Incarichi fiduciari nella PA: sì o no?

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Nella foga televisiva di una puntata di Ballarò, Matteo Renzi la settimana scorsa ha coraggiosamente affermato, nella forma tranchant che gli è propria, di immaginare nella Pubblica Amministrazione che tutti gli incarichi dirigenziali di vertice siano a termine e soggetti ad una valutazione di risultato. Immediata è stata la risposta delle associazioni di dirigenti che hanno ricordato al sindaco di Firenze la caratteristica costituzionale di imparzialità della PA e, rinvenendo nelle sue parole un evidente rischio di una PA ancella della politica, hanno rivendicato una volta di più la separazione della politica dall’amministrazione. È interessante che queste critiche siano arrivate più forti dalle associazioni dei dirigenti “più giovani”.

29 Novembre 2012

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Carlo Mochi Sismondi

Articolo FPA

Nella foga televisiva di una puntata di Ballarò, Matteo Renzi la settimana scorsa ha coraggiosamente affermato, nella forma tranchant che gli è propria, di immaginare nella Pubblica Amministrazione che tutti gli incarichi dirigenziali di vertice siano a termine e soggetti ad una valutazione di risultato.

Immediata è stata la risposta delle associazioni di dirigenti che hanno ricordato al sindaco di Firenze la caratteristica costituzionale di imparzialità della PA e, rinvenendo nelle sue parole un evidente rischio di una PA ancella della politica, hanno rivendicato una volta di più la separazione della politica dall’amministrazione. È interessante che queste critiche siano arrivate più forti dalle associazioni dei dirigenti “più giovani”. 

Dice Pompeo Savarino, Presidente della AGDP (Associazione dei giovani dirigenti della PA): Con tutto rispetto vorrei ricordare al candidato premier alle primarie del centrosinistra Matteo Renzi che quindici anni di precarizzazione della classe dirigente pubblica con lo spoil system non hanno di certo migliorato l’efficienza, l’efficacia e l’economicità della Pubblica Amministrazione; anzi hanno aumentato i costi e non è assolutamente migliorato il buon andamento della Pubblica Amministrazione

Gli fa eco Alfredo Ferrante, Presidente dell’Associazione degli ex allievi della PA: Le dichiarazioni di Matteo Renzi sull’intenzione di non tenere più concorsi pubblici per dirigenti pubblici a tempo indeterminato non sono solo in contrasto con le leggi e le pronunce in materia della Corte Costituzionale, ma destano forte preoccupazione perché aprono la strada, scientemente o meno, ad una dirigenza fidelizzata e non imparziale, esattamente il contrario di quello che Costituzione e buon senso prescrivono.

A queste prese di posizione chiaramente schierate per una figura di dirigente pubblico in stile francese (per la verità ora in Francia è diverso, ma il dirigente fortissimo che viene dall’ENA e resta a vita è ancora una figura paradigmatica nell’immaginario) – assunto per concorso, preparato, imparziale ed inamovibile a meno di gravi irregolarità – fa riscontro la richiesta, soprattutto per gli Enti Locali, di una maggiore flessibilità e una ferma opposizione all’ingessatura della classe dirigente pubblica e alla “ministerializzazione” della dirigenza. La voce è di uno degli innovatori più brillanti che circolano nella PA, Mauro Bonaretti direttore generale di Reggio Emilia.

Dice Bonaretti: Gli osservatori riconoscono alle amministrazioni locali una capacità di innovazione sconosciuta ad altri livelli di governo. La gran parte di questi risultati sono stati ottenuti grazie alla maggiore autonomia di cui hanno goduto i Comuni, a partire dalla seconda metà degli anni novanta, e alla possibilità concreta di realizzare un forte ricambio della dirigenza in servizio. Grazie a questa maggiore autonomia, è stato infatti possibile inserire nei Comuni dirigenti con rapporti di lavoro a tempo determinato, soggetti a valutazione, riconferma e senza più la garanzia di un posto fisso a vita. Queste figure, cooptate a volte dall’esterno o in altri casi dall’interno dell’amministrazione, hanno assicurato tassi elevati di turn over della dirigenza locale e una maggiore dinamicità all’azione dei Comuni. Il rapporto a tempo determinato e l’assenza della garanzia a vita dello status di dirigente hanno inoltre rappresentato un incentivo concreto, per i dirigenti a termine, a investire per mantenere elevata la propria professionalità, pena la sostituzione alla scadenza naturale del contratto.

Il rovescio della medaglia di questo meccanismo può essere individuato nel potenziale rischio di una maggiore dipendenza della dirigenza dalla politica, chiamata a nominare o rinnovare gli incarichi dirigenziali. In alcuni casi questo rischio si è anche oggettivamente tradotto in concrete pratiche negative. A fronte di questa situazione è stata ora imboccata la strada della “ministerializzazione” della dirigenza locale: si sono ristretti in modo drastico la possibilità di accesso a tempo determinato e, nonostante alcuni spazi introdotti nel decreto fiscale in corso di approvazione, si ritorna di fatto alla tradizionale dirigenza a tempo indeterminato.

Questo comporterà una incredibile rigidità della dirigenza locale: assisteremo ad una nuova infornata di dirigenti che, una volta assunti, godranno della totale inamovibilità a prescindere…

È invece necessario coniugare le due esigenze: occorre da un lato garantire l’accesso alla dirigenza tramite procedure selettive e trasparenti, ma dall’altro non perdere i benefici del tempo determinato ed evitare i danni della strutturazione a vita dei posti e dei costi per la dirigenza nelle amministrazioni locali. È necessario e possibile coniugare queste due esigenze. E per farlo occorre ripensare il sistema di accesso alla dirigenza locale in modo più sistemico e non con interventi frammentari e senza disegno.

Ad esempio si potrebbero ipotizzare forme di reclutamento su base nazionale o regionale volte a selezionare e certificare le competenze dei candidati sulla base delle esperienze maturate concretamente e di quelle riscontrate nei percorsi selettivi, lasciando poi alle amministrazioni la facoltà di scegliere, solo tra gli idonei, i soggetti ai quali conferire il rapporto a tempo determinato per la durata della legislatura.

Credo che sia un confronto interessante e per nulla scontato, nonostante infatti che ora il pendolo sia tutto spostato verso la garanzia, io credo che rinunciare ad usare un po’ più di perspicacia e di discriminazione sia pericoloso. Il rischio di uno sguardo crepuscolare che vede tutti i gatti grigi, tutte le amministrazioni uguali e tutte le posizioni equivalenti è sempre dietro l’angolo in un Paese che non perde mai il vizio delle semplificazioni “di pancia”.

Diversa è infatti la posizione di chi occupa posizioni che per loro caratteristica sono di garanzia o che attengano alla sfera “autorizzativa” dell’azione pubblica – per cui l’imparzialità non può che essere l’unica scelta – da quella di chi è preposto all’attuazione delle politiche. Qui credo che sia necessaria la possibilità di scelte fiduciarie trasparenti (quelle opache si sono sempre fatte e si continuano a fare), di incarichi a termine e legati ai risultati, di iniezioni di managerialità e persino (non ho paura di dirlo) di forme privatistiche.

Certo il rischio di abusi c’è e per questo è necessario mettere in piedi strumenti di controllo (check and balance dicono gli anglosassoni) da noi così difficili, ma costringere tutta la macchina pubblica ad un modello unico, per di più quello ministeriale che ha dimostrato di funzionare così poco e così male, mi pare buttare il bambino insieme all’acqua sporca. 

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