Contributo di M. Collevecchio

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Caro Carlo,
aderisco molto volentieri al tuo invito di cercare di indicare qualche idea o riflessione sull’innovazione della PA e, più in generale, sulla grave situazione di incertezza che caratterizza lo scenario presente e futuro dell’intero sistema.
Tra i molteplici aspetti, sui quali sono già intervenuti molti autorevoli amici, vorrei segnalarti quello un po’ in sordina del vasto processo in atto di riforma della contabilità e della finanza pubblica avviato con la legge 31 dicembre 2009, n.196.

19 Novembre 2010

M

Mario Collevecchio

Articolo FPA

Caro Carlo,
aderisco molto volentieri al tuo invito di cercare di indicare qualche idea o riflessione sull’innovazione della PA e, più in generale, sulla grave situazione di incertezza che caratterizza lo scenario presente e futuro dell’intero sistema.
Tra i molteplici aspetti, sui quali sono già intervenuti molti autorevoli amici, vorrei segnalarti quello un po’ in sordina del vasto processo in atto di riforma della contabilità e della finanza pubblica avviato con la legge 31 dicembre 2009, n.196.

Si tratta di una normativa difficile di cui si parla poco e che impegna soprattutto la Ragioneria Generale dello Stato al cui interno si è formata. L’introduzione dei nuovi strumenti di programmazione e di bilancio dello Stato e, in particolare, della Decisione di finanza pubblica e della legge di stabilità, all’esame del Parlamento, si è mostrata deludente rispetto ai contenuti previsti dalla stessa legge 196 agli articoli 10 e 11. In particolare, nella premessa alla Decisione di finanza pubblica 2011 – 2013, approvata tardivamente dal Consiglio dei Ministri il 29 settembre 2010 (anziché il 15 luglio) e non sottoposta pertanto al preventivo esame della Conferenza per il coordinamento della finanza pubblica (peraltro non istituita), si legge all’inizio quanto segue: “Per le ragioni che saranno esposte appena qui di seguito, questo documento è insieme il primo e l’ultimo del suo genere”. Le ragioni, discutibili nei tempi e nei contenuti, sono che l’UE sta studiando nuove regole del Patto di stabilità e crescita. La conclusione, sempre della premessa, è “Questo documento è dunque sostanzialmente e politicamente superato”. Arrivati a questo punto non vale perciò neanche la pena di leggerlo. E pensare che esso dovrebbe costituire il documento fondamentale della politica economica del Paese nel medio periodo incentrato sulla realizzazione di obiettivi macroeconomici e di regolazione dei saldi per tutta la PA e distintamente per i settori delle amministrazioni centrali, degli enti territoriali e degli enti di previdenza e di assistenza.

Per quanto riguarda il disegno di legge di stabilità, che ha formato ancora oggetto di una nuova disciplina non soltanto al formale, dopo i vani tentativi di definire i contenuti della vecchia legge finanziaria già effettuati con le leggi 468/1978 e 362/1988, siamo alle solite e si profila un maxiemendamento incomprensibile che ci riconduce al passato. Ma forse è il ventaglio delle deleghe attribuite al Governo che preoccupa maggiormente. Tra queste, la delega concernente l’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio degli enti territoriali, operata attraverso la modifica dell’articolo 2 della legge 42/2009 sul federalismo fiscale, contiene principi e criteri direttivi che, in nome del coordinamento e dell’omogeneità dei sistemi, nascondono una grandiosa operazione di accentramento chiaramente in contrasto con i principi del federalismo.
Forse la grave situazione di crisi giustifica tale impostazione, ma sarebbe comunque utile a mio parere dibatterne i problemi.

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