L’Istat, il censimento e i bambini piazzisti

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Viaggio alle prese con la compilazione della radiografia nazionale decennale fra tentativi di assolvimento del compito via internet (falliti), certificazione di esistenza in vita e di possesso di alloggio stanziale, pericolose digressioni personali sulla privacy, sforzi titanici di memoria e infanti impegnati nel rispondere a quesiti improbabili. Un obbligo di legge che riconcilia con la vita passata, presente e futura. E che ci fa sentire, una volta di più, felici di essere italiani

11 Ottobre 2011

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Tiziano Marelli

Articolo FPA

Lo confesso: sono uno dei responsabili dell’andata in tilt del sito dell’Istat, sommerso solo pochi giorni fa dai tentativi di compilazione on line del “Censimento generale della popolazione e delle abitazioni”, iniziativa nazionale e obbligatoria (per legge) con cadenza decennale, per la prima volta sbandierata in versione telematica. Ma mi sono ritrovato, pare, in buona compagnia, visto che le cronache del giorno dopo mi hanno informato del fatto che eravamo addirittura in mezzo milione a tentare l’azzardo, per lo più fallito. In verità, la prima cosa che mi sono chiesto a seguire dopo la notizia del default telematico è come si riesca a contare il numero di quelli che hanno tentato di entrare nel sito apposito facendo cilecca se – appunto – non sono manco riusciti ad entrarci, ma ho lasciato perdere quasi subito di scervellarmi, ché il quesito era troppo da rompicapo per un novellino del pc quale sono. E poi ho pensato che in effetti, reggere un urto del genere dov’essere dura anche per un sito porno verso il far della notte, quando in genere le mogli si sono addormentate, i figli hanno smesso di postare su facebook anche l’ultimo dei link assolutamente inutili per amici che magari nemmeno conoscono, e i gatti acciambellati a fianco si prestano al mero ruolo di testimoni silenti (parlo per sentito dire, ovvio).

Dubbioso nel ritentare o meno l’esperimento, mi sono tuffato nella tradizionale versione cartacea: in fondo, rimandare di soli due lustri la mia certificazione di esistenza in vita grazie alla rete non può rappresentare grave danno per la collettività, al massimo solo per la mia autostima da evidente praticone al massimo di Olivetti Lettera 32 e di penna biro (gli è che son bravo a occultarmi fra le pieghe della modernità), e nel frattempo giurerò a me stesso di allenarmi per farmi trovare pronto nel 2021.

Aperta la busta, però, ci ha messo poco a farsi largo l’ansia da prestazione. Nel particolare, il plico conteneva nell’ordine: una lettera di presentazione (ben curata e descrittiva, evidentemente studiata per ammortizzare l’impatto sui probabilmente angosciati destinatari, immediatamente in ambasce), 8 pagine di guida alla compilazione, e ben 24 (ventiquattro!) da riempire. Deglutendo mi sono comunque messo all’opera, ben deciso e subito messo alla prova per evitare di barrare il quadratino che mi avrebbe rubricato fra gli abitanti stanziali in un camper o in una roulotte, in una sede diplomatica e perfino in una casa di riposo (almeno per ora, perché alla fine della difficile prova potrei anche arrivare a chiedere lì un alloggio). A seguire, in un impeto di fiducia, ho deciso di non tener conto di bazzecole come la tanto in voga privacy, decidendo di confessare tutto-ma-proprio-tutto del mio stato civile passato e presente, anche se solo per il rotto della cuffia e grazie ad un sussulto salvifico di memoria ho potuto evitare di chiamare la mia ex moglie per chiederle la data esatta del nostro defunto matrimonio, e so che nell’occasione avrei anche potuto innescare pericolosissimi meccanismi di rivalsa.
Con orgoglio ho poi barrato laddove mi si chiedeva se sono cittadino italiano dalla nascita (anche se non ho trovato niente che mi potesse far rinunciare in un semplice tratto di penna a tale stato, e non sarebbe male tenerne conto, in futuro: magari a qualcuno di vivere in Italia non sta più bene, e messa così come opzione potrebbe essere occasione da cogliere al volo), ma sono entrato in stato confusionale quando mi si è chiesto dove mi trovavo nel censimento scorso dieci anni fa, poi dove mi trovavo dopo cinque anni da allora, e infine l’anno scorso, con tanto di data precisa indicata alla quale far correre la memoria: il 9 ottobre. Ora, essendo che mio figlio compie gli anni il giorno prima e però vive a Milano, può essere che nel 2010 sia andato da lui a sorpresa, ma forse è stato due anni fa, ma non me ne sovviene del tutto chiaramente: giuro che a questo punto ho pensato di chiamare il numero verde da consultare in caso di difficoltà (e questo sarebbe stato il caso), ma poi ho anche realizzato che forse non è così grave se metto una crocetta dove mi si chiede se per caso anche allora ero dove sono adesso, e l’ho fatto: non dovrebbe creare grossi problemi percentuali alla mobilità nazionale. Subito dopo, però, sono andato completamente in tilt appena lette le domande relative alla “Condizione professionale o non professionale”. Quella che recita: “Nella settimana dal 2 all’8 ottobre (scorsi) aveva comunque un lavoro dal quale era assente” mi ha gettato nel panico, perché nelle risposte previste (malattie, vacanza, Cassa Integrazione Guadagni, ridotta attività d’impresa) non era prevista la vera ragione della mia defezione – che c’è stata, mannaggia a me! – in quella precisa settimana (è troppo lunga da spiegare anche qui, e poi perché mai dovrei spiegarla a voi lettori di PAssepartout?), ma ho comunque messo “no” perché l’altra casella affermativa mi avrebbe rimandato alla domanda 7.1, e lì giuro che il casino sarebbe stato totale, e non solo, ché il rimando vale il bel finale e poi spiego perché.

In preda a una crisi quasi isterica solo più tardi mi sono accorto che nelle pagine a seguire si ripetevano molte delle cose di cui sopra, ma che erano di competenza di eventuali altre persone del nucleo e che quindi senza accorgermene stavo rispondendo al posto di qualcun’altro. Per fortuna fin dall’inizio ho usato la matita, e quindi nascondere il misfatto a chi in famiglia viene dopo di me è stato facile.

Ma è a questo punto che ho scoperto la chicca, che in questi casi non può mancare mai. Infatti, verso la fine il modulo del censimento si rivolge ai più piccoli ed eventuali abitanti della casa, e testualmente ad un certo punto è riportato “Chi ha meno di 6 anni risponde dalla domanda 7.1” (quella famigerata, la stessa di cui sopra). Domanda che recita testualmente, sotto la dicitura “Luogo di studio o di lavoro”: “Si reca giornalmente al luogo abituale di studio o di lavoro?”. Queste le possibilità: “1. Sì, mi reco al luogo di studio (compresi asili nido, scuola dell’infanzia e corsi di formazione professionale) 2. Sì, mi reco al luogo di lavoro 3. No, perché studio nel mio alloggio 4. No, perché lavoro nel mio alloggio 5. No, perché non ho una sede fissa di lavoro (piazzisti, rappresentanti, ecc.) 6. No, perché non studio, non lavoro e non frequento corsi di formazione professionale”. Così, esattamente come fareste voi, sono andato indietro (vi aiuto a tornare a bomba, se vi capiterà di compilare brevi manu il cartaceo in questione: è alla pagina 19) a leggere e rileggere per vedere se avevo capito male, ma potete controllare anche voi: la “messa in scena” è proprio questa, papale papale. Diciamocelo: son quesiti che ad un bambino di età inferiore ai 6 anni possono risultare anche un tantinello ostici, e che diamine! Gentilmente, educatamente e nella maniera più urbana possibile stavo per comporre davvero il numero verde, ma ho lasciato perdere. Non sia mai che nell’era del censimento telematico i bambini sono già impegnati nel lavoro di piazzisti, e io non me ne sono accorto: vuoi mettere la figuraccia?

Non mi resterà che consegnare il plico alla posta più vicina, prima di raggiungere mio figlio per festeggiare il suo 26esimo compleanno in ritardo e consolandolo per il fatto che, pur essendo laureato in lettere, non ha finora trovato nemmeno uno straccio di lavoro come rappresentante di scope part time: son tempi duri, ma forse passano. E in ogni caso, anche se passano, fra dieci anni dovrò ricordarmi che il 9 ottobre del 2011 non ero con lui a Milano, ma nella mia casa di Roma, e che il compleanno l’ha passato da solo, senza sapere (ancora? per fortuna? mah…) cos’è la Cassa Integrazione Guadagni.

In ogni caso, devo ringraziare l’Istat. Compilare i moduli del censimento è come fare un tuffo nella propria vita. Passata, presente e addirittura futura. E anche prendere atto, una volta di più, che vivere in Italia è come sentirsi protagonisti di una commedia umana assolutamente fantastica e irripetibile. Siamo stati fortunatissimi, e qualche volta – ingrati! – non ce ne accorgiamo nemmeno.

 

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