IPv6: nuova frontiera contro il Digital Divide

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Siamo parte della Società dell’Informazione, per definizione foriera di opportunità senza frontiere. Eppure le frontiere ci sono. Ancora una volta la discriminante più incisiva su scala mondiale risiede nel livello di sviluppo economico, per quanto la dimensione culturale possa avere un impatto non trascurabile. Il digital divide ha ormai raggiunto cifre consistenti, ma dall’impegno dei Paesi ad economia avanzata e dalle nuove proposte tecnologiche può partire una prospettiva di ottimismo. Contenuto, ma essenziale.

Dove siamo

11 Settembre 2006

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Chiara Buongiovanni

Articolo FPA

Siamo parte della Società dell’Informazione, per definizione foriera di opportunità senza frontiere. Eppure le frontiere ci sono. Ancora una volta la discriminante più incisiva su scala mondiale risiede nel livello di sviluppo economico, per quanto la dimensione culturale possa avere un impatto non trascurabile. Il digital divide ha ormai raggiunto cifre consistenti, ma dall’impegno dei Paesi ad economia avanzata e dalle nuove proposte tecnologiche può partire una prospettiva di ottimismo. Contenuto, ma essenziale.

Dove siamo

I numeri che seguono aiutano a capire meglio la portata del citatissimo digital divide.
La percentuale di penetrazione di Internet sulla popolazione europea è del 38,2%, sale al 54,1% in Australia/Oceania e ancora al 69,1% in Nord America; scende al 15,1% in America Latina/Regione Caraibica, al 10,8% in Asia, al 10,0% in Medio Oriente e ancora al 3,6% in Africa. In prospettiva mondiale siamo al 16,7%. La crescita nell’uso di internet tra il 2000 e il 2006 è stata del: 625,8% in Africa, 479,3% in Medio Oriente, 361,4% in America Latina/Regione Caraibica, 245,5% in Asia, 193,7% in Europa, 141,0% in Australia/Oceania, 112,0% in Nord America. In prospettiva mondiale siamo ad un +200,9%.

Dove andiamo

L’accesso alle ICT e alle opportunità che esse veicolano parte di fatto dalle infrastrutture, potenziandosi attraverso la ricerca e l’innovazione. In particolare, l’accesso ad Internet passa attraverso l’accesso agli indirizzi del Protocollo Internet (IP), considerando che ogni dispositivo collegato – siti web, computer e telefoni cellulari – ha bisogno di un indirizzo IP per potere essere collocato nella rete. Lo standard attualmente in uso, l’Internet Protocol version 4 (Ipv4), limita il numero degli indirizzi di IP disponibili a livello globale. (Il numero totale di indirizzi, originariamente elaborati dagli sviluppatori di Internet e basati appunto sull’IPv4, è di circa 4 miliardi).
Dal momento che la domanda di nuovi indirizzi cresce in modo notevole, crescendo il numero di user e il numero di connessioni no-stop in tutto il pianeta, esiste di fatto il rischio che una quota consistente di potenziali user possa non ottenere indirizzi IP, avendo così negato l’accesso ad Internet. A rendere più evidente la connessione della questione con il fenomeno del digital divide c’è il fatto che la distribuzione originaria degli indirizzi IPv4 disponibili, a livello mondiale, è stata chiaramente squilibrata, se si pensa che il 74% è andato a sole organizzazioni in Nord America.

IPv6

In questo contesto è nata l’esigenza di adottare e diffondere un nuovo Protocollo, capace di superare il limite numerico nell’assegnazione di indirizzi. Il protocollo di nuova generazione è denominato IPv6, capace di fornire una quantità illimitata di indirizzi (stimati a 340 milioni di decilioni, ossia 3,4 x 1038). Sebbene la questione sembri urgente per le economie avanzate – in Europa i servizi e le reti on line stanno passando gradualmente all’IPv6 – è senza dubbio della massima urgenza per i paesi ad economia emergente o in via di sviluppo , che rischiano di non avere accesso agli indirizzi, avendone strutturalmente un numero esiguo a disposizione. Del resto, lo sviluppo dell’infrastruttura di rete su cui si basa la connettività IPv6 potrebbe essere molto più facile nei paesi in via di sviluppo, dove Internet è meno diffusa e dunque non sussistono questioni relative al passaggio dall’IPv4. Infine, c’è da considerare che se le economie sviluppate sono per definizione ancorate all’accesso e allo sviluppo delle ICT, diversa è la prospettiva per le economie che si trovano in un’altra posizione, se non all’estremo opposto, lungo l’asse dello sviluppo e del digital divide. In queste economie l’aggancio del processo di sviluppo alle nuove tecnologie è ancora tutto da costruire, ma è chiaro che la condizione sine qua non rimane garantirne l’accesso. L’approccio adottato nel Progetto 6DISS, finanziato dall’Unione Europea, parte da questo assunto: diffondere il protocollo IPv6 e stimolare un circolo virtuoso di formatori nelle 8 regioni in via di sviluppo interessate. A seguire una breve sintesi del progetto ed i riferimenti on line per saperne di più.

Il progetto europeo 6DISS

6DISS, iniziato nel 2005, è un progetto Europeo della durata di due anni e mezzo. Si rivolge ad 8 regioni in via di sviluppo: Asia-Pacifico, Caraibi, Asia Centrale, Mediterraneo, America Centro-Meridionale, Europa Sud-Orientale, Africa Meridionale, Africa Sub-Sahariana. Gli obiettivi sono: fornire formazione a reti di ricercatori e trasferire know-how in merito all’IPv6, supportandone l’adozione; offrire informazioni pratiche alle persone direttamente responsabili dell’installazione, del funzionamento e della manutenzione delle reti nazionali di ricerca e istruzione; stabilire reti di contatti con il personale e le organizzazioni del settore, al fine di incoraggiare la cooperazione ed una futura partecipazione alle attività di R&D dell’Unione Europea. Il progetto prevede l’organizzazione di workshop in associazione con le reti nazionali di ricerca e istruzione e la diffusione di materiale didattico, destinato ad alimentare un processo di "formazione di formatori".

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