Cad, trasparenza e privacy: la rivoluzione in due mosse

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L’assetto della disciplina che esce dalla riforma è
più rispettoso del diritto
alla privacy
di quanto non lo fosse quello precedente che, di fatto,
consentiva a chiunque – anche solo per caso – di imbattersi in decisioni di
ogni genere, attinenti alla vita privata e talvolta intima delle persone

21 Marzo 2016

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Guido Scorza, avvocato

Con l’ormai imminente entrata in vigore del Codice dell’Amministrazione digitale, risultato dell’ultima riforma Madia, tra le novità più significative, ce n’è una che riguarda le regole per la pubblicazione online delle decisioni di tutte le Autorità giudiziarie. E’ una piccola rivoluzione in due mosse.

Un intervento diretto sul Codice dell’amministrazione digitale per prevedere che alla pubblicazione delle Sentenze si proceda ai sensi di quanto previsto dal Codice Privacy ed uno su quest’ultimo. Entrambi gli interventi sono disposti dal medesimo Decreto approvato, per ora in via preliminare, nelle scorse settimane dal Consiglio dei Ministri.

La prima previsione in questione – quella di metodo – è destinata ad essere il comma 2 bis del Codice dell’amministrazione digitale, in forza del quale “2-bis. Alla pubblicazione delle sentenze e delle altre decisioni di cui al comma 2 si provvede nel rispetto di quanto previsto all’articolo 52 del decreto legislativo n. 196 del 2003.”. Le decisioni di cui si parla – ovvero quelle del comma 2 – sono: “2. Le sentenze e le altre decisioni di autorità giudiziarie di ogni ordine e grado, rese pubbliche mediante deposito in segreteria”.

La seconda previsione – quella di merito – andrà, invece, a modificare il Codice Privacy e, in particolare, il suo articolo 52 aggiungendovi due commi in forza dei quali per le Sentenze rese prima del 1° gennaio 2016 gli interessati potranno domandare al gestore della banca dati l’anonimizzazione dei dati che li riguardano mentre per quelle rese successivamente a tale data, il regime di default sarà l’anonimizzazione dei dati delle parti, persone fisiche.

Ecco, in dettaglio, cosa dicono le due previsioni destinate a divenire il comma 4bis ed il comma 4 ter del Codice Privacy: “4 bis. Successivamente alla pubblicazione della Sentenza o di altra decisione giurisdizionale, l’interessato può presentare la richiesta di cui al comma 1 [ndr ovvero quella di anonimizzazione dei dati personali che lo riguardano] al gestore del sito internet o all’editore della banca dati o rivista giuridica accessibile online che abbia proceduto alla pubblicazione per finalità di informazione giuridica. In tal caso il titolare del trattamento provvede all’anonimizzazione senza ritardo o, comunque, laddove sussistano difficoltà tecniche o organizzative, non oltre quindici giorni dalla richiesta. Se la pubblicazione è avvenuta su una rivista giuridica o banca dati cartacea o elettronica diffusa attraverso canali tradizionali, l’editore è tenuto a procedere all’anonimizzazione solo in caso di ulteriori pubblicazioni o riedizioni”.

Stabilisce, invece, il nuovo comma 4 ter: “Le sentenze e le altre decisioni rese dall’autorità giudiziaria successivamente al 1° gennaio 2016 sono pubblicate sui siti internet istituzionali dalle autorità che le hanno emanate, su quelli di terzi ed in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, previa anonimizzazione dei dati personali in esse contenuti , fatti salvi quelli dei giudici e degli avvocati.”.

Un completo capovolgimento di fronte rispetto all’assetto attuale nel quale, di norma, le Sentenze possono essere pubblicate – da siti internet istituzionali e banche dati di riviste giuridiche – complete dei nomi delle parti salvo che l’interessato, prima della decisione, non chieda al Giudice il mascheramento dei propri dati personali.

Dal prossimo 31 luglio – data di entrata in vigore delle nuove norme – al contrario, tutte le sentenze contenenti dati personali, dovranno essere pubblicate di default in forma anonima. Sul punto è, però, importante essere chiari.

La “nuova” regola – peraltro già diffusa in gran parte dell’Europa – riguarda solo ed esclusivamente i dati delle persone fisiche e non anche quelli delle persone giuridiche [società, enti, associazioni, amministrazioni ecc.] che non sono dati personali. E, soprattutto riguarda solo ed esclusivamente la pubblicazione su siti istituzionali, banche dati e riviste giuridiche a scopo di informazione giuridica. Nessun nuovo divieto, dunque, di dar conto sui giornali – di carta e telematici – alla radio o in televisione, in modo occasionale, di sentenze ed altre decisioni allorquando sussista un interesse pubblico a conoscere anche i nomi delle parti.

L’assetto della disciplina che esce dalla riforma è, certamente, più rispettoso del diritto alla privacy di quanto non lo fosse quello precedente che, di fatto, consentiva a chiunque – anche solo per caso – di imbattersi in decisioni di ogni genere, attinenti alla vita privata e talvolta intima di chiunque altro, venendo a conoscenza di fatti, circostanze ed episodi che, ciascuno, ha la legittima ambizione restino privati anche nell’ipotesi nella quale finiscano con il formare oggetto di un giudizio.

La punta dell’iceberg dei problemi che hanno, probabilmente, originato il cambio di rotta nella disciplina della materia è rappresentato plasticamente nella vicenda che, qualche tempo fa, vide il Presidente dell’Autorità Garante per la privacy Antonello Soro, prendere carta e penna e scrivere una cortese, ma ferma lettera al Primo Presidente della Corte di Cassazione per segnalare come l’iniziativa della Suprema Corte di aprire il database di tutte le proprie decisioni all’accesso online del pubblico e, persino, dei motori di ricerca, esponeva il diritto alla privacy di tanti ad un enorme rischio.

Guai naturalmente a non segnalare che, ad un tempo, il cambio di rotta renderà più difficile la vita a chi – soggetti pubblici e privati – si è sin qui impegnato della diffusione della conoscenza giuridica, perché non c’è dubbio che l’obbligo di anonimizzare tutte le decisioni contenenti dati personali, sia gravoso ed impegnativo per i più.

L’auspicio, dunque, è che ora lo Stato, dopo aver difeso – a ragione – il diritto alla privacy di tutti, garantisca con la stessa determinazione il diritto – egualmente di tutti – ad accedere alla giurisprudenza in modo rapido ed efficace , scongiurando il rischio che si creino – o, forse, meglio, si rafforzino – oligopoli ed autentici monopoli nel mercato dell’informazione giuridica giacché, evidentemente, per i grandi editori è più facile adeguarsi alle nuove norme rispetto a quanto lo sia per i più piccoli.

Serve una radicale reingegnerizzazione dei processi di pubblicazione delle decisioni che renda i dati e le informazioni – non personali – in esse contenuti, disponibili per tutti ed in formato aperto. Solo così l’equilibrio tra privacy e conoscenza potrà dirsi davvero raggiunto e garantito.

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