Divari, diseguaglianze, transizione digitale e green: le risposte della politica di coesione e del PNRR

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È fondamentale sfruttare congiuntamente le opportunità offerte dal PNRR e dalla Politica di Coesione 2021-2027, così da ricomporre il quadro generale delle politiche di sviluppo e modernizzazione del paese semplificando i processi amministrativi e incrementando la partecipazione di tutti gli stakeholders, migliorando la governance attraverso un’attenta valutazione delle competenze dei vari enti che gestiscono le risorse e agiscono per attuare, rafforzando la macchina amministrativa. Considerazioni forse intuitive ma non ancora introiettate dalla PA. Quali misure adottare per “correggere” le nuove e vecchie criticità che sempre si incontrano nell’attuazione?

16 Febbraio 2023

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Maria Ludovica Agrò

Responsabile scientifico FPA per l’attuazione del PNRR

Foto di Daniel McCullough su Unsplash - https://unsplash.com/it/foto/HtBlQdxfG9k

Questo articolo è uscito con il titolo originale “Divari, diseguaglianze, transizione digitale e green: le risposte della politica di coesione e del PNRR alla complessità dello sviluppo sostenibile e ruolo della PA” nell’Annual Report di FPA presentato il 27 gennaio 2023. Per leggere tutti gli approfondimenti scarica la pubblicazione

L’articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea sancisce che per promuovere uno sviluppo armonioso al suo interno l’Unione deve rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale, mirare a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo delle regioni meno favorite. L’UE ha dunque avuto presente da sempre e ancor più a partire dalla riforma dei Trattati introdotta dall’Atto Unico (1986) che i divari e le diseguaglianze frenano lo sviluppo di tutto il continente e non solo nelle regioni e nei territori dove da sempre strutturalmente sono presenti e permangono. Questo elemento di analisi così profondamente introiettato dal legislatore europeo non è affatto scontato e fa della politica di coesione la principale politica di investimenti e sviluppo dell’UE e la concreta espressione di vicinanza ai territori e alle persone, strategica per creare una vera cittadinanza europea. In questo quadro valoriale muove i suoi passi la politica di Coesione negli anni ‘80 ed è la sedimentazione e la consapevolezza della lunga pratica di cooperazione fra Commissione e Stati membri e il solido, anche se barocco, sistema amministrativo dei fondi strutturali che ha permesso nel 2021 di adottare il Regolamento 2021/241, che istituisce il dispositivo di ripresa e resilienza del Next Generation EU (NGEU) in risposta alla pandemia da Sars Covid-19. Gli Stati membri sono stati in grado, in modo sartoriale, di redigere i PNRR nella cornice del Regolamento NGEU e oggi questo passo avanti ci permette di ragionare forti dei nuovi strumenti anche sul sostegno alla crisi energetica provocata dall’aggressione russa all’Ucraina che però matura proprio in ambito politiche di coesione e meno può avvalersi, proprio per la sua natura di strumento mirato, delle risorse del PNRR 2021- 2026. Per il bilancio a lungo termine dell’UE 2021-2027 la Commissione si è trovata dunque in una condizione nuova ed ha proposto di modernizzare la politica di coesione. La Commissaria Ferreira il 28 ottobre scorso al Summit sugli investimenti europei[1] ha evidenziato tre impegni precisi presi nella programmazione dei nuovi programmi 21-27. Il primo riguarda l’avere ottenuto che un terzo degli investimenti fossero dedicati a sostenere la transizione verde e il Green New Deal, sottolineando come i cambiamenti climatici e l’energia siano sempre più importanti; il secondo è coinvolgere non solo i tradizionali interlocutori delle politiche di coesione ma anche i nuovi agenti del cambiamento; il terzo è supportare il rinnovamento e la capacità innovativa e produttiva attraverso i programmi della coesione nonché i settori tradizionali chiave dell’economia europea. Un esempio è la Just Transition Platform per i settori dell’acciaio, del cemento e della chimica. Una dichiarazione, quindi, che guarda al futuro con una visione ben precisa.

Il Dispositivo di Ripresa e la Resilienza incrocia gli ambiti di intervento della politica di Coesione in generale e della nuova programmazione in particolare ma si basa su prestiti da debito UE ‘comune’, mentre la politica di Coesione è finanziata con le fonti tradizionali del bilancio UE. Il Recovery and Resilience Facility (RRF) ha come base i piani nazionali che sono contratti di performance e non programmi di spesa. Questo significa che l’erogazione delle risorse avverrà sulla base del conseguimento degli obiettivi entro le scadenze concordate e non come continuerà invece ad essere per le politiche di coesione sulla base della spesa effettivamente sostenuta. Le caratteristiche finanziarie del PNRR mutuano questa modalità dai fondi a gestione diretta dell’UE. Peculiarità preziosa e non assorbita dai Programmi 21-27 che resta tuttavia un obiettivo che la politica di Coesione dovrebbe porsi e che molti Stati membri chiedono da tempo nelle lunghe discussioni a Bruxelles sulla necessità di una semplificazione nella fruizione dei Fondi strutturali da parte delle amministrazioni che gestiscono e dei beneficiari pubblici e privati. In questo senso il PNRR rappresenta dunque anche l’occasione per un percorso di cambiamento delle politiche di coesione in discontinuità rispetto al passato, introducendo un fortissimo focus sui risultati attesi piuttosto che sulla spesa, risultati che, per essere raggiunti, necessitano sia di riforme che di investimenti realizzati.

In questo ultimo anno gran parte dell’attenzione si è concentrata sul PNRR, anche per la natura straordinaria di questo strumento, facendo passare in secondo piano la nuova programmazione dei fondi strutturali europei. Il dispositivo di ripresa e resilienza è, appunto, uno strumento e per ora è definito ‘temporaneo’, ma ovviamente, se si dimostrerà valido e l’UE coesa, potrà continuare ad operare e a sfruttare l’occasione di un debito comune per strategie condivise a fronte di necessità che investono l’UE in modo globale. La politica di Coesione ha caratteristiche diverse: è strutturale e a lungo termine capace di disegnare una visione di Europa e di farla marciare con un terzo del bilancio nella stessa direzione inclusiva e intelligente dunque sostenibile.

La pandemia ha ritardato l’approvazione degli Accordi di Partenariato approvati a metà del secondo anno della nuova programmazione e ancor più l’approvazione e l’avvio dei nuovi programmi 21-27 che quotano circa di 75 Mld €[2] cui si aggiunge il Fondo Sviluppo e Coesione che distribuisce risorse nazionali per le politiche di coesione con una dotazione di circa 84 Mld €. È fondamentale sfruttare congiuntamente al meglio le opportunità offerte da PNRR e dalla Politica di Coesione 2021-2027, così da ricomporre il quadro generale delle politiche di sviluppo e modernizzazione del paese semplificando i processi amministrativi e incrementando la partecipazione di tutti gli stakeholders, migliorando via via la governance attraverso un’attenta valutazione delle competenze dei vari enti che gestiscono le risorse e agiscono per attuare, rafforzando la macchina amministrativa. Considerazioni forse intuitive, ascoltate molte volte ma non ancora introiettate dalla PA, quindi da ribadire per focalizzarsi sulle misure da adottare per “correggere” le nuove e vecchie criticità che sempre si incontrano nell’attuazione.

La PA, per tenere insieme l’attuazione delle riforme e quella dei progetti, farsi garante dell’evoluzione dello sviluppo sostenibile del paese, raccogliere le sfide e realizzare la visione proposta dalla nuova politica di coesione necessita di un cambiamento di mentalità, facendo prevalere la missione attuativa rispetto alla pratica della riprogrammazione infinita che sposta risorse e progetti tra fondi per sforare sempre in avanti i tempi dell’output. Il paese è alla prova dell’integrazione per evitare lo spiazzamento degli investimenti pubblici per lo sviluppo e la perdita delle risorse non solo del PNRR ma anche quelle della chiusura del periodo di programmazione 2014-2020 che ha subìto molte innovazioni e modifiche nel corso del settennio. Si sovrappongono quindi periodi di spesa e modalità diverse nei processi di attuazione dei progetti, nonché diversi criteri e metodi di rendicontazione per l’erogazione delle risorse. Difficoltà e complessità che ricadono su amministrazioni non ancora rafforzate nonostante i nuovi ingressi di risorse umane. La scelta recente del Governo che rimodulando a pochi giorni dal suo insediamento le deleghe ha concentrato anche la delega sul Sud nelle mani del Ministro che indirizza le politiche di coesione e guiderà la Cabina di regia di Palazzo Chigi sul PNRR, è un passo giusto per sostenere la prova dell’integrazione, avendo una visuale non frazionata non solo delle risorse ma anche degli obiettivi e soprattutto della fase attuativa che grava sulle regioni del Sud per l’80% circa per quanto riguarda le risorse della Coesione e per il 40% per quanto riguarda quelle del PNRR. Gli ostacoli più grandi che nel passato hanno rallentato e ridotto la nostra capacità di assorbimento delle risorse europee cofinanziate si annidano nella scarsa capacità di gestione, soprattutto delle fasi di progettazione ed attuazione. Gli interventi sull’organizzazione delle strutture, sulla disponibilità di risorse umane impegnate e sulla loro capacità, sulle procedure e la digitalizzazione delle amministrazioni saranno utili sia all’attuazione dei Fondi che a quella del PNRR perché comporteranno un cambiamento di mentalità introducendo diffusamente e non solo per le politiche di coesione, come è stato fino ad oggi, un metodo di rigoroso monitoraggio lungo tutte le fasi dopo la programmazione e questa sarà la chiave di volta per avere finalmente successo nella messa a terra di quanto si programma in qualsiasi cornice regolamentare.

La PA per essere servente allo sviluppo sostenibile e fare la differenza può utilizzare le risorse della politica di coesione. Partiamo dal contesto in cui matura questo compito. La doppia transizione ecologica e digitale influenza l’economia, la società e l’industria in ogni loro aspetto, concetto che è stato ribadito anche nella Nuova Strategia industriale per l’Europa (New Industrial Strategy for Europe 2021). Ancorare anche nella politica di coesione oltre che nel NGEU saldamente lo sviluppo alle due transizioni verde e digitale, significa rafforzare sempre più il processo parallelo della loro attuazione, condizione ineludibile per avere possibilità di successo.

Un caso attuale per valutare la reattività delle politiche di coesione e degli altri strumenti potrebbe essere l’emergenza energetica. È l’ennesima emergenza che incontriamo sul nostro cammino verso una UE più sostenibile. L’oscurarsi del tema della lotta al cambiamento climatico in confronto all’irrinunciabile alimentazione del sistema produttivo e la dovuta garanzia di poter fornire un adeguato riscaldamento delle case, ha portato indietro il dibattito in molti Stati membri sulla possibilità di incrementare nuovamente le fonti fossili. Nel quadro delle politiche di coesione, invece, questo dibattito non si è prodotto restando le stesse inquadrate nei documenti strategici che da tempo perseguono con lungimiranza. Nella scorsa programmazione, quindi fin dal 2014, un obiettivo tematico era già consacrato all’economia con basse emissioni di carbonio in tutti i settori (Low carbon economy). Le riprogrammazioni che sono state effettuate per coprire le necessità dettate dall’emergenza Covid non possono essere lette come cambio di strategia rispetto al 2014 ma come contributo che, come altri obiettivi tematici, è stato devoluto per affrontare l’emergenza sanitaria. Tuttavia ridurre l’investimento negli indirizzi sopra richiamati di 1,5 Mld € ha determinato sicuramente un impatto ancora da misurare mentre è di ottobre scorso la nuova decisione del Consiglio UE che ipotizza, seppure in misura ridotta, la possibilità di dirottare 40 Mld € dei fondi europei 2014-2020 ancora non spesi verso l’alleggerimento dei costi dell’energia per imprese e famiglie europee ed è di questi ultimi giorni di novembre la notizia di negoziati italiani per trovare risorse anche nella nuova programmazione. Quindi la politica di Coesione, politica strutturale che spesso ha anticipato la visione più avanzata di sviluppo a livello globale rispondendo alle sfide di frontiera, si troverebbe nuovamente ad essere la fonte per affrontare l’emergenza.

C’è un elemento di forza che la contrappone anche al PNRR, strumento ben perimetrato, e uno di debolezza in questa attitudine che si fa però troppo frequente. Da una parte la capacità della politica di Coesione di rendersi più flessibile e di essere oggi in grado di saper correggere la direzione presa per affrontare le gravi necessità dei territori, dei cittadini e delle imprese europee che dovessero presentarsi inattese e distruttive, capacità che scaturisce dal suo ruolo di unica politica UE che oltre ad essere attiva in tutti gli Stati membri ha strumenti e risorse ed è articolata su più programmi e obiettivi potendo quindi distribuire il peso dell’intervento straordinario. Dall’altra però la delicatezza di operazioni frequenti di emergenza è quello di allontanarla dalla sua mission che peraltro è ben lontana ancora dal raggiungere, e cioè la riduzione dei divari. Le continue distrazioni di Fondi ne appannano il fine e ne riducono a lungo andare rigore e tensione attuativa.


[1] Speech Commissioner Elisa Ferreira for the EU Sustainable Investment Summit

[2] L’Accordo di Partenariato per la programmazione dei fondi europei di coesione 2021-2027 per l’Italia è stato sottoscritto il 19 luglio 2022 e prevede 10 Programmi nazionali e 38 Programmi regionali per 75,3 miliardi di euro (47,962 miliardi di euro alle Regioni meridionali)

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