EDITORIALE

La PA deve attrarre i giovani, ma anche valorizzare i saperi dei più anziani

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È assolutamente necessario riequilibrare il divario generazionale che rende la PA italiana la più vecchia d’Europa, ma non valorizzare e utilizzare anche l’esperienza dei più “anziani” vorrebbe dire sprecare una risorsa preziosa e insostituibile. La nuova PA deve basarsi su un mix virtuoso tra l’innovazione che devono portare i giovani che entreranno e il sapere consolidato dei tre milioni di dipendenti già presenti. Perché questo possa avvenire serve un processo intelligente e accurato di onboarding che preveda anche un giusto tempo per l’affiancamento e il mentoring. Ne parleremo a FORUM PA 2023, mettendo anche in evidenza le migliori pratiche

17 Febbraio 2023

Carlo Mochi Sismondi

Presidente FPA

Foto di Vlad Hilitanu su Unsplash - https://unsplash.com/it/foto/1FI2QAYPa-Y

La PA italiana è, come sappiamo e come abbiamo messo in evidenza più volte, la più vecchia d’Europa: nonostante un piccolo miglioramento nell’ultimo anno di rilevazione (2020), presenta un’età media appena sotto i 50 anni (49,9), che diventano 54,6 nei Ministeri, dove la percentuale di giovani sotto i trent’anni non arriva all’1%. È quindi necessario un deciso riequilibrio generazionale da raggiungere attraverso una massiccia introduzione di giovani preparati e motivati, in grado di portare nuove professionalità e nuovo entusiasmo. Il Ministro Zangrillo ha parlato di oltre 150mila assunzioni solo nel corso del 2023, che coprirebbero a stento le uscite previste per pensionamenti e prepensionamenti, ma porterebbero comunque ad un miglioramento dell’età media. Sono cose note e più volte ribadite, ma che qui mi interessa ricordare per esaminarne un aspetto spesso trascurato sia nelle dichiarazioni ufficiali, sia, soprattutto, nella prassi: sto parlando dell’accoglienza dei nuovi assunti e del delicato processo di affiancamento di questi da parte delle figure con maggiore seniority, ma anche della valorizzazione delle esperienze e dei saperi di quest’ultimi, che non sono zavorre, ma l’asset principale delle nostre amministrazioni.

Immaginiamo che si siano messe in atto misure, per altro assolutamente non scontate, come azioni di employer branding che abbiano accresciuto l’attrattività dei posti pubblici, concorsi efficaci effettivamente in grado di selezionare i candidati che abbiano le maggiori potenzialità di crescita, condizioni contrattuali competitive rispetto al mercato esterno e l’offerta di concrete possibilità di crescita professionale: a questo punto ci troveremo ad avere assunto giovani in gamba. Bene, fatto questo saremo solo all’inizio del lavoro di un buon datore di lavoro, quale la PA deve imparare ad essere. Ora si tratterà di introdurre i nuovi nella cultura e nell’operatività delle unità organizzative e far sì che siano accolti da chi in quegli uffici c’è già, magari da decenni, come colleghi a cui insegnare e da cui imparare in uno scambio virtuoso di saperi e di esperienze. Perché questo accada è necessario che si verifichino alcune condizioni di contesto e che si eserciti un’attenta cura in questo passaggio, delicato sia per chi entra, sia per chi era già saldamente al suo posto e potrebbe vedere i nuovi più come un pericolo che come una risorsa.

La prima ovvia condizione è che ci sia materialmente un tempo di affiancamento tra chi arriva e chi è in uscita. Troppo spesso i fabbisogni di personale e quindi i relativi concorsi, con i loro tempi a volte troppo lunghi, vanno a coprire posti già vacanti per pregresse uscite. Insomma, chi arriva trova una scrivania vuota e, quando va bene, un’indicazione sommaria del suo ruolo e dei compiti che lo aspettano. È assolutamente necessario prevedere un periodo non breve di affiancamento, almeno un semestre e il fabbisogno di personale deve essere definito sulla base di questa esigenza. L’affiancamento, se gestito in modo efficace, ha il duplice vantaggio di introdurre rapidamente nelle dinamiche operative i neoassunti e di limitare situazioni conflittuali nella struttura attraverso la responsabilizzazione del personale già presente. Grazie all’affiancamento è poi possibile trasmettere e quindi acquisire elementi del contesto e dell’operatività difficilmente trasferibili attraverso manuali e procedure, iniziando a creare quel necessario spirito di squadra che può permettere di condividere gli obiettivi di un’organizzazione.

L’affiancamento sarà certamente più efficace, ed è la seconda condizione, se si individuerà per ogni neoassunto un tutor capace e interessato che, oltre alle competenze tecnico specialistiche e all’esperienza nell’organizzazione, abbia sviluppato una buona propensione al lavoro di squadra e al trasferimento di know how. Si tratta di formalizzare questo mandato e di valorizzarlo adeguatamente inserendolo negli obiettivi individuali del tutor. Alla chiusura del periodo di affiancamento sarà utile che il tutor predisponga un report, che non sia solo un adempimento amministrativo, ma che possa essere utilizzato come ulteriore fonte di informazioni per la definizione dei fabbisogni formativi iniziali e degli obiettivi da assegnare alla persona che sta entrando.

Altre metodologie, come ad esempio il cosiddetto job shadowing e il mentoring, possono essere utilizzate per facilitare l’accoglienza dei nuovi. Nel primo caso l’ombreggiamento del lavoro implica trascorrere un periodo di tempo con un esperto, osservando tutto ciò che fa o che è correlato al ruolo, da realizzarsi come parte della routine quotidiana del lavoro. Nel caso del mentoring il mentore segue e promuove la carriera e lo sviluppo professionale di un’altra persona instaurando un rapporto che non è di subordinazione, bensì caratterizzato da una relazione amichevole e cordiale, di complicità, reciproca fiducia e sostegno. Obiettivo del mentoring è sviluppare la persona nella sua totalità attraverso l’utilizzo di molteplici tecniche, quali l’analisi delle competenze/abilità, lo storytelling, il gioco di ruolo, lo studio di caso, la condivisione di informazioni e materiale formativo, la partecipazione ad eventi della comunità di pratica, ecc.  Può essere anche interessante sperimentare la metodologia detta di reverse mentoring, ossia il processo mediante il quale i giovani con poca esperienza ma con alta competenza, soprattutto digitale, ma non solo, aiutano i senior ad apprendere le nuove tecnologie. Una sorta di reciproco scambio di competenze che nessun corso di formazione potrebbe garantire e naturalmente con costi contenuti.

Perché queste metodologie diano buoni risultati, e quindi si crei quella efficace armonia tra junior e senior, che è tra l’altro la condizione necessaria per trattenere i migliori talenti che siamo riusciti faticosamente ad assumere, è necessario non banalizzare: non possiamo ridurre il processo di assunzione ad un adempimento amministrativo teso solo a non aver grane. Se è vero che non possiamo fare a meno dei giovani e che senza di loro non ci sarà innovazione, non dobbiamo però cadere in facili approssimazioni che rischiano di sottovalutare il tesoro di esperienza, di sapere e di saper fare già presente nelle amministrazioni. Assumere presto e bene è possibile, ma non scontato, così come non è scontato che i migliori talenti assunti siano in grado di esprimere tutto il loro potenziale se non inseriti armoniosamente in organizzazioni che siano fondate su un solido sapere e sull’orgoglio e la professionalità dei loro lavoratori.

Queste riflessioni e questi temi saranno centrali a FORUM PA 2023. In particolare il 16 maggio l’apertura della Manifestazione sarà dedicata espressamente al confronto su come attrarre i giovani talenti e su come le pubbliche amministrazioni possono lavorare per valorizzare nuove competenze e nuove professioni. Metteremo inoltre in agenda diversi momenti ad hoc per favorire l’incontro e lo scambio tra le amministrazioni e i giovani che ci verranno a trovare al Palazzo dei Congressi di Roma dal 16 al 18 maggio. Infine, come nostra tradizione, daremo visibilità alle esperienze di valore già realizzate nella nostra PA in tema di valorizzazione dei talenti

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