Banda ultra larga in Piemonte, le ragioni del malcontento tra i Comuni

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Tutti gli Amministratori comunali, nel corso degli incontri sul territorio, sono stati d’accordo: vietato parlare di infrastruttura nuova senza lavorare a nuovi servizi che vedono nella rete e nella trasmissione dati ad alta velocità i fattori abilitanti. Trasporti, scuola, sanità, funzioni della PA. Fronti ancora da percorrere. La paura è veramente di trovarsi con un buon reticolo di fibra e poi non farci viaggiare sopra opportunità per rendere più Smart le valli. Che oggi di Smart hanno molto molto poco. Vi è poi un’ultimo grande tema, che riguarda chi fa che cosa

10 Giugno 2016

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Marco Bussone, vicepresidente Uncem Piemonte

Le sfide dell’Agenda digitale e del Piano banda ultralarga sono per il Piemonte più articolate di altre Regioni. I motivi sono molteplici. In primo luogo il numero di Comuni (1.203) e la conformazione del territorio (il 45% è montano) impongono una maggiore concertazione da parte della Regione e del Mise e una attenzione maggiore alle problematiche della aree interne, dove il digital divide corre veloce. Il secondo punto di domanda è relativo al futuro delle reti già realizzate, alle dorsali di fibra posate e mai accese per mancanza di interesse da parte degli operatori privati, o comunque di quei lembi di fibra funzionanti che non è chiaro come si uniscano ai nuovi interventi. Altro aspetto su quale porre attenzione è relativo alla neutralità tecnologica. A differenza di altre regioni, in quelle alpine sarà fondamentale poter unire agli scavi, delle reti senza fili e satellitari. I sindaci lo hanno chiesto nel corso dei quattro incontri che Regione ha tenuto a maggio per presentare il piano bul. Vogliono avere certezze, da Regione e Infratel, su come ogni casa verrà raggiunta dalla fibra. Vero. Al momento le risposte non convincono gli amministratori. Che ancora, pongono un tema, mai risolto e non banale. Cioè il fatto che il digital divide, nelle aree montane, si articola anche sul fronte della tv e della telefonia, oltre a internet. Roma deve accorgersene. E investire parte dei 290 milioni di euro per la Bul, anche in questa direzione. Cioè portare ad esempio la fibra alle antenne tv e da lì usare i più evoluti sistemi tecnologici per far viaggiare segnale tv e frequenze dei cellulari. È chiara la necessità di un coinvolgimento di RaiWay, con le sue torri, e degli operatori di telefonia mobile. Serve una mobilitazione e una pressione politica, finora non registrata, né a livello nazionale né locale.

Tutti gli Amministratori comunali, nel corso degli incontri sul territorio, sono stati d’accordo: vietato parlare di infrastruttura nuova senza lavorare a nuovi servizi che vedono nella rete e nella trasmissione dati ad alta velocità i fattori abilitanti. Trasporti, scuola, sanità, funzioni della PA. Fronti ancora da percorrere. La paura è veramente di trovarsi con un buon reticolo di fibra e poi non farci viaggiare sopra opportunità per rendere più Smart le valli. Che oggi di Smart hanno molto molto poco.

Vi è poi un’ultimo grande tema, che riguarda chi fa che cosa. Oggi in Piemonte esistono grandi realtà pubbliche o partecipate miste pubblico-private del settore ict e dell’innovazione. In primo luogo il Csi, consorzio pubblico, Csp, Topix e ancora Torino Wireless. Poi altri soggetti dove si crea e costruisce conoscenza sul tema, come l’Istituto Boella, voluto dalla Compagnia di San Paolo. Oggi tutti questi soggetti stanno pesantemente soffrendo le spinte controverse sulla loro riorganizzazione. Per alcuni si sono ipotizzati ridimensionamento e chiusura. Per altri fusioni. Mai è stato fatto un ragionamento complessivo: cosa facciamo di queste eccellenze? Come uniamo le grandi capacità su fronti diversi dell’innovazione? Come le mettiamo insieme, senza competitività nella ricerca spasmodica di risorse orientata alla sopravvivenza? Come facciamo si che lavorino all’Agenda digitale regionale del Piemonte portando questa regione al centro dell’Europa che innova? Possiamo chiamarla Piedmont valley? Da evidenziare la presenza nel cuneese in particolare di solide imprese private che costruiscono gestionali per gli Enti, esportando in tutta Italia. E Nessuno ricorda (scaramanzia della Torino città da sempre magica?) che siamo nella regione di Adriano Olivetti, siamo nella regione che ha inventato “la ruota”. Abbiamo grandi eccellenze che rischiamo di perdere. Il Csi ad esempio, al quale molte Amministrazioni locali, anche piccole, si stanno legando vista la natura in house del consorzio. I piccoli Comuni piemontesi e le loro Unioni devono poter avere nel Csi il CED che non sono in grado di costruire internamente. Non una scelta individuale, bensì un chiaro indirizzo politico. Vale anche per la sanità, oggi incapace di guardare al Consorzio pubblico come riferimento unico e forte. Il Csi deve però riorganizzarsi. Essere leader. Abbandonando il dialogo competitivo per la vendita di uno o più rami d’azienda, la Regione preveda che il Csi rimanga Consorzio pubblico e agisca come vera in-house, quasi un vero e proprio ufficio inscritto nell’organigramma della Pubblica Amministrazione.

Svolga così compiti propri delle PA consorziate, esercendo funzioni e servizi “di materia”, e non fornendo esclusivamente le componenti ICT (in questa maniera la spesa pubblica affidata a CSI diventa “spesa per servizi propri dell’Amministrazione”, e pertanto non è sottoposta alla disciplina dei commi 512-520 della Legge di Stabilità 2016). Ancora, il Csi deve mettere a disposizione un’infrastruttura ICT pubblica per il dispiegamento dei servizi per gli Enti consorziati; introduce elementi d’innovazione all’interno dei processi della PA, proponendosi come punto di raccordo con il mondo della ricerca pubblica e privata; lavora con gli altri soggetti pubblici regionali, crea coesione e coordinamento; offre supporto al settore delle piccole e medie aziende locali, mettendo a disposizione infrastruttura ICT e supporto specialistico. Infine, si propone come incubatore di start up in ambito ICT.

Proposte e percorsi. Da spiegare alla PA piemontese e già recepiti in molte della aree interne e montane che chiedono risposte a Regione, Mise, Infratel, Agid. Consapevoli che questa è l’ultima possibilità e che le eccellenze piemontesi sono la chiave di molti problemi (solo se sanno mettersi a un tavolo e lavorare insieme ciascuna con sue mission e competenze). Non smontarle, non lasciarle morire e non venderle, è la prima risposta.

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