Come conciliare trasparenza e privacy sulle sentenze, il caso JurisWiki

Home Open Government Open Data Come conciliare trasparenza e privacy sulle sentenze, il caso JurisWiki

L’idea consta di una piattaforma per la raccolta e gestione dell’informazione giuridica basata sul crowdsourcing e strutturata secondo un modello wiki: un sito web collaborativo e strettamente ispirato ad un approccio open, nel quale è possibile raccogliere, commentare e riorganizzare le sentenze e tutti gli altri provvedimenti giurisdizionali delle corti italiane

11 Marzo 2016

S

Simone Aliprandi, avvocato e dottore di ricerca, fondatore di JurisWiki

Oltre alla mia attività di consulenza e divulgazione nell’ambito del copyright, del licensing e più in generale del diritto delle nuove tecnologie, gestisco da anni alcuni siti web e alcune community dedicate agli stessi temi. Più di recente ho voluto però fare un esperimento più ambizioso, mettendo in cantiere un sito web con un target meno di nicchia e con potenziali sviluppi legati al riuso e alla diffusione di dati pubblici, sulla scia del fervido dibattito che si è innescato in questi ultimi anni sui temi dell’open data e del libero utilizzo della cosiddetta public sector information .

L’idea consta di una piattaforma per la raccolta e gestione dell’informazione giuridica basata sul crowdsourcing e strutturata secondo un modello wiki: un sito web collaborativo e strettamente ispirato ad un approccio open, nel quale è possibile raccogliere, commentare e riorganizzare le sentenze e tutti gli altri provvedimenti giurisdizionali delle corti italiane.

Il nome scelto, JurisWiki, ha un impatto semantico abbastanza intuitivo per chi conosce un minimo di latino (“il wiki del diritto”). Il sito, benché sia in lavorazione già dalla fine del 2013, è online dal 21 aprile 2015, anche se tutt’ora è in versione sperimentale (“beta”) in attesa di consolidare alcuni aspetti sia tecnici che giuridici.

Fin dal momento della sua messa online, il progetto ha destato non poco interesse, anche da parte di una stampa più “mainstream”, mostrando di aver effettivamente toccato un “nervo scoperto” e di aver risposto, pur nella semplicità dell’idea, ad un bisogno fino a quel momento rimasto in sordina.

Dalle banche dati proprietarie al web come principale fonte di informazione giuridica

Chiunque abbia fatto studi giuridici e abbia poi passato qualche mese negli studi professionali di avvocati, notai e commercialisti, sa che per lavorare ad un certo livello sono necessarie banche dati complete e ben organizzate in cui trovare casi giurisprudenziali ben collegati alla normativa di riferimento, completati da eventuali indicazioni di prassi, oltre che supportati da un buon commento dottrinale. Si tratta di prodotti editoriali di grande complessità, in cui confluiscono diversi “strati” di contenuti di gran valore scientifico (riviste, commentari, digesti…) e che vengono offerti sul mercato da un ristretto numero di operatori specializzati (i più noti: Giuffrè, Wolters Kluwer, IlSole24Ore), una volta su DVD-rom (con aggiornamenti periodici) e negli ultimi anni quasi esclusivamente via Internet dietro abbonamento (spesso molto costoso).

Dalla metà degli anni 2000, con l’esplosione di Internet come fenomeno di massa, il web ha iniziato a popolarsi di siti che offrono contenuti di minor raffinatezza editoriale, ma indubbiamente utili e anche facilmente utilizzabili. A ciò si aggiunga che da qualche anno a questa parte le stesse corti si sono attivate per mettere online sui loro siti web i testi e a volte anche i commenti e le massime dei loro provvedimenti: si parte dalla Corte Costituzionale (che ha messo liberamente a disposizione in open data l’intero archivio dal 1956 ad oggi), si passa per i siti della Corte dei Conti e della Giustizia Amministrativa (Consiglio di Stato e Tribunali amministrativi regionali), e si arriva alla più recente scelta della Corte di Cassazione di aprire parzialmente (solo gli ultimi sei anni) il suo database ItalGiure.

Ne consegue che anche un giurista che non sia attrezzato con banche dati proprietarie (e a ben vedere anche un non-giurista mosso da semplice curiosità o da esigenze specifiche) può accedere ad una miriade di contenuti di carattere giuridico, servendosi di un generico motore di ricerca e senza dover sottoscrivere alcun abbonamento. E in realtà, visto l’aumento esponenziale di questi contenuti, spesso questa ricerca può risultare sufficiente.

JurisWiki si inserisce in questo solco e vuole porsi come un repository in cui raccogliere il materiale di pubblico dominio (o rilasciato con licenza open); un unico sito web collaborativo, basato in buona parte sulla contribuzione degli utenti, organizzato secondo criteri particolarmente precisi e supportato da un motore di ricerca dedicato.

Una copyright policy più onesta per un’informazione giuridica (davvero) open

Come molti sapranno, i testi di sentenze, ordinanze e decreti (come di tutti gli atti ufficiali della pubblica amministrazione) rappresentano uno dei pochi casi di “public domain by law” previsti dall’ordinamento italiano. Essi infatti per effetto dell’art. 5 della legge sul diritto d’autore non sottostanno ad alcuna privativa di proprietà intellettuale e quindi sono contenuti di pubblico dominio fin dalla loro pubblicazione. Ricordiamoci tra l’altro che le sentenze vengono pronunciate “in nome del Popolo Italiano” e dunque ha davvero senso che siano fin da subito patrimonio informativo di tutti.

Ciò nonostante questi documenti non sono facilmente accessibili per il semplice fatto che, almeno fino allo scorso anno (anno in cui è andato a regime il cosiddetto “processo telematico” e la conseguente digitalizzazione dei documenti processuali), venivano protocollati e archiviati nelle cancellerie in formato cartaceo. Dunque si pone il primo problema di ottenere copie di questi documenti e di digitalizzare pagine e pagine di carta (a volte scritte e annotate a mano).

Inoltre, chi si occupa di open data e conosce le questioni giuridiche poste dalla tutela delle banche dati, sa che quand’anche un contenuto in sé sia palesemente di pubblico dominio (come appunto i testi delle sentenze) esso può essere comunque sottoposto ad una particolare tutela (detta “ diritto sui generis ”) se è inserito in una banca dati la cui realizzazione abbia richiesto un rilevante investimento e un’attività intellettuale per la disposizione e organizzazione dei dati.

Spesso i titolari dei siti (purtroppo anche di molti siti istituzionali, contraddicendo le norme sulla public sector information e sul cosiddetto “open by default ”) non sono particolarmente chiari nella gestione del copyright sui contenuti e abusano di questo tipo di tutela, arrivando alla situazione paradossale di imporre, attraverso strani disclaimer e termini d’uso, vincoli aggiuntivi alla riproduzione dei contenuti rispetto a quelli normalmente imposti dalla legge.

JurisWiki intende invece scardinare questa assurda prassi e applica una policy di gestione del copyright molto più chiara. Come emerge dall’apposita pagina “ copyright”, i testi delle sentenze vengono chiaramente dichiarati come documenti in pubblico dominio; mentre per quanto riguarda invece i contenuti creati dagli utenti (cioè massime e commenti), la piattaforma applica di default una licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International.

Fare open data con dati giudiziari: come conciliare la trasparenza e la tutela della privacy?

Il principale problema che viene messo in luce da un sito come JurisWiki è però quello di una corretta gestione della privacy. Effettivamente le sentenze, oltre ad essere documenti di indiscusso interesse pubblico (specie quelle delle massime corti, che hanno anche la funzione di orientare l’interpretazione del diritto), trattano quasi sempre casi riguardanti o comunque riconducibili a persone fisiche, se escludiamo ovviamente la minor percentuale di cause in cui le parti sono unicamente aziende o pubbliche amministrazioni. Ecco che dunque si pone il serio problema del trattamento dei dati personali e a volte sensibili contenuti in questi documenti.

La soluzione più ovvia potrebbe essere quella di “oscurare” tutti i dati personali. Ciò però comporta alcune problematiche tecniche non indifferenti e soprattutto rischia di rendere molto meno utili e interessanti questi preziosi documenti ai fini di trasparenza e controllo pubblico sull’operato della giustizia italiana. Ci sono infatti molti casi in cui la possibilità di ricollegare la sentenza ad una specifica persona diventa fondamentale per la comprensione del documento ; ci sono casi in cui la sentenza riguarda personaggi noti o comunque casi di cronaca nazionale o locale che per loro natura vedono una riduzione dell’esigenza alla riservatezza in favore di un interesse pubblico alla conoscenza della vicenda giudiziaria. A ciò si aggiunga anche le questioni emerse di recente sullo strano e nuovo diritto all’oblio, ed è facile capire quanto il tema sia intricato.

Purtroppo, come ho provato a ricostruire in un altro articolo, la normativa di riferimento non aiuta molto; non è affatto chiara e le principali indicazioni ad oggi disponibili sono ancora ispirate ad un mondo in cui concetti come open data e riutilizzo dell’informazione pubblica erano ancora ad un livello embrionale; senza poi parlare della mancanza di solida giurisprudenza che possa essere utilizzata per un’interpretazione priva di incertezze.

La prudenza ha sempre comunque suggerito agli operatori privati (si veda i casi sopra citati delle banche dati proprietarie e dei siti web giuridici) di procedere ad una anonimizzazione preventiva delle sentenze; ma tale prudenza non sembra invece essere stata adottata dai siti web istituzionali delle co rti i quali invece hanno esposto buona parte di questi documenti con tutti i dati personali (compresi anche quelli relativi a delicate situazioni di famiglia, di salute, di violenza sessuale).

Il progetto JurisWiki, che oltre ad agire come semplice “piattaforma/scatola vuota”, in questi mesi si è attivato per prelevare e ripubblicare i documenti presenti in pubblico dominio su tali siti web istituzionali e facendo ciò si è trovato nella scomoda situazione di dover gestire il problema privacy (non affrontato correttamente dalle fonti originarie) e di dover trovare una soluzione che permettesse da un lato una proficua attività di riutilizzo dell’informazione pubblica, dall’altro il rispetto della privacy dei soggetti menzionati nelle sentenze.

La questione in realtà è ancora aperta e tutt’ora gli esperti sembrano spezzati in due fazioni: coloro che criticano aspramente la scelta delle corti di aver esposto massivamente questi dati e coloro che invece salutano questa scelta come un passo coerente con i principi della trasparenza pubblica e dell’open data.

Forse non c’è una verità assoluta e la soluzione sta nel compromesso e nell’accettazione del fatto che l’avvento di Internet ha impattato pesantemente anche su queste dinamiche.



Per approfondire

  • Privacy e sentenze: un quadro che non quadra (neanche per la Cassazione) , di Simone Aliprandi; articolo uscito sul sito MySolutionPost.it nell’ottobre 2014.
  • Il progetto JurisWiki. Qualche informazione di background sulla prima piattaforma aperta per l’informazione giuridica , di Simone Aliprandi; articolo uscito sulla rivista Informatica e diritto (Vol. XXIII, 2014, n. 2, pp. 139-143).
  • JurisWiki, accesso libero alle sentenze. “Ma i nomi vanno oscurati” ; articolo uscito su Repubblica.it nel giugno 2015.
  • “Dicono di noi” ; rassegna dei principali post e articoli che hanno parlato di JurisWiki.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!