EDITORIALE
“Com’è umano lei”: del lavoro ai tempi dell’Intelligenza Artificiale generativa
La maggior parte delle funzioni e mansioni nella PA saranno in brevissimo tempo “esposte” a soluzioni di intelligenza artificiale generativa. Ma non sappiamo quale sarà esattamente l’impatto di tale esposizione sul lavoro pubblico. Una maggiore esposizione all’IA non implica necessariamente un più ampio rischio di sostituzione e per massimizzare i benefici è indispensabile lavorare sulle persone e sulle organizzazioni in modo che sappiano cogliere nel modo migliore il cambiamento. Sembra quasi un paradosso, ma è proprio questo il momento di rendere più umano il lavoro
18 Aprile 2024
Gianni Dominici
Amministratore Delegato FPA
Ragionando sul tema dell’IA e il mercato del lavoro sono incappato in un vecchio brano di Asimov (dal titolo Nove volte sette) ambientato nel futuro che narra la storia di un mondo diviso in due superpotenze in perenne guerra[1]. Gran parte delle attività, a cominciare da quella bellica, sono governate da “calcolatori” che hanno determinato una situazione di stallo che si protrae da anni. Ogni mossa prevista da uno è contrastata dall’altro e viceversa. In questo contesto, le più alte autorità di una delle parti vengono a conoscenza delle capacità particolari di un anonimo funzionario: quella di saper calcolare, dalle semplici addizioni a mente, a quelle più complesse con matita e carta. Dopo la prima diffidenza nel trovarsi davanti a delle capacità che non si credeva appartenessero più alla specie umana, posso spoilerare che le capacità umane ritrovate divengono determinanti nello sconfiggere le macchine[2].
Incuriosito da questo brano l’ho sottoposto all’analisi di Chatpdf.com che, come molti sapranno, sintetizza un qualsiasi testo restituendo una struttura fatta di domande e di risposte[3]. Di seguito, in corsivo, il risultato:
PDF: Benvenuti nel PDF dedicato a “Nove volte sette” di Isaac Asimov! Questo racconto vi porterà in un mondo di scienza e avventura, dove personaggi come Jehan Shuman e Myron Aub si trovano al centro di una trama avvincente. Buona lettura!
Qual è il ruolo di Jehan Shuman nello sforzo bellico terrestre?
PDF: Jehan Shuman non è un militare, ma è responsabile di tutti i laboratori di ricerca incaricati di progettare i cervelli elettronici e gli automi impiegati nel conflitto. Grazie a questa posizione di rilievo, Shuman è ascoltato dai generali e dai capi delle commissioni parlamentari.
Quali sono le speciali capacità di Myron Aub e come vengono scoperte?
PDF: Myron Aub è un Tecnico d’infimo rango che, nonostante abbia fallito le prove di selezione per individuare i cervelli umani meglio dotati, possiede un’abilità speciale nel calcolare mentalmente e riportare su carta risultati complessi senza l’ausilio di strumenti tecnologici come calcolatrici. Questa sua capacità viene scoperta da Jehan Shuman, il Grande Programmatore, che lo trascina nel mondo della ricerca e lo presenta come un individuo dotato di speciali capacità matematiche.
Ottima sintesi che però non coglie esattamente il senso del brano perché le domande che l’algoritmo si è fatto non vanno a individuare, dal mio punto di vista, il tema centrale. A questo punto sono io che rinnovo il dialogo esplicitando altre domande. Di seguito, il dialogo.
Me: Qual è la morale della storia?
PDF: La morale della storia “Nove volte sette” di Isaac Asimov sembra riflettere sull’importanza dell’intelligenza umana e della creatività rispetto alla tecnologia avanzata. Attraverso il personaggio di Myron Aub, che dimostra abilità matematiche straordinarie senza l’ausilio di strumenti tecnologici sofisticati, Asimov potrebbe voler sottolineare che l’ingegno umano e la capacità di pensiero possono superare le limitazioni delle macchine. In un contesto bellico e tecnologicamente avanzato, la storia potrebbe invitare a riflettere sull’equilibrio tra progresso tecnologico e il valore dell’ingegno umano.
Me: Come spiegheresti l’importanza di mantenere capacità umane in questo contesto?
PDF: Nel contesto della storia “Nove volte sette” di Isaac Asimov, mantenere le capacità umane è importante perché offre un vantaggio unico rispetto alle macchine e alla tecnologia avanzata. Le capacità umane, come la creatività, l’adattabilità, il pensiero critico e l’intuizione, possono superare le limitazioni delle macchine in situazioni impreviste o complesse. In un ambiente bellico dove la tecnologia è predominante, l’abilità umana di pensare in modo flessibile e di trovare soluzioni innovative può fare la differenza tra il successo e il fallimento. Mantenere e valorizzare le capacità umane può quindi garantire un vantaggio strategico e un margine di superiorità in contesti dove la creatività e l’ingegno sono fondamentali.
Da questa conversazione dobbiamo, secondo me, trarre due considerazioni, una di natura contenutistica e una di natura più ampia, direi metodologica che riguardano presente e futuro del lavoro, e di quello pubblico in particolare, in relazione alla diffusione sempre più veloce di soluzioni di Intelligenza Artificiale generativa.
Il tema non è di poco conto perché sono sempre di più gli studi e le riflessioni che cercano di prefigurare gli impatti sul mercato del lavoro di tale tecnologica. Tra le cifre più citate quelle del Fondo Monetario Internazionale che indicano nel 40% a livello mondiale, e nel 60% per i paesi in via di sviluppo, la percentuale di lavoratori “esposti” all’IA[4]. Ma cosa significa che un lavoro possa essere esposto? “Significa semplicemente che esiste una sovrapposizione tra le mansioni che svolgono i lavoratori e quelle che l’IA è in grado di svolgere. Tuttavia, una maggiore esposizione all’IA non implica necessariamente un più ampio rischio di sostituzione. L’IA invece che sostituire può complementare o aumentare la capacità dei lavoratori di effettuare le proprie attività. Di fatto, ancora non sappiamo se gli effetti di complementarità prevarranno su quelli di sostituzione”[5].
Seguendo questo approccio, è interessante il lavoro di un gruppo di ricercatori italiani che, a loro volta, si riferiscono ad un modello messo a punto da un gruppo di ricercatori statunitensi[6]. La loro ricerca è indirizzata a valutare, nel mercato del lavoro italiano, l’intensità di esposizione (distinta in low, medium e high) delle IA sulle diverse professioni, distinte per il livello di competenza richiesto dal lavoro svolto: “classifichiamo come high skilled i manager, i professionisti e i tecnici specializzati e low skilled tutti gli altri”[7]. In sintesi, la ricerca, partendo dai dati della Rilevazione sulle forze di lavoro ISTAT 2022, rileva che 7 lavoratori su 10, in Italia, risultano esposti all’impatto dell’IA. Di questi (parliamo di 15 milioni di lavoratori su circa 21,5 milioni) il 32,1 % sono altamente esposti e il 39,8% mediamente esposti. “Particolarmente significativa è la porzione di occupati high exposed nel settore dei servizi; i comparti della pubblica amministrazione, dei servizi di informazione e comunicazione, delle attività finanziarie e assicurative e di istruzione, sanità e altri servizi sociali presentano tutti una quota di middle e high exposed che supera il 90 per cento”[8].
Il lavoro pubblico, per la tipologia delle funzioni svolte e per le caratteristiche strutturali individuali risulta ad alta esposizione, per cui emerge la necessità di capire al meglio come gestire questa esposizione in modo che si trasformi in opportunità per l’attuale forza lavoro invece che una minaccia in termini occupazionali e di integrità del lavoro.
A questo punto torniamo alla conversazione con Chatpdf. Dal punto di vista contenutistico siamo d’accordo con la sintesi che il programma ci propone, e cioè che per le PA che devono affrontare e gestire il futuro sono importanti competenze legate alla creatività, all’adattabilità, al pensiero critico e al pensiero laterale e non possiamo che concordare che queste sono qualità e caratteristiche che difficilmente saranno nel breve sostituite dagli algoritmi e che, al contrario, possono andare a qualificare il lavoro liberato da mansioni ripetitive e routinarie. Come nel romanzo di Asimov per “combattere” le macchine dobbiamo valorizzare le capacità umane anche di natura emotiva ed empatica, come la logica abduttiva, cioè quel procedimento che consente di trarre conclusioni sensate da presupposti ipotetici o sconosciuti[10] o la logica intuitiva ben descritta da Francesca Gino nel suo libro Talento Ribelle[11] e stupendamente rappresentata nel film Sully con Tom Hanks[12].
D’altronde alle stesse conclusioni, cioè la necessità di investire in nuove competenze come pensiero critico, analisi, risoluzione di problemi, oltre all’importanza di “soft skills” come autogestione, resilienza, gestione dello stress e flessibilità, arrivava già nel 2020 il Word Economic Forum con il noto rapporto “The future of job report”. Aggiungendo che fossero caratteristiche indispensabili per mantenere il posto di lavoro nei prossimi anni a fronte del sicuro impatto che l’IA avrà sui posti di lavoro attuali[13].
La seconda considerazione che discende dalla interlocuzione con Chatpdf mi fa venire in mente che forse più che cercare risposte dobbiamo cercare le giuste domande. Scrive Michele Petrocelli “Le macchine sono brave nelle risposte ma non nelle domande”. E questo chiama in causa, secondo Petrocelli, il nostro sistema scolastico e formativo orientati ad un approccio prevalentemente nozionistico che forma i ragazzi a diventare esecutori e non li incoraggia a sperimentare, a prendere i rischi. Reid Hoffman, che ha scritto un recente libro interloquendo con GPT-4 scrive, a proposito, “[Se ChatGPT] può svolgere un lavoro così come una persona, allora gli esseri umani non dovrebbero duplicare tali capacità; devono superarli. Il prossimo compito dell’istruzione superiore, quindi, è quello di preparare i laureati a utilizzare nel modo più efficace i nuovi strumenti e a superare i propri limiti. Ciò significa pedagogie che enfatizzano l’apprendimento attivo ed esperienziale, che mostrano agli studenti come trarre vantaggio da queste nuove tecnologie e che producono laureati in grado di fare ciò che gli strumenti non possono fare. E ancora, “porre le domande migliori richiede curiosità, creatività e pensiero critico, che non sono facilmente replicabili o sostituibili dall’intelligenza artificiale. L’apprendimento di informazioni o competenze che non sono presenti nei dati di addestramento richiede esplorazione, sperimentazione e scoperta, che non sono sempre prevedibili o ottimali per l’intelligenza artificiale. Trasformare le informazioni in azioni richiede giudizio, comunicazione e leadership, che non sono sempre coerenti o efficaci per l’intelligenza artificiale”[14].
Sulla base di queste considerazioni scaturisce la riflessione che, forse, la nostra attenzione è rivolta nella direzione sbagliata. Non è normando e mettendo paletti all’innovazione e al cambiamento che ne evitiamo gli impatti di natura culturale, sociale ed economica. O, comunque, non solo. L’attenzione deve andare verso soluzioni in grado di aumentare la capacità delle persone e delle organizzazioni pubbliche ad usare al meglio le potenzialità che si prospettano. Nell’introduzione al recente libro di Federico Butera, scritto insieme a Giorgio De Michelis leggiamo “Più che occuparsi dell’analisi degli impatti per Butera è prioritario condividere il percorso di progettazione di nuovi sistemi di tecnologia, organizzazione e lavoro”. E ancora: “l’intelligenza artificiale sconvolge certamente le organizzazioni e il lavoro ma solo le buone politiche industriali e regolatorie da una parte e le robuste forme di progettazione congiunta di tecnologia, organizzazione e lavoro dall’altra – ossia una nuova “sociotecnica 5.0” – potranno trarre dall’intelligenza artificiale gli enormi vantaggi attesi di produttività, qualità dei prodotti e servizi e al tempo stesso quantità e qualità dei lavori, consentendo un sufficiente controllo dei rischi”[15].
Il tema non è da poco. Come già detto, se gran parte del lavoro pubblico è esposto dal ricorso all’IA, si tratta di capire e di intervenire per far in modo che tale esposizione non rappresenti una minaccia ma un’opportunità di crescita professionale. Una recente ricerca ha messo in evidenza come il ricorso a soluzioni di IA impatti positivamente in termini quantitativi e qualitativi su alcune attività professionali in particolare, in questo caso, la professione dei consulenti. Mi riferisco all’indagine svolta della Harvard Business School e dalla Boston Consulting Group[16] che ha avuto come oggetto il lavoro svolto da un gruppo della BCG diviso in tre sottogruppi: utilizzatori di ChatGPT, utilizzatori di ChatGPT assistiti e formati (con nozioni di promt design), non utilizzatori di alcun tool. I risultati sono tanto chiari quanto stimolanti. I consulenti, e quindi knowledge worker di alto livello, hanno evidentemente beneficiato, nello svolgimento dei task che gli erano stati assegnati, del ricorso a ChatGPT. In particolare, coloro che hanno usato ChatGPT hanno completato il 12% di attività in più (more work done), il 25% più velocemente (faster completion rate) con risultati del 40% migliori degli altri (higher quality of work). Tra questi, coloro che avevano ricevuto la formazione hanno registrato i migliori risultati (in rosso nel grafico).
Rispetto a queste evidenze sembrerebbe facile aumentare la produttività delle organizzazioni. Si formano i lavoratori sui principali strumenti di produttività “assistita” da ChatGPT a tutte le sue derivate come PDF.ai (per la sintesi di un testo) a NotebookLM (per elaborare testi) a Slidesgo per automatizzare la realizzazione di presentazioni e così via. Questo sarebbe sicuramente utile nel settore pubblico in cui si è disinvestito per anni sotto dotando l’organico in termini numerici, di competenze ma anche di riconoscimenti[18]. Un’eredità che non può che non pesare rispetto agli importanti impegni che le PA sono chiamate ad assolvere ad esempio in termini di valorizzazione delle risorse economiche destinate alla ripresa del paese[19].
Sarebbe utile ma non è esattamente così. Altra evidenza che scaturisce dalla ricerca è che a beneficiare del ricorso a ChatGPT sono stati soprattutto coloro che prima dell’inizio del test erano stati valutati con i punteggi più bassi e che, invece, grazie all’ausilio della tecnologia hanno incrementato di oltre il 40% le loro capacità. Inoltre, i ricercatori dichiarano che se i risultati sono sì migliorati, gli stessi però sono più omogenei, piatti e meno originali dimostrando quindi come il ricorso all’IA porti complessivamente a un livellamento delle capacità e dei risultati. Infine, non tutti i task che erano stati assegnati ai consulenti si sono rivelati alla fine idonei per l’algoritmo utilizzato per cui coloro che comunque lo avevano assegnato alla macchina hanno visto scendere del 19% la loro possibilità di dare una risposta esatta subendo le conseguenze di quello che viene chiamato il rischio d’automation bias, la delega completa alla macchina[20]
Come prima, parzialissima conclusione, si può ipotizzare che la maggior parte delle funzioni e mansioni pubbliche saranno in brevissimo tempo “esposte”a soluzioni di intelligenza artificiale generativa. Quale sarà esattamente l’impatto di tale esposizione sul lavoro e su quello pubblico in particolare è sicuramente ancora difficile da stimare. In termini qualitativi sono quattro le possibili conseguenze di questo processo:
- Sostituzione di posti di lavoro. È evidentemente l’opzione più temuta ma, allo stato attuale delle conoscenze, probabilmente anche quella che sarà meno diffusa. Sono soprattutto la attività più routinarie e standardizzate legate alla gestione dei documenti, ai servizi di assistenza, all’analisi dei dati, solo per fare degli esempi, ad essere maggiormente minacciate.
- Appiattimento delle mansioni. Un uso non mediato, programmato delle soluzioni di IAgen può portare a degli automatismi pericolosi sia in termini di risultati (la letteratura è già ricca di “sbagli” conseguenza del ricorso a decisioni assistite nell’attuazione di politiche pubbliche) sia in termini di impoverimento delle mansioni lavorative facendo perdere di senso e centralità il lavoro svolto, e questo a discapito dei processi innovativi e creativi.
- Trasformazione. Così come è successo con la digitalizzazione delle PA, un utilizzo attento dei nuovi strumenti può portare a un arricchimento delle professioni tradizionali. C’è chi parla già da tempo di lavoro ibrido[21] chi di cybork, cyborg + work, per cui le competenze umane si legano e si complementano in modo indissolubile con quelle artificiali[22], chi, come Bentivogli usa il temine Nuovi operAI[23] chi, ed è la mia definizione preferita, come Butera, usa il termine “lavoratori aumentati”. In tutti i casi si pone l’accento sulla collaborazione uomo-macchina in una logica di complementarità delle funzioni.
- Creazione di nuovi posti. Tutte le precedenti tecnologie hanno portato, con la loro diffusione, alla nascita di una domanda di nuove professionalità con la relativa creazione di nuova occupazione. Lo stesso sta accadendo come conseguenza di nuova domanda di professionalità, che la diffusione dell’IA sta generando: data scientist, eticisti, specialisti di sicurezza informatica, esperti di automazione di processi, esperti di change management, etc.
Come abbiamo già anticipato, per massimizzare i benefici, invece che erigere paletti e scatenare gli amministrativisti e tentare di normare qualcosa che ancora è così velocemente in divenire, è indispensabile lavorare sulle persone e sulle organizzazioni in modo che sappiano cogliere nel modo migliore il cambiamento[24]. Si tratta di accogliere le sfide in un contesto abilitante caratterizzato da creatività, dal pensiero laterale, dal pensiero intuitivo, dall’etica. Riprendendo ancora Butera: “La principale modalità di affrontare positivamente le inevitabili riduzioni di attività sono quindi costituite dalla riprogettazione del lavoro e dell’organizzazione, in modo da creare lavori e organizzazioni di qualità, aumentando insieme produttività e qualità della vita di lavoro”[25]. Si tratta, in conclusione, di rendere più umano il lavoro [26].
[1] In verità il brano mi è stato suggerito, nel corso di una conversazione sul tema, da Daniele Fichera, senior expert di FPA.
[2] Il racconto è parte dell’antologia a cura di S. Solmi e C. Fruttero, Le meraviglie del possibile: antologia della fantascienza, 14. ed. Torino: Einaudi, 2020.
[4] M. C. Tavares, F. Jaumotte, L. Li, G. Melina, A. J. Panton, C. Pizzinelli, E.J. Rockall, M. Mendes, «Gen-AI: Artificial Intelligence and the Future of Work». Gennaio 2024.
[5] R. Cerra e altri, «IA e disoccupazione tecnologica. Tre aspetti fondamentali analizzati dal Ced», Formiche.net. 12 marzo 2024.
[6] E. Felten, M. Raj, e R. Seamans, «Occupational, industry, and geographic exposure to artificial intelligence: A novel dataset and its potential uses», Strategic Management Journal, vol. 42, fasc. 12, pp. 2195–2217, 2021.
[7] G. B. Mattei, A. Dalla Zuanna, D. Dottori, E. Gentili, G. Linfante, L. Mattei «Quali sono le professioni a rischio con l’intelligenza artificiale *», Lavoce.info. 25 marzo 2024.
[8] Idem.
[9] Idem.
[10] Scrive a questo proposito la Falletti “In realtà le questioni sono più sfumate, a partire da uno dei concetti più diffusi in ambito dell’intelligenza artificiale, cioè quello stesso di intelligenza artificiale, la quale non è riconducibile a una mera imitazione del ragionamento umano, in quanto ad essa manca l’elemento della logica abduttiva (ovvero trarre conclusioni sensate da presupposti ipotetici o sconosciuti)” in E. Falletti, «Algoritmi: la discriminazione non è uguale per tutti.», Lavoro Diritti Europa, vol. 2, 2023.
Su questo tema vedi anche M. Hildebrandt, «The Issue of Bias. The Framing Powers of Machine Learning». Rochester, NY, 3 dicembre 2019, che scrive “Machines can do inductive and deductive inferences, but cannot originate abductive reasoning [63]. Abductive reasoning requires an intuitive jump from a set of findings to a theory that explains it, which can then be tested inductively by deducting hypotheses that should be confirmed by the data. Clearly, the research design of ML, as developed by humans, and notably the construction of the hypothesis space, is largely a matter of creative abduction that enables the machine to inductively test the abducted hypotheses. If confirmed, this allows the system to use the abduction as a ground for deductive reasoning (this is why feedback loops are crucial)”.
[11] F. Gino, Talento ribelle. Perché infrangere le regole paga. EGEA, 2019. Per una lettura da una propsettiva delle neuroscienze e della psicologia per comprendere lo origini del pensiero intuitivo vedi M. Gladwell, In un batter di ciglia: Il potere segreto del pensiero intuitivo. Mondadori, 2014.
[12] S. C. B e J. Zaslow, Sully. HarperCollins Italia, 2016.
[13] «WEF Future of Jobs_2020». World Economic Forum, ottobre 2020.
[14] R. Hoffman, Impromptu: Amplifying Our Humanity Through AI. Dallepedia LLC, 2023. Traduzione dall’inglese a mia cura.
[15] F. Butera e G. De Michelis. Intelligenza artificiale e lavoro, una rivoluzione governabile. Marsilio, 2024.
[16] F. Dell’Acqua, E. McFowland, E. R. Mollick, H. Lifshitz-Assaf, K. Kellogg, S. Rajendran, L. Krayer, F. Candelon, e K. R. Lakhani. «Navigating the Jagged Technological Frontier: Field Experimental Evidence of the Effects of AI on Knowledge Worker Productivity and Quality». SSRN Scholarly Paper. Rochester, NY, 15 settembre 2023. Per una sintesi in italiano della ricerca vedi vincos. «L’impatto dell’intelligenza artificiale sulla produttività individuale». Vincos – il blog di Vincenzo Cosenza, 27 marzo 2024.
[17] Felten e altri, op. cit.
[18] G. Stagno. «Lavoro pubblico e cambiamento organizzativo». In Annual Report FPA, di Autori Vari. Edizioni FPA, 2023. Vedi anche una mia sintetica ricostruzione delle dinamiche che hanno riguardato il lavoro pubblico negli ultimi decenni in G. Dominici, «L’Elogio all’ignoranza dell’Intelligenza Artificiale». FORUMPA.it, 15 marzo 2024, dove scrivo “Abbiamo delle organizzazioni che per decenni hanno subito disinvestimenti in termini economici e di personale in nome di un’austerità combattuta con la cultura dei tagli lineari. Complessivamente, in 10 anni, nelle PA italiane si sono ‘perse’ 168mila persone e l’Italia continua ad avere un numero totale di impiegati pubblici nettamente inferiore a quello dei principali Paesi europei in proporzione alla popolazione (5,5 impiegati pubblici ogni 100 abitanti, mentre sono 6,1 in Germania; 7,3 in Spagna; 8,1 in UK; 8,3 in Francia); e in proporzione agli occupati (14 impiegati pubblici ogni 100 occupati contro il 16,9 in UK, il 17,2 in Spagna, il 19,2 in Francia). L’età media degli impiegati pubblici stabili è di 50,7 anni invariata rispetto all’anno precedente quando nel 2001 l’età media era di 44,2 anni. Indietro anche la formazione: nel 2021 nemmeno un giorno per dipendente. A questo fenomeno si è aggiunto, o ne è stata la conseguenza, quello delle esternalizzazioni per cui spesso si sono trascurate le competenze interne preferendo chiamare in causa qualcuna delle grandi società di consulenza. “Queste tendenze hanno svuotato le organizzazioni di conoscenze, di competenze e capacità di visione”. Il rischio, ora, che il diffondersi degli algoritmi vada ancora a discapito delle competenze e delle capacità interne alle istituzioni è alto”.
[19] M. Roma. «Programmazione europea». In Annual Report FPA, di Autori Vari. Edizioni FPA, 2023.
[20] A. Saar, e M. Busuioc. «Human–AI Interactions in Public Sector Decision Making: “Automation Bias” and “Selective Adherence” to Algorithmic Advice». Journal of Public Administration Research and Theory 33, fasc. 1 (1 gennaio 2023): 153–69. In verità uno degli autori del paper, Fabrizio Dell’Acqua, in un lavoro analogo usa un’altra espressione. Vedi F. Dell’Acqua,. «Falling asleep at the wheel: Human/AI Collaboration in a Field Experiment on HR Recruiters», 2022.
[21] Costa, Giovanni, e Paolo Gubitta. Globalizzazione, modularità e nuove forme di organizzazione. Franco Angeli, 2012.
[22] F. Cabitza, Federico, e F. Varanini. «Going Beyond the System in Systems Thinking: The Cybork». Lecture Notes in Information Systems and Organization, 2018, 69–79.
[23] I. Manzano «Marco Bentivogli | ChatGPT e Lavoro: i nuovi operai | Il Cloud del Lavoro». Assolavoro (blog), 19 marzo 2024.
[24] È evidente che queste considerazioni chiamano in causa l’attuale cultura dominante nelle organizzazioni, soprattutto quelle pubbliche. Scrive Petrocelli: “Per costruire un’organizzazione basata sulla creatività, l’innovazione e l’autonomia delle persone occorre anche porsi il problema dello stile di leadership e del clima organizzativo.” In M. Petrocelli, op. cit.
[25] F. Butera, op. cit.
[26] Tanti sono gli articoli, non solo in Italia, che esplorano i possibili impatti dell’IA sul lavoro pubblico . Qui una parzialissima rassegna:
Un interessante approccio operativo si trova in «Empowering Govt Employees with AI Workforce Transformation» , Rezolve.AI, 6 giugno 2023. Che conclude “In conclusion, the transformative potential of AI in the public sector is vast, and governments worldwide are recognizing its value in driving innovation, improving citizen services, and addressing complex challenges. However, realizing the full benefits of AI requires a strategic and holistic approach, encompassing workforce transformation, citizen-centric services, AI empowerment, employee support, building AI competence, ethical considerations, and cross-border collaboration”.
Sui temi delllo skill gap e dello skill shortage ma anche degli attuali trend più generali del mercato del lavoro vedi Bevilacqua, Elisabetta. «Nuove competenze per il lavoro del futuro». ZeroUno, 20 marzo 2024.
Per un’approfondita riflessione sulle dinamiche in corso in america latina vedi Development bank Latin America and the Caribbean. «How Automation and AI Will Change Employment in the Public Sector», 2 maggio 2022.. Dove si torna sul tema sostituzione-empowerment: “According to a study conducted by CAF, entitled “Potential Impact of the Use of Artificial Intelligence on Public Employment in Latin America,” although certain occupational tasks may be automated (implying a displacement of human labor, an effect of automation), there are other tasks for which technology could—instead of replace—complement or enhance human work and increase productivity”.
Interessante anche l’articolo di L. Mari F. Bertolotti, Francesco. «ChatGPT: uno strumento, un collega, o un consulente?» 24+, 1 giugno 2023, dove gli autori, volendo definire le modalità di relazione, nel lavoro, con i nuovi algoritmi, optano per il ruolo di “ consulenti” : “a cui deleghiamo certi compiti, a volte puramente esecutivi, a volte strategici, pur mantenendo noi la gestione del processo e la responsabilità ultima dei suoi risultati”.
Marco Bentivogli in questo brano, tra le altre cose, torna sul tema del sape fare le giuste domande: “Ma cosa resta agli umani? Scrivere le istruzioni correttamente. Imparare a fare le giuste domande alle macchine (prompt) sarà una competenza e un lavoro: creare e progettare davvero anche senza schemi di riferimento. L’Intelligenza Artificiale non è «senziente» (dotata di sensibilità) né intelligente, ma è sempre più veloce e potente. ChatGPT riconosce i suoi errori, simula delle scuse, nel mentre continua ad «imparare»” in I. Manzano, «Marco Bentivogli | ChatGPT e Lavoro: i nuovi operai | Il Cloud del Lavoro». Assolavoro (blog), 19 marzo 2024.
In questa intervista a Maurizio Del Conte, Professore ordinario di diritto del lavoro in Bocconi viene affrontata la tematica di genere. “Purtroppo i lavori a maggior valore aggiunto ancora oggi sono in mano agli uomini. E visto che questi lavori sono quelli che non solo resistono sempre, ma anche che traggono maggior vantaggio dalle rivoluzioni tecnologiche si può dire che le donne saranno più facilmente sostituite”. In Rosso, Elisabetta. «“Nessun lavoro è al sicuro con l’IA”: quali sono le cose che dovremmo tutti iniziare a studiare». Innovazione Fanpage, 22 marzo 2022.
Sull’Harvard Business Review, oltre a ribadire che le attività più routinarie sono quelle che rischiano la sostituzione si esplorano le caratteristiche qualificanti il lavoro umano: “Our ability to manage and utilize emotion and to take into account the effects of context are key ingredients of critical thinking, creative problem solving, effective communication, adaptive learning, and good judgment. It has proven very difficult to program machines to emulate such human knowledge and skills, and it is not clear when (or whether) today’s fledgling efforts to do so will bear fruit. And in fact, these are the very skills that employers across industries consistently report seeking in job candidates. For example, in one survey, 93% of employers reported that “a candidate’s demonstrated capacity to think critically, communicate clearly, and solve complex problemsis more important than his or her undergraduate major.” S. M. Kosslyn, «Are You Developing Skills That Won’t Be Automated?» Harvard Business Review, 25 settembre 2019.