La centralità delle persone per la qualità dei servizi pubblici

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La distinzione concettuale che maggiormente differenzia i servizi pubblici da quelli privati, indipendentemente da logiche meramente economiche o legate al profitto, è la loro “necessità sociale”: al di là di una buona o di una cattiva gestione, i servizi pubblici devono comunque esistere, finalizzando il facere, ovvero la produzione di beni e servizi, al soddisfacimento di un bisogno rilevante per la collettività.

24 Novembre 2009

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Alberto Padula*

Articolo FPA
Continua la collaborazione di FORUM PA con il Professor Alberto Padula: si tratta del terzo articolo dopo quello sui servizi pubblici di qualità come risorsa competitiva per il sistema Paese e quello sulla valutazione dei servizi come dovere per le amministrazioni.
L’iniziativa scaturisce dalla nostra intenzione di far in modo che la newsletter ed il portale diventino sempre più strumenti non di semplice informazione, ma di approfondimento di tutti quei temi legati all’innovazione nella PA e nei sistemi territoriali.
Il terzo appuntamento di questo percorso che ci porterà fino al prossimo FORUM PA, tocca il tema del benessere organizzativo per la qualità dei servizi pubblici.

Buona Lettura, Gianni Dominici.

 

La distinzione concettuale che maggiormente differenzia i servizi pubblici da quelli privati, indipendentemente da logiche meramente economiche o legate al profitto, è la loro “necessità sociale”: al di là di una buona o di una cattiva gestione, i servizi pubblici devono comunque esistere, finalizzando il facere, ovvero la produzione di beni e servizi, al soddisfacimento di un bisogno rilevante per la collettività.

Quest’ultimo concetto ha portato per molti anni a sottovalutare gli aspetti della qualità del servizio, anche se la progressiva trasformazione avvenuta nel settore dei servizi pubblici ha comunque permesso una graduale introduzione di modalità di gestione di tipo aziendale all’interno di un settore nel quale, ancora oggi, mancano spesso azioni di coordinamento delle attività da realizzare.
Le imprese di pubblici servizi hanno effettivamente avviato processi di riorganizzazione e nuove modalità di relazionarsi con i cittadini/utenti, tuttavia questi cambiamenti stentano ad apportare gli auspicati benefici al Sistema Paese nel suo complesso, soprattutto perché tali potenziali benefici, derivanti da un processo di revisione teso ad avvicinare l’amministrato all’amministratore, sono letteralmente travolti dalla netta ed apparentemente inarrestabile caduta libera che la politica sta vivendo nell’attuale scala sociale dei valori, dove l’amministrazione pubblica viene percepita come una sua emanazione.
Ne consegue che l’orientamento al mercato e la qualità del servizi diventano fondamentali anche per le imprese erogatrici di servizi pubblici, che nel loro operare dovranno sempre più tenere conto della soddisfazione del cittadino/utente/cliente.

Bisogna però prendere atto che, come ha affermato De Rita, “la retorica della qualità cede il passo all’esigenza della strategia, perché solo la capacità strategica fa qualità competitiva”. Tale riflessione pone quindi la Qualità Totale quale denominatore comune di un’impresa di successo, sia essa pubblica o privata, in cui però la qualità deve essere il fine cui tendere, prima che lo strumento di cui avvalersi; quindi la necessità di una “capacità strategica” più che di una qualità fine a se stessa.

Già la Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 19 dicembre 2006 ha avuto l’obiettivo di richiamare l’attenzione delle amministrazioni: “La competitività del Paese è fortemente condizionata dalla qualità dell’amministrazione pubblica, da cui dipende la qualità delle politiche e la qualità dei servizi resi ai cittadini e alle imprese. Nel contesto degli obiettivi di riduzione della spesa pubblica, è importante che il recupero di efficienza sia accompagnato da un’equivalente spinta al miglioramento della qualità”.

Nelle imprese di pubblici servizi l’orientamento alla qualità totale trova un rilevante ostacolo nella filosofia gestionale, di tipo prevalentemente burocratico-amministrativo, che pervade la conduzione di questa classe di imprese e si riflette anche nella gestione delle risorse umane, spesso condizionata da elementi di criticità, tra cui:

  • basso livello di identificazione del personale con l’impresa e, di conseguenza,  scarsa condivisione degli obiettivi aziendali;
  • attenzione delle risorse umane soprattutto al rispetto dei compiti piuttosto che al conseguimento dei risultati e, pertanto, mancanza di elasticità nella interpretazione del ruolo;
  • sistemi di selezione del personale basati prevalentemente su concorsi pubblici che tendono soprattutto all’accertamento della conoscenza di cognizioni tecnico-professionali e non anche all’accertamento delle condizioni psico-sociologiche e comportamentali per i compiti a cui il personale stesso è chiamato;
  • sistemi di amministrazione e di sviluppo del personale spesso legati all’anzianità e ad automatismi piuttosto che al merito.

Da quanto affermato deriva quindi la necessità di revisionare tutto l’impianto dell’amministrazione pubblica e soprattutto di operare senza continuare a bypassare un aspetto cardine e fondamentale della riflessione posta in atto: il sistema di gestione delle risorse umane. Nei sistemi di servizi pubblici, infatti, la qualità dei risultati non può esistere senza qualità delle risorse umane e senza qualità dell’impegno individuale e collettivo, sia sul piano strettamente professionale sia su quello semplicemente umano. Occorre pertanto sviluppare una mentalità diffusa in tutte le persone dell’organizzazione affinché queste siano costantemente attente alle ripercussioni, anche indirette, che il loro operare può avere sul cittadino/utente e siano consapevoli  che il modo migliore per assicurare lo sviluppo aziendale è quello di perseguire gli obiettivi attraverso la soddisfazione dello  stesso cittadino/utente (citizen satisfaction).
Le premesse a questa filosofia risiedono, da un lato, nel riconoscimento delle persone come unica risorsa inimitabile e, dall’altro, nell’individuazione dell’employee satisfaction come strumento per sviluppare un’organizzazione più orientata al mercato e più focalizzata verso i bisogni del cittadino/utente.  Più precisamente, si ritiene che gli scambi tra l’impresa, sia essa pubblica o privata, e i suoi collaboratori siano il presupposto al raggiungimento degli obiettivi di mercato esterno.

Se si accetta di definire i dipendenti come un grande e unico mercato interno, la soddisfazione del personale (“cliente interno”) può rappresentare un’ulteriore strada per raggiungere la customer satisfaction: la soddisfazione del cliente finale, infatti, è lo specchio, la prova della presenza di dipendenti soddisfatti. Tra la soddisfazione del cliente e la soddisfazione del personale esiste infatti un legame significativo, frutto della soddisfazione (e della fedeltà) del cliente, che valuta sulla base del valore percepito. Quest’ultimo, peraltro, deriva anche alla produttività del personale che, a sua volta, è strettamente collegata alla fedeltà del personale stesso, che rappresenta l’ultimo anello della catena ed è frutto della soddisfazione per il proprio lavoro.
Emerge quindi la consapevolezza del ruolo delle persone nell’organizzazione e del loro apporto diretto al successo aziendale, prevedendo che ognuno abbia la visione del suo doppio ruolo di cliente/fornitore interno e sviluppando, nel contempo, una propensione al lavoro di gruppo e allo spirito di squadra.

Nella “Direttiva del Ministro della Funzione Pubblica del 24 marzo 2004” si dice che il Dipartimento della Funzione Pubblica intende sostenere la capacità delle amministrazioni pubbliche di attivarsi per realizzare e mantenere il benessere fisico e psicologico delle persone, attraverso la costruzione di ambienti e relazioni di lavoro che contribuiscano al miglioramento della qualità della vita dei lavoratori e delle prestazioni. In base a tale direttiva le amministrazioni pubbliche sono invitate ad adottare piani per il miglioramento del benessere organizzativo.

Lo sviluppo di attività di marketing interno, per motivare il personale e favorire la professionalità nell’ottica della soddisfazione del cliente, rappresenta senz’altro una leva di successo per le imprese che erogano servizi che tendono ad essere ad “alta intensità di personalità nella produzione quotidiana della qualità”; tali imprese per lo più si configurano come people-intensive, ovvero basate sul presupposto che le persone costituiscono il fattore produttivo primario.
Con la stessa logica, l’impresa di pubblici servizi fa suo il concetto di marketing interno: la qualità del servizio pubblico non può essere casuale o differenziarsi per aree geografiche, e soprattutto non può essere percepita in modo così differente da persona a persona. Al fine di realizzare tale evoluzione è necessaria l’elaborazione di un piano di marketing interno che preveda la gestione dell’immagine aziendale, dell’ambiente di lavoro, della comunicazione interna e di tutti quegli aspetti che contribuiscono alla motivazione del personale.

Le logiche del marketing interno hanno lo stesso scopo sia nell’impresa di pubblici servizi sia in quella privata: miglioramento della qualità del prodotto/servizio e delle modalità di erogazione, con conseguente aumento della citizen/customer satisfaction.
Appare evidente, quindi, che il marketing interno dovrà assumere sempre più un ruolo fondamentale nel processo di trasformazione del settore dei servizi pubblici, al fine di assicurarsi la più adeguata collaborazione delle risorse umane ed un atteggiamento coerente con le politiche di qualità intraprese. Si deve però far presente come, ad oggi, nella gestione delle risorse umane delle imprese di pubblici servizi non sia stata implementata una logica di sistema, ma vengano introdotti più semplicemente i singoli strumenti e le attività riconducibili, in qualche modo, al marketing interno.

Su Saperi PA trovi l’articolo di Silvia Pasqualini sui buoni esempi di marketing interno

È quindi auspicabile una gestione più consapevole e un’integrazione delle iniziative volute dalle direttive pubbliche, affinché il marketing interno si realizzi nel suo concreto. Di fatto non sono più sufficienti il semplice “fare” e/o “esserci”, ma diventano indispensabili il “fare bene” e il “benessere organizzativo”.
Nei servizi pubblici, infatti, la qualità costituisce un atteggiamento di fondo che deve permeare tutti gli aspetti dell’organizzazione, una linea guida per l’esecuzione delle mansioni quotidiane, una fonte di ispirazione per comportamenti e atteggiamenti omogenei di coloro che operano al servizio dei cittadini.

Il marketing interno rappresenta quindi un’ulteriore strada per la realizzazione della qualità e per il raggiungimento della soddisfazione del cliente esterno che, nel mondo pubblico, vuol dire soddisfazione di tutta l’utenza. È un’opportunità da non perdere, che è già stata intrapresa in alcuni casi virtuosi ma che ci auguriamo continui a creare nuovi strumenti e aiuti ad attirare le persone migliori, necessarie nel settore privato e a dir poco indispensabili nel pubblico.


* Prof. Alberto Padula, docente di Economia e gestione delle imprese di pubblici servizi presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata”

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