Sistema Pubblico di Connettività e Cooperazione: a che punto siamo?
Proseguiamo questa settimana il nostro percorso attraverso luci e ombre della PA digitale in Italia. Dopo gli articoli usciti nelle due precedenti newsletter – dai titoli poco rassicuranti “PA digitale chi l’ha vista?” e “Perchè fallisce l’e-Government” – questa volta torniamo a parlare dello stato del Sistema Pubblico di Connettività (SPC).
1 Ottobre 2008
Proseguiamo questa settimana il nostro percorso attraverso luci e ombre della PA digitale in Italia. Dopo gli articoli usciti nelle due precedenti newsletter – dai titoli poco rassicuranti “PA digitale chi l’ha vista?” e “Perchè fallisce l’e-Government” – questa volta torniamo a parlare dello stato del Sistema Pubblico di Connettività (SPC).
L’occasione ci è stata offerta dal convegno “Semplificazione, efficienza, cooperazione: l’ora dei fatti”, organizzato da FORUM PA, in collaborazione con Almaviva, Eds ed Oracle, che si è svolto a Roma il 24 settembre scorso. In particolare l’intervento di Antongiulio Bua, Direttore Centrale del Comune di Milano, ci ha offerto lo spunto per riflettere sulle criticità che ancora ostacolano la piena realizzazione del SPC.
Il Sistema Pubblico di Connettività e Cooperazione offre alla Pa una grande occasione per rendere più efficienti i sistemi informativi e raggiungere così obiettivi di semplificazione e miglioramento del servizio offerto a cittadini e imprese. Si tratta, tuttavia, di un’occasione che non è stata ancora colta pienamente: per rendere effettive tutte le sue potenzialità il Sistema ha bisogno di un ulteriore slancio verso la cooperazione applicativa e lo scambio informativo tra enti e dell’istituzione di processi innovativi, che vadano a sostituire modalità di lavoro ormai superate.
Nel suo intervento Antongiulio Bua, Direttore Centrale del Comune di Milano, ha quindi illustrato le principali criticità da risolvere per rendere pienamente operativo il Sistema Pubblico di Connettività e i servizi di cooperazione applicativa. Prima fra tutte, quella legata al tema della reciprocità; un nodo che non può essere sciolto senza un cambiamento di mentalità, che porti ad acquisire il concetto di dato pubblico come bene comune e non come proprietà su cui innestare un business.
"Non può esistere una rete di cooperazione in cui un soggetto lavora gratis per l’altro, mentre l’altro si fa pagare i dati”, sottolinea Bua e fa un esempio: “I Comuni quando ci sono dei cambi di residenza correggono anche le banche dati della proprietà delle automobili, ma quando per le contravvenzioni richiedono i dati necessari al Ministero dei Trasporti pagano anche quelli che loro stessi hanno fornito. E questo vale anche per altri casi. Con la cooperazione applicativa questa cosa deve finire: se qualcuno fornisce dei dati al Sistema, poi li deve avere indietro gratis. Credo che questo sia un grande nodo: vuol dire, per esempio, revisione del ruolo di SOGEI”.
La necessità di un cambiamento di mentalità diventa ancora più evidente quando si guarda ai processi che regolano le procedure e il rapporto con la Pa. Un esempio attuale? L’iter da seguire per ottenere il bonus sociale per l’energia elettrica, introdotto di recente dall’Authority per l’elettricità, che Antongiulio Bua sintetizza così: il cittadino che vuole acquisire il bonus deve presentare una serie di certificazioni o autocertificazioni al proprio Comune (residenza, nucleo familiare, fotocopia dell’Isee), che poi le deve notificare all’Authority, la quale decide se assegnare il bonus. Ma Bua si chiede: “Che il cittadino è residente lo sappiamo, se si rivolge a quel Comune: perchè deve autocertificarlo? Quante persone sono nel nucleo familiare è un dato che tutte le Anagrafi hanno. L’Isee, poi, possiamo prenderla all’Inps. Se ci sono problemi medici particolari serve anche la certificazione dell’Asl, che paga gli ausili medici che consumano elettricità per cui ha già quei dati”.
“Se i nuovi processi che la Pa mette in piedi non tengono presente che c’è la cooperazione applicativa, il sistema invece di semplificarsi si complica. Bisogna che tutti prendano atto che il sistema Paese ha fatto questo salto e i nuovi processi devono favorire uno sviluppo ulteriore di questo sistema e non penalizzarlo”.
“Il Sistema Pubblico di Connettività richiede la reingegnerizzazione di tutti processi della Pa. Questa non si fa riscrivendo i processi esistenti, perchè non si trascrivono in informatica i processi che si facevano con altri strumenti. La reingegnerizzazione significa anche formazione e riguarda tutte le Pa interconnesse. Su questo credo che in questa fase non ci stiamo muovendo, non vedo nascere community di amministrazioni che poi lavorano in maniera evoluta attorno a questi temi”.
Bua esamina, poi, il rapporto con i privati e le associazioni professionali, in particolare con il sistema bancario e assicurativo, che rappresenta un problema enorme per la cooperazione. “Le banche sono i maggiori richiedenti di certificati – sottolinea Bua – in banca senza certificati di carta non sei nessuno, soprattutto se sei straniero. Poi c’è il sistema giustizia: il cittadino dialoga con la giustizia attraverso gli avvocati e il sistema degli avvocati non ha un collegamento diretto con il SPC (mentre con il sistema del notariato siamo abbastanza avanti). Poi gli architetti e gli ingegneri, che presentano le Dia e per presentarle devono raccogliere una serie di certificati che stanno tutti nel Sistema. Insomma, si pone il problema di tutti i soggetti che interagiscono o fanno da intermediari in varie maniere con la Pa”.
Bua, infine, solleva la questione del rapporto con le imprese multinazionali che producono i software utilizzati dalla Pa: “Con l’utilizzo globalizzato degli stessi strumenti software si pone il problema della customerizzazione, ma le grandi società multinazionali non sembrano molto propense a personalizzarli. In particolare il rapporto col cliente non viene in primo piano quando il cliente è marginale, come può essere una Pa italiana, ad esempio un piccolo Comune”.