Considerazioni personali sulla trasparenza

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Cosa possono e cosa devono fare le amministrazioni per per essere più trasparenti? A seguito dell’editoriale della settimana scorsa "Povera trasparenza, morta asfissiata!" che ha sollevato un’interessante discussione tra i commenti, riceviamo un contributo da Davide D’Amico – esperto di sistemi informatici del dipartimento della funzione pubblica PCM – in cui viene presentata un’approfondita analisi del concetto di "trasparenza" così come viene interpretato dalla nostra normativa e di "open data", fornendo anche una lettura critica di alcune tendenze in atto. Pubblichiamo volentieri l’articolo certi che sarà utile a stimolare la discussione e a far nascere nuovi spunti di riflessione.

15 Ottobre 2012

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Davide D'Amico

Cosa possono e cosa devono fare le amministrazioni per per essere più trasparenti? A seguito dell’editoriale della settimana scorsa "Povera trasparenza, morta asfissiata!" che ha sollevato un’interessante discussione tra i commenti, riceviamo un contributo da Davide D’Amico – esperto di sistemi informatici del dipartimento della funzione pubblica PCM – in cui viene presentata un’approfondita analisi del concetto di "trasparenza" così come viene interpretato dalla nostra normativa e di "open data", fornendo anche una lettura critica di alcune tendenze in atto. Pubblichiamo volentieri l’articolo certi che sarà utile a stimolare la discussione e a far nascere nuovi spunti di riflessione.

La prima volta che ho sentito questo termine risale ai tempi dell’Università, quando seguivo il corso di fisica all’Università e riguardava il campo dell’ottica applicata. In questo ambito la trasparenza, anche detta pellucidità o diafanità è la proprietà fisica che permette alla luce di passare attraverso un materiale.
Quindi i materiali trasparenti sono limpidi e consentono di vedervi attraverso in modo “chiaro”.

Tale termine ha assunto, nel corso del tempo, un significato rilevante anche nel contesto delle pubbliche amministrazioni portando a dei cambiamenti ragguardevoli anche nel significato che inizialmente era stato veicolato attraverso la L. n.241 del 90.

Infatti, il legislatore con la L.n.69 del 2009 prima e con il Dlgs. N.150 /2009 poi, interviene modificando radicalmente lo scenario, aggiungendo, alla riconosciuta trasparenza nell’accesso agli atti e ai provvedimenti amministrativi, una nuova forma che la considera come” … accessibilità totale…, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche…, delle informazioni concernenti.. ogni aspetto dell’organizzazione,… degli indicatori relativi agli andamenti gestionali… e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali…, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti.., allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità…

A seguito di questo ed altri interventi come le diverse delibere CIVIT (tra cui è importante citare la n.105 del 2010), per altro nel continuo inseguimento delle mode internazionali specialmente dei Paesi anglosassoni (UK, Canada, Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda) che su questi temi sono all’avanguardia, vi è stato un notevole incremento di “domanda” di trasparenza.

Tutto ciò ne ha enfatizzato sempre più il valore che rappresenta in particolare la sua funzione, nei riguardi:

1)   Della partecipazione del cittadino

2)   Del controllo collettivo

3)   Del performance assessment e dell’accountability dei manager pubblici

4)   Della prevenzione della corruzione

Analisi della trasparenza

La trasparenza è quindi un elemento assolutamente necessario per una migliore gestione (economico finanziaria e organizzativa) della “Cosa pubblica” ed essenziale per l’accountability in modo tale da responsabilizzare il management pubblico e stimolare la rendicontazione di quanto realizzato.

Con la trasparenza è anche avviata una partecipazione e collaborazione del cittadino che, conoscendo meglio le PA, può contribuire attivamente a migliorare, anche attraverso proposte, la qualità delle pubbliche amministrazioni, sia in termini di servizi erogati, sia in ambito organizzativo e a mettere in pratica un nuovo tipo di “friendly citizen control”.

La trasparenza consente anche di attivare una economia legata a dati pubblicati in formato aperto e rielaborabile. Le aziende e i privati possono infatti utilizzare i dati pubblici (anche quelli che nascondono una immediata utilità nel contesto delle pubbliche amministrazioni) per realizzare servizi a valore aggiunto e per migliorare la qualità della vita dei cittadini.

Oltre a ciò, più un’amministrazione è trasparente più si prevengono e si limitano i fenomeni legati alla corruzione.
Sappiamo bene quanto tale aspetto sia delicato e quanto rappresenti un costo che incide, ogni anno, in modo non trascurabile, sul nostro PIL (non a caso gli sforzi dell’attuale legislatura nella redazione del ddl anticorruzione).

In pratica la trasparenza è e deve essere un pilastro importante di un nuovo rapporto tra cittadino e pubbliche amministrazione, ed è auspicabile che sia estesa a tutti i livelli di governo superando i limiti di applicazione imposti dal nostro ordinamento giuridico.

La trasparenza dovrebbe anche contribuire a ridurre due distinte tipologie di asimmetrie informative:

1)   quella che vede la PA possedere informazioni che i cittadini/imprese non hanno;

2)   quella secondo la quale, ogni disciplina o prassi che abbia un substrato tecnico, elabora un proprio linguaggio non facilmente comprensibile dai non addetti ai lavori (atti, regolamenti, non sono spesso semplici da capire).

La prima tipologia di asimmetria si riduce adeguatamente usando la “disclosure” dei dati e delle informazioni. La seconda asimmetria, invece, che è di tipo strutturale, è di ben più difficile risoluzione, complice fattori culturali e di forma.

Vi è poi un altro aspetto da considerare che è quello del “rumore”.
La trasparenza intesa come abbondanza di informazioni pubblicate ha delle insidie e pur rappresentando una trasparenza in termini formali, non lo è in senso reale, effettivo e sostanziale. Infatti la natura umana,è portata inevitabilmente a non prestare particolare attenzione ad una mole eccessiva di dati e informazioni. Quindi è importante individuare il giusto bilanciamento nella “domanda di trasparenza”.

Trasparenza e open data

All’estero la trasparenza, come principio fondamentale dell’Open Government, è realizzata attraverso lo strumento dell’OPEN DATA che tutti gli addetti ai lavori ovviamente ben conoscono e che sinteticamente consiste nella pubblicazione di dati in formato aperto e rielaborabile.
È opportuno, pur condividendone ampliamente gli obiettivi ed i principi di base, effettuare qualche considerazione per stimolare un dibattito costruttivo e contribuire alla identificazione di ulteriori percorsi nella direzione di una sempre maggiore trasparenza:

1)   L’Open data è solo uno degli strumenti della trasparenza, non è e non può essere un “obiettivo strategico” come molti oggi stanno invece considerando. L’obiettivo dovrebbe essere quello di aumentare sempre di più la trasparenza. Pensare che Open data sia la trasparenza non è, a mio modesto avviso, completamente corretto. Infatti, quanti dei cittadini sono in grado di accedere e capire un “dataset” oggi giorno? Quanti dei cittadini hanno la capacità di sfogliare un file di milioni di record, in formato aperto e filtrare le informazioni secondo le proprie necessità? Non è possibile sperare che le aziende si occupino di fornire strumenti “easy to use” di lettura per tutte le tipologie di dati che le amministrazioni pubblicheranno; anche perché non su tutti i dati vi è un ritorno di business. Quindi la pubblica amministrazione, per garantire anche la riduzione del digital divide, si deve far carico, inevitabilmente,di utilizzare altri strumenti per raggiungere elevati livelli di trasparenza. Deve andare anche oltre quello dell’Open data che, non arriva al cittadino comune.

2)   Non basta aprire un portale e pubblicare alcune tipologie “convenienti” di dati in una pagina web per dire di aver fatto Open data..

L’Open data presuppone che i dati pubblici siano di qualità e questo comporta principalmente:

a)   che le amministrazioni e i dipendenti pubblici li debbano, loro per primi, conoscere bene;

b)   che siano stati realizzati dei processi nel back office che garantiscano il ciclo di produzione, di pubblicazione, di manutenzione, di aggiornamento, di riuso, di conservazione e di oblio.

Dunque è richiesto un grande sforzo di lavoro, di formazione, di acquisizione di nuove competenze, di tecnologie, di colloqui e collaborazioni interdisciplinari . Questo “ nuovo effort” ha bisogno, nelle PA, di un vero e proprio cambiamento sia culturale sia tecnologico sia organizzativo, impensabile da attuare a costo zero.

3)   L’Open data è uno strumento individuato nei paesi anglosassoni, per migliorare il livello di trasparenza, e come tale adattato ad una realtà normativa, organizzativa ma soprattutto culturale molto diversa dalla nostra.         
Per quanto riguarda l’ordinamento, si stanno apportando in Italia, nel corso degli ultimi anni, modifiche normative sia a livello centrale (amministrazioni centrali) che periferico (regionale). Tali modifiche nonostante cerchino di avvicinare il contesto giuridico italiano a quello anglosassone, scontano comunque le notevoli e ineludibili distanze ancora presenti. Oltre a ciò, il problema fondamentale sembra essere più culturale che normativo. E la cultura è quella che necessita di più tempo per un effettivo cambiamento.

Neppure nei paesi anglosassoni, gli effetti di tali paradigmi sono effettivamente già stati attuati e compresi dai tutti i cittadini. Chiedere cosa sia l’Open data, a un cittadino statunitense, significa, ancora troppo spesso, non avere alcuna risposta.
Dunque non è tutto oro quello che luccica anche tra i paesi pionieri e laddove l’apparenza sembra dare segnali opposti.

Occorre dedicarsi quindi al raggiungimento di una maggiore trasparenza a patto che questa, sia concepita ed adeguata alla dimensione socio culturale del nostro Paese, in cui gli strumenti per veicolarla devono, per forza di cose essere ricercati ed adeguati alla nostra “particolare” realtà, in modo da garantirne l’effettiva attuazione ed i migliori risultati possibili.
Questo non significa non osservare cosa avviene negli altri Paesi, e studiarne i fenomeni e le soluzioni da questi proposte. È necessario, ad esempio, cominciare a chiedersi : quale è lo scenario di riferimento nel quale gli strumenti della trasparenza sono stati realizzati negli altri Paesi?

In cosa tale scenario differisce dal nostro? Siamo sicuri che gli strumenti per la trasparenza adottati da altri Paesi possano avere gli stessi effetti in Italia?

4)   E’ bene pubblicare il più possibile dati in formato aperto e rielaborabile, a patto che anche gli altri Paesi li pubblichino.

In una economia che diventa sempre più globalizzata, l’asimmetria informativa derivante dal fatto che un Paese pubblica on-line "dati strategici", potrebbe avere anche qualche conseguenza negativa.

Questo potrebbe infatti concedere vantaggi competitivi ad altri Paesi che non sono attualmente così trasparenti, e che molto probabilmente non lo saranno mai.

5)   Oltre che sulla trasparenza organizzativa (dati relativi a bilanci, CV, retribuzioni, assenze, etc.) occorre oggi puntare molto sulla trasparenza nei dati relativi ai servizi erogati, verticalizzando, “realmente”, le azioni che si stanno realizzando per l’Open data, sui principali settori d’interesse: salute,trasporti, turismo, giustizia, ricerca, scuola università, criminalità, etc. Al cittadino e alle aziende interessano maggiormente questo tipo di dati.

Tra l’altro, l’effettiva trasparenza sui dati di business, ad esempio delle prestazioni degli ospedali, può stimolare competizione tra le PA che svolgono attività omogenee, innalzando la qualità dei servizi erogati, e le performance.

Ad esempio, un direttore generale di una asl che confronta il livello di prestazioni offerte con quelle di altri ospedali e nota di fornire servizi ad un più basso livello, presterà più attenzione alle performance, scegliendo nuovi medici con criteri che siano diversi basati effettivamente sul merito, e adotterà un piano di "attuazione" che da puro adempimento diventa un vero strumento di lavoro, di ricerca dell’efficienza e di miglioramento continuo.

Da queste considerazioni, è opportuno ponderare bene come utilizzare gli strumenti propri della trasparenza quali quello dell’Open data .
Occorre focalizzare soprattutto l’attenzione al contesto sia normativo sia soprattutto culturale del Paese Italia, investendo in una “educazione” e in una “formazione” alla trasparenza; accompagnando le amministrazioni (con nuovi strumenti semplici ed immediatamente comprensibili) e coinvolgendo attivamente i cittadini.

Sicuramente le norme in tema di trasparenza sono già molte (oggi giorno riguardano prevalentemente le pubblicazioni sui siti web delle amministrazioni) ed in continuo aumento.

Già esistono degli strumenti, ormai dal 2010 (le linee guida sui siti web delle PA, ad esempio) che cercano di razionalizzare i tanti adempimenti normativi in tema di trasparenza raccogliendo tutti i contenuti che devono per legge essere pubblicati sui siti. In pratica l’amministrazione, consultandole può conoscere, con certezza, cosa deve pubblicare per legge, come devono essere chiamati, e dove devono essere posizionati i contenuti che devono essere pubblicati.

L’obiettivo di base dunque è "accompagnare" le PA verso la trasparenza.

La bussola della trasparenza

Come tutti sanno, non basta pubblicare le linee guida per garantirne l’immediata attuazione, perché non le leggono in molti purtroppo. Occorre quindi individuare meccanismi (calati nella realtà delle PA italiane) che "stimolino" le amministrazioni pubbliche ad essere trasparenti, focalizzando gli interventi, più che sulle sanzioni, su premi e riconoscimenti anche solo a livello di immagine.
A questo proposito l’Ufficio informazione statistica e gestione banche dati istituzionali del Dipartimento della Funzione Pubblica, forse per la prima volta al mondo, ha realizzato uno strumento che consente di accompagnare in modo semplice le pubbliche amministrazioni verso la trasparenza totale: la Bussola della trasparenza presentata lo scorso maggio.

La bussola della trasparenza dei siti web consente di effettuare una verifica in tempo reale su tutti i contenuti minimi previsti per legge sui siti web. Sia ben chiaro non solo quelli del perimetro CIVIT, ma anche tutti quei contenuti che afferiscono ad altre norme, stratificate nel corso degli anni. Il sistema restituisce in tempo reale un risultato con le faccine emoticons che segnalano se le linee guida sono rispettate o meno per ogni contenuto previsto dalla legge.
Oltre a ciò è possibile scegliere un indicatore (ad esempio albo-pretorio, trasparenza valutazione e merito, etc…) e verificare come e quanto, a livello geografico, sono distribuite le amministrazioni che pubblicato quel particolare contenuto, in tempo reale e con un semplice click.

"Tutto on-line, tutto verificabile da tutti": dal dipendente che lo può usare per migliorare la "compliance" del sito del proprio ente, al cittadino che può controllare il sito del suo comune di appartenenza, al giornalista e agli accademici che possono effettuare analisi e ovviamente al vertice politico amministrativo che può conoscere l’attuazione delle norme e intraprendere eventuali interventi correttivi attraverso dati oggettivi su tutto il territorio nazionale.

Il cittadino può segnalare eventuali inadempienze e comprendere, in modo veramente semplice, cosa le amministrazioni devono pubblicare sui propri siti …. (il cittadino svolge un controllo collettivo sulle PA). Oltre a ciò è possibile usare funzionalità per confrontare due amministrazioni (stimolando la competizione tra enti…) e consultare la classifica (meccanismo premiante per le stesse PA adempienti).

Il sistema è basato sui principi dell’Open government:

1) Le PA migliorano il livello di trasparenza attraverso verifiche interne o stimoli esterni da parte del cittadino;

2) I cittadini partecipano e collaborano al miglioramento delle informazioni e dei servizi digitali delle PA.

È uno strumento in versione beta permanente ed in miglioramento continuo, ancora soggetto ad errori, ma è un efficace strumento di lavoro e di analisi che consente di coniugare i tre fattori principali dell’Open government.
Da quando è on-line la compliance delle PA sta crescendo. Viene misurato l’andamento, nel tempo, del rispetto dei requisiti minimi medi per tipologia di amministrazione per capire se vi siano delle variazioni.
Quando le pubbliche amministrazioni avranno raggiunto un elevato livello di compliance, sarà anche possibile utilizzare tale strumento per la realizzazione di benchmark, ed eventualmente proporre la metodologia intrapresa, anche a livello europeo e internazionale.

Ecco allora che ad un continuo proliferare di leggi, si affiancano strumenti di accompagnamento che vogliono aiutare e supportare le pubbliche amministrazioni ad orientarsi e a migliorarsi, nella direzione di una sempre maggiore "compliance" alla trasparenza e alle norme.

Strumenti che sono stati realizzati con piccoli investimenti, ma frutto di idee altamente innovative e di collaborazioni interdisciplinari che stanno cominciando a diffondersi anche all’estero.

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