Il civic hacking come relazione con la piattaforma PA

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6 Febbraio 2019

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Erika Marconato

Curatrice della newsletter #CivicHackingIT e coautrice di “Civic Hacking in Italia” (civichacking.it)

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Matteo Brunati

Curatore della newsletter #CivicHackingIT e coautore di “Civic Hacking in Italia” (civichacking.it)

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Possiamo considerare il 2018 come un momento di passaggio: oltre alla conclusione del terzo piano d’azione italiano (terminato a giugno), è finita la prima fase del mandato del Team per la Trasformazione Digitale. Due elementi che hanno indubbiamente influito sulla relazione complicata tra cittadinanza attiva e istituzioni. Da un lato, alcune aspettative di diversi attori della società civile sono state deluse, dall’altro, come cittadini attivi, abbiamo potuto sperimentare una nuova modalità di interazione, grazie al forum creato dal team di Piacentini, un luogo che ha permesso di confrontarsi, sia come società civile che con le istituzioni pubbliche. Un’esperienza positiva, se ci focalizziamo sull’apertura di un canale comunicativo adatto al Ventunesimo secolo, un percorso tutto in salita, se si considera la mancata relazione tra la pubblica amministrazione e i civic hacker.

Cos’è il civic hacking?

Parliamo di un atteggiamento specifico di alcuni cittadini che decidono che alcuni problemi sono sufficientemente importanti per loro da doversene prendere carico, in un modo o nell’altro [1]. In queste righe useremo l’accesso civico all’informazione pubblica come fil rouge, per parlare di alcuni aspetti fondanti del civic hacking: la necessità di creare prototipi, la necessità di avere dati disponibili (i famosi Open Data), la necessità di muoversi all’interno di una comunità di altre persone. Scriveremo anche dell’urgenza per le amministrazioni (e per le persone che ci lavorano) di relazionarsi con questi cittadini (relazionarsi, perché è un processo a due vie, non qualcosa che si crea dall’alto).

Il diritto di accesso agli atti pubblici, una storia in tre parti

Non vogliamo soffermarci sulla normativa vigente: consultarne il testo è estremamente facile. Racconteremo, invece, gli sforzi di alcuni civic hacker per rendere l’accesso civico possibile. Nel 2013 ci fu una modifica al Codice dell’Amministrazione Digitale che inserì l’“Open by default” per l’informazione pubblica. All’epoca, esercitare il diritto di accesso all’informazione pubblica non era semplicissimo: da una parte, il concetto di Open Data non era così diffuso né tra le amministrazioni, né tra gli attivisti (a parte uno zoccolo duro rappresentato dalla comunità di Spaghetti Open Data, di cui entrambi facevamo parte), dall’altra vedersi rifiutare una richiesta di accesso perché mal formulata era estremamente facile. Sulla pubblicazione dei dati e sul loro aggiornamento, nessuno poteva farci nulla, ma eliminare il piccolo ostacolo della forma era qualcosa di facile, specialmente per qualcuno con una formazione giuridica.

Così, nell’aprile 2013 – ad appena un mese dalla pubblicazione del decreto legge, un gruppo di civic hacker (tra cui Morena Ragone e Francesco Minazzi, entrambi esperti di norme) ha lavorato ad un modello corretto nella forma, ma personalizzabile (grazie a dei campi in bianco da compilare ad hoc) e reperibile online, per inoltrare le richieste alle pubbliche amministrazioni. In questo stadio, le amministrazioni sono solo i destinatari finali della richiesta: non sono il pubblico principale per cui il modello è stato costruito (che è il gruppo di cittadini attivi interessati ad accedere ai dati pubblici), né i promotori dell’iniziativa (di nuovo, i promotori sono cittadini si fanno carico di un’opportunità che sfrutta una zona grigia della normativa).

A questo punto, diventa urgente creare qualcosa che renda generalizzato l’accesso civico, una legge sulla trasparenza e sulla libertà d’informazione. Il 2014 è l’anno in cui un gruppo di trenta realtà della società civile presentano una proposta di legge: il FOIA4Italy (il nome, preso a prestito dal Freedom of Information Act – FOIA – americano). Il lavoro sulla proposta di legge è fatto da tante persone, coordinate da alcuni giuristi, e si accompagna ad una serie di iniziative di pressione sociale.

A questo punto, l’amministrazione pubblica è un interlocutore fondamentale: il problema è ancora concreto (accedere alle informazioni), ma gli attivisti hanno fatto un passo in avanti, di confronto diretto, di cambiamento “istituzionale”.

Ci sono i dati, c’è la norma che ne facilita la domanda da parte di chiunque. Che si fa ora? La risposta è rendere l’accesso civico data driven, ossia guidato dai dati. Nel 2017 ci pensano Giovanni Pirrotta e Giuseppe Ragusa, i creatori di FoiaPop, un servizio intuitivo per l’utente che consente di creare la propria richiesta di accesso civico semplice e generalizzato a partire dagli Open Data. Un servizio che si integra facilmente ad altre iniziative civiche (ad esempio, con “Italia a Fuoco” hanno creato una campagna per chiedere ai Comuni i dati del catasto delle terre bruciate) oppure a servizi pubblici (giusto per fare un esempio puramente teorico – ma estremamente fattibile – un portale comunale che, oltre all’Urp, fornisca degli strumenti di relazione con i cittadini, come la possibilità di interrogare delle API (Application Programming Interface) per creare una richiesta di accesso civico per una specifica voce di spesa del bilancio a partire dal documento di bilancio rilasciato in Open Data).

Quindi gli Amministratori non servono più a nulla?

La risposta chiara e semplice è no. Ripensare alla propria relazione con i cittadini, significa diventare elementi abilitanti per cittadini attivi e hacker civici interessati a costruire qualcosa di “pubblica utilità”. Pensiamo concretamente al Comune di Reggio Emilia e alla sua esperienza con gli Open Data. Il portale Open Data è stato realizzato grazie anche ai contributi portati dai civic hacker locali. Non è tutto! Grazie ad un percorso divulgativo sugli Open Data, è nato “Fatti di numeri”, uno spettacolo teatrale che offre una lettura creativa e accessibile degli Open Data, rendendoli parte di un ragionamento più ampio sulla città stessa.

La PA è una piattaforma!

Le relazioni sono complesse, non ci sono mai soluzioni semplici. La tecnologia è un mezzo potente che va compreso, soprattutto nella sua natura destabilizzante: Internet mette in discussione i poteri e i ruoli di ciascuno, redistribuendoli. Forse è ora di riprendere l’idea, nata quasi dieci anni fa negli Stati Uniti, della PA come piattaforma, dove il cittadino può fare (e non soltanto partecipare) e può contribuire alla difesa dell’interesse collettivo.


[1] Per approfondire, si rimanda a due traduzioni di Erika Marconato da ”L’hacking è un atteggiamento, non un insieme di capacità” di Tanya Snook e da “Quindi vuoi cambiare la democrazia” di Joshua Tauberer.

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