Decreto sviluppo bis: ora abbiamo qualche mattone per l’Agenda digitale, ma non basta
Sono troppi anni che andiamo sbavando per uno straccio di presa di posizione di Governo sull’Agenda Digitale del Paese per sparare addosso al nuovo decreto legge, che finalmente dedica a questo aspetto fondamentale dello sviluppo una buona parte dei suoi 38 articoli. E questa è senz’altro una buona notizia. Cerchiamo quindi di essere positivi anche nelle critiche: volevamo costruire un importante ed ambizioso palazzo e abbiamo intanto messo giù, sul terreno del cantiere, un po’ di mattoni
9 Ottobre 2012
Carlo Mochi Sismondi

Sono troppi anni che andiamo sbavando per uno straccio di presa di posizione di Governo sull’Agenda Digitale del Paese per sparare addosso al nuovo decreto legge, che finalmente dedica a questo aspetto fondamentale dello sviluppo una buona parte dei suoi 38 articoli. E questa è senz’altro una buona notizia. Cerchiamo quindi di essere positivi anche nelle critiche: volevamo costruire un importante ed ambizioso palazzo e abbiamo intanto messo giù, sul terreno del cantiere, un po’ di mattoni [Per l’analisi dettagliata vi consiglio l’articolo sul nostro sito]. Non sono tutti buoni: qualcuno è fatto di materiale moderno, di quello che reagisce a luce e calore (penso ad esempio ai provvedimenti per le comunità intelligenti, sempre che qualcuno le definisca, allo spazio dato agli open data, all’Anagrafe unificata che aspettavamo da decenni), qualcun altro è un vecchio blocchetto di tufo pesante e difficile da sistemare (tipo Carta di Identità elettronica o Posta Elettronica certificata del cittadino, che è un’unicità italiana che il mondo non ci invidia), qualcuno è di carta, solo disegnato su un foglio con la promessa che il mattone vero prima o poi arriverà, qualche altro infine è proprio difettato e toccherà rimandarlo indietro (ad esempio la ossessiva necessità di mettere insieme un numero imbarazzante di Ministri per qualsiasi decisione o specifica tecnica).
Ma comunque un po’ di materiale c’è. Basta per fare una casa? Temo di no. Per un’impresa come questa serve infatti del materiale legislativo grezzo (i mattoni), ma ancor più sono imprescindibili tre o quattro asset che mi pare manchino ancora.
Per prima cosa è necessario avere la visione precisa del palazzo che vogliamo costruire, insomma avere un progetto, ed io il progetto faccio fatica a leggerlo. Al di là delle poche righe del primo articolo, che rimandano all’Agenda Digitale Europea, non trovo nulla che mi indichi le priorità, che definisca i punti su cui sarà applicato il massimo sforzo. Insomma se io fossi un imprenditore del digitale, invece che un osservatore, non saprei dove investire, con la sola eccezione di chi fa reti che pochi soldi per la larga banda li vede stanziati. Certo veramente pochi in confronto ai fantomatici ottocento milioni che il precedente Governo aveva dichiarato di aver messo in cassaforte a tal fine, ma meglio di nulla.
Non credo che sia carenza di progettualità: conosco molti degli estensori delle norme e li stimo, ma della mancanza di una sintesi che metta insieme le singole visioni, elaborate in uffici e ministeri diversi, e trasformi le parti, magari anche tutte in sé positive, in un unico piano.
Poi è necessario un piano finanziario. Spesso chi si mette a costruire un palazzo non ha ancora tutti i soldi per finirlo, ma si è almeno posto il problema e ha elaborato in genere un piano. Qui non ci sono i soldi, ma non solo, non c’è neanche scritto come ce li procureremo; peggio: c’è scritto più volte che di soldi in fondo non c’è bisogno e che le cose si possono fare “senza ulteriori oneri finanziari”. Chiaramente si tratta di una “bufala”, la solita “bufala” dell’innovazione a costo zero di cui abbiamo più volte parlato e che, nonostante tutto, resiste e viene detta e ridetta. Non ci voglio sprecare altre parole.
Infine, per rimanere nella metafora edilizia, manca l’impresa costruttrice o, se volete parlar forbito, il modello organizzativo. Per essere precisi non è che manchi del tutto: abbiamo un nome: “Agenzia per l’Italia Digitale” e una sua generica definizione scritta in un’altra legge. Nulla più. Di questa Agenzia non conosciamo la governance , data certamente dalla figura del Direttore Generale, ma non solo da questa. Non sappiamo a chi risponde (al Presidente del Consiglio? A un unico ministro delegato? A un’assemblea condominiale di ministri?). Non sappiamo quanto e in che modo si aprirà al controllo e alla partecipazione degli Enti territoriali (Regioni e EL) che in generale spendono un ordine di grandezza più dello Stato in innovazione e sono, in molti casi, molto più avanti. Non sappiamo come troverà le professionalità, visto che molti sono i transfughi che in queste settimane hanno lasciato di corsa le navi del Dipartimento Digitalizzazione e di DigitPA e che non c’è aria di assunzioni.
La stessa faticosissima stesura del decreto e la sua frammentazione in pezzetti (i mattoni della nostra metafora) è la dimostrazione che questo modello non c’è, che non c’è una regia (non certo la “cabina di regia”), che non c’è chi sta al comando.
Infine un asset che non si crea per legge è l’effettiva competenza dei soggetti preposti alla costruzione. Senza un bravo capomastro il palazzo non vien su bene neanche se avessimo (e non li abbiamo) progetto, soldi e organizzazione. Qui c’è poco da fare: tocca chiamare intorno al cantiere non gli amici o gli amici degli amici, ma i migliori professionisti del Paese. E, dopo averli selezionati per merito e sulla base di quel che hanno fatto sino ad ora, tocca pagarli e pagarli bene, almeno quanto prenderebbero altrove.
Insomma forse si è iniziato, ma c’è tanto lavoro da fare. Noi per ora ci siamo presi il compito di lavorare sulle comunità intelligenti e di arrivare ad una definizione operativa condivisa (che sono? Che fanno? Come? Con quali alleati e con quali soldi? Cominciando da quali priorità? Per quali obiettivi?) senza la quale non ci sono leggi che tengano. Il 29 ottobre apriremo così a Bologna, come sapete, Smart City Exhibition, che al di là del nome roboante è una tre giorni di cantiere di lavoro da cui usciremo, ne son certo, con le idee più chiare. Non è tutto, ma sarebbe già qualcosa se per ogni tema trattato dal decreto arrivassimo a definizioni operative condivise.