Verso una PA “nativa digitale”: il cambio di paradigma da attuare

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Per rispondere alle esigenze dei cittadini non è sufficiente conoscere i loro bisogni ma è anche necessario abilitare la possibilità di scegliere il servizio preferito tra quelli disponibili, e oggi il quadro normativo consente di indirizzare l’interoperabilità dei servizi in una logica di “cittadinanza digitale” dai confini aperti e sovranazionali

10 Maggio 2016

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Monica Pilleddu, responsabile Architetture Digitali PA, Posteitaliane

Risale al 1992 il pensiero “rivoluzionario” di Osborne e Gaebler che, in “Reinventing Government” individuano come causa dell’incapacità dei servizi pubblici di soddisfare le esigenze dei cittadini, la difficoltà nel percepirne le esigenze e nel dar loro la possibilità di scegliere fra più produttori di servizi.

L’invito ai governi è di concentrarsi, non tanto sulla realizzazione dei servizi, ma sul conoscere le esigenze e le preferenze dei cittadini, in qualità di “clienti” attraverso indagini, interviste, gestione del contatto e dei consigli da loro provenienti,.

Per rispondere alle esigenze dei cittadini non è sufficiente conoscere i loro bisogni ma è anche necessario abilitare la possibilità di scegliere il servizio preferito tra quelli messi a disposizione da diversi fornitori stimolando l’innovazione. Gli autori sottolineano che la burocrazia deve essere trasformata, e passare da vecchi sistemi a nuovi sistemi che sono sia “user-friendly” che “trasparenti”.

I cittadini/clienti non si devono trovare di fronte ad un labirinto confuso di programmi frammentati, contrastanti requisiti di ammissibilità, e form multipli da compilare per garantire la scelta attraverso opzioni. Inoltre non devono essere costretti ad adeguarsi alla complessità burocratica che sta dietro i servizi!

Che vision innovativa! Venticinque anni fa, quando venne pubblicato quel testo, le Pubbliche Amministrazioni italiane neanche utilizzavano la mail…

È innegabile che sono stati fatti molti passi avanti e, in particolare, l’architettura normativa che supporta l’evoluzione tecnologica ed organizzativa nella PA è stata definita. L’Italia è una delle poche nazioni europee che grazie al CAD, entrato in vigore nel 2006, ha previsto una normativa specifica a supporto dell’evoluzione digitale della PA per assicurare e regolare la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dei documenti in modalità digitale.

Ciò avviene utilizzando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione all’interno della pubblica amministrazione, nei rapporti con i privati, prevedendo per la copia firmata digitalmente lo stesso valore dell’originale senza obbligo di autentica da parte di notaio o di altro pubblico ufficiale. Ora è tempo di realizzare il cambiamento.

Oggi il quadro normativo si è arricchito di importanti passaggi che consentono l’evoluzione organizzativa e, grazie all’apporto europeo, l’ampliamento dell’orizzonte di applicazione, indirizzando l’interoperabilità in una logica di “cittadinanza digitale” dai confini aperti e sovranazionali. Ogni cittadino, a prescindere dalla presenza fisica, può interagire con la pubblica amministrazione, liberandosi dal peso di recarsi fisicamente presso i suoi sportelli per “produrre” documenti che attestino informazioni già in possesso delle pubbliche amministrazioni sotto forma di dati.

L’articolo 1 della cosiddetta Legge Madia, associato al testo rinovellato del CAD, al Regolamento eIDas, al nuovo piano eGovernment 2016-2020, per accelerare la trasformazione digitale dei governi, e alla direttiva europea sulla privacy, avvalendosi dello sviluppo dell’API economy anche in ambito pubblico, ci porterà verso un nuovo mondo in cui saranno i dati a circolare, senza bisogno che ogni volta il povero cittadino sia costretto a ridigitarli o a produrre documenti frutto di procedimenti digitalizzati sono nella parte di input delle informazioni.

L’identità digitale contribuirà al miglioramento del rispetto della privacy, sviluppando l’assegnazione certa di attributi come età, residenza, qualifica professionale, preferenze per lo strumento da usare per il pagamento, ed altri attributi collegati alla propria persona che possono andare dall’ambito sociale a quello imprenditoriale, formativo.

In base al principio del “need-to-know” la persona fisica identificata può autorizzare, come unico set, alla PA richiedente, il trasferimento dei dati necessari ai fini dell’erogazione del servizio. In questo modo sarà possibile ridurre rischi legali e costi di gestione della sicurezza dei dati stessi; inoltre, l’utilizzo degli attributi qualificati ridurrà il proliferare di richieste di dati personali da parte delle amministrazioni durante l’interazione con il cittadino, favorendo l’erogazione dei servizi con strumenti di mobilità, tablet, smartphone, e nuovi device come “orologi”, “braccialetti”, “occhiali”, già oggi presenti sul mercato, il cui utilizzo, grazie all’evoluzione tecnologica, si diffonderà sempre di più.

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