.
Riuso di materiali, contenuti e prodotti multimediali
Mancano invece riferimenti normativi specifici per il riuso di materiali, contenuti e prodotti multimediali di diversa natura. Neanche la legge sul diritto d’autore italiana (legge 633/1941) ha una norma che si occupi espressamente dei materiali prodotti dalle pubbliche amministrazioni.
Come si deve comportare allora in questo caso una pubblica amministrazione che progetta, sviluppa e implementa soluzioni innovative, considerando comunque che le indicazioni normative indicano esplicitamente come obiettivo quello di favorire il riuso tra più amministrazioni?
È probabilmente necessario lasciarsi ispirare dalle indicazioni normative e dalle buone pratiche adottate nello sviluppo open source e Open Data, con i dovuti adattamenti alle varie tipologie di prodotto e alle relative finalità di rilascio.
Una prima considerazione, sul piano degli strumenti, dovrebbe riferirsi alla scelta della licenza con cui si decidono di rilasciare i prodotti, valutandone l’impatto che essa avrà sulla possibilità di riuso da parte di altre amministrazioni o soggetti terzi, per non cadere – e possibilmente superare – i limiti che hanno reso fallimentare l’approccio open by default, promuovendo una nuova cultura della responsabilità del rilascio aperto e consapevole.
Poiché il processo di acquisizione dei materiali multimediali in riuso spesso comprende personalizzazioni e aggregazioni di diverse componenti, il modello di riuso dovrebbe consentire a più amministrazioni di costruire un valore incrementale sul prodotto originario, anche solo nel caso in cui i materiali fossero soggetti a semplice manutenzione evolutiva. Affinché questo processo funzioni correttamente è auspicabile l’attivazione di cicli iterativi e di miglioramento collaborativi tra la pubblica amministrazione titolare e quelle riceventi.
Un modello simile offrirebbe opportunità di crescita e collaborazione, condividendo piani di sviluppo e dunque di investimenti tra più amministrazioni sul medesimo prodotto, con enormi risparmi per la finanza pubblica.
Questo porta a una seconda considerazione, più volta al cambiamento culturale, che vede l’attivazione di processi di collaborazione come necessari per il rafforzamento della pratica del riuso, mutuando in questo caso le buone prassi delle community di sviluppo in ambito open source.
L’Open Government come paradigma di riferimento
Rispetto al tema del riuso, visto come strumento immediatamente disponibile agli enti per rafforzare il valore intrinseco delle politiche pubbliche, l’Open Government si pone come il più solido e collaudato paradigma di riferimento per rendere la pratica del riuso effettiva e armonica con le modalità di lavoro con cui le PA supportano lo sviluppo del Paese. Il concetto stesso di apertura, proprio dell’Open Government, viene declinato secondo tre aspetti cardine in cui il riuso dei materiali prodotti degli enti pubblici svolge una funzione di “amplificazione”.
Trasparenza
Secondo il modello di governo proposto dal paradigma dell’Open Government, la trasparenza è indispensabile, non solo a creare un ambiente favorevole ai cittadini per valutare l’operato degli enti pubblici ma anche e soprattutto a supportare le economie locali fornendo una base informativa solida per lo sviluppo dell’economia della conoscenza. Rendendo disponibili per il riuso i materiali sviluppati dalla PA, come già avviene per i dati governativi aperti ad esempio, gli enti pubblici avrebbero l’opportunità di rendere più visibile il proprio operato, permettendo a tutti gli stakeholder esterni di riutilizzare contenuti e prodotti sviluppati dalle pubbliche amministrazioni ridefinendo l’interesse ad approfondire l’offerta pubblica e valutandone in maniera più concreta l’effettiva efficacia.
Partecipazione
In uno scenario socio-economico partecipato da una sempre più vasta quantità di soggetti che, con ruoli differenti, contribuiscono a ridefinire il concetto stesso di ‘interesse pubblico’, sarebbe fin troppo ambizioso per la pubblica amministrazione pensare di poter continuare a svolgere le proprie funzioni senza creare alleanze sui territori. La partecipazione, qui intesa come la possibilità concreta di avviare un dialogo proficuo e finalizzato alla ricerca di soluzioni operative con cittadini, imprese e associazioni, diviene uno strumento sempre più centrale di governo.
A questo proposito, la pratica del riuso in qualche modo è come se ‘incorporasse’ il concetto di partecipazione, rendendo accessibili, modificabili e riadattabili i materiali sviluppati dalla pubblica amministrazione. Un meccanismo virtuoso, che, sfruttando l’intelligenza collettiva e la collaborazione di comunità interne ed esterne alla PA, permetterebbe di massimizzare il valore pubblico attraverso la diretta partecipazione di tutti gli stakeholder.
Collaborazione
Rispetto alla collaborazione, terzo aspetto cardine che insieme alla trasparenza e alla partecipazione contraddistingue il modello del governo aperto, il riuso si incastra perfettamente come modello operativo di cooperazione tra istituzioni e soggetti esterni ad esse.
Gli enti pubblici non possono più considerarsi strutture organizzative a sé stanti, ma devono costituirsi come soggetti integrati all’interno di una rete collaborativa e allargata ad altri enti pubblici, imprese, terzo settore e comunità di cittadini.
Il modello collaborativo di riuso fatto di metodologie consolidate, tecniche specifiche ed eterogenee comunità di sviluppo già utilizzato con successo nel software open source potrebbe essere esteso anche ad altri campi di applicazione come i materiali formativi e informativi, i protocolli sanitari, le analisi del rischio ambientale e molti altri ancora.
Per rendere il riuso uno strumento con cui la pubblica amministrazione può evolvere il proprio ruolo di piattaforma di convergenza degli interessi di tutti i soggetti presenti su un territorio, è necessario coniugare un ripensamento culturale verso l’apertura della pratica amministrativa alla definizione partecipata da parte di tutti gli stakeholder di riferimento tecnici operativi, capaci di orientare gli sforzi delle numerose comunità di sviluppo esterne alla PA verso obiettivi comuni e vantaggi condivisi. Un modello che si fondi su processi di costruzione di reti di cooperazione e meccanismi di scambio tra Pubbliche Amministrazioni con l’obiettivo di implementare e condividere soluzioni e buone pratiche amministrative innovative.
Questo articolo fa parte di FPA Annual Report 2019